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L'onnipotenza di Pasolini e la mia invidia Il curatore dei Meridiani, Walter Siti, risponde alle critiche di Carla Benedetti, di Walter Siti

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LA SAGGISTICA
Walter Siti

L'onnipotenza di Pasolini e la mia invidia
di Walter Siti, 1° maggio 2003
Il curatore dei Meridiani, Walter Siti,
risponde alle critiche di Carla Benedetti
Archivio "Unità" - http://www.unita.it/

Carla Benedetti ha scritto una recensione, in forma di lettera, ai due ultimi Meridiani delle opere complete di Pasolini, da me curate. Più che una recensione è, a dir la verità, un grido di indignazione contro la mia curatela - leggendo il mio saggio finale su come lavorava Pasolini, la Benedetti ha avuto la rivelazione, o la conferma definitiva, che io ho schiacciato e travisato l'opera pasoliniana («quella che ci hai consegnato», scrive, «non è l'opera di Pasolini»). 
Mi sono trattenuto, trattenuto per dieci volumi e alla fine non ne ho potuto più, ho gettato la maschera e ho sputato fuori tutto il mio odio represso per l'autore che studio da trent'anni. Come è tipico delle indignazioni, la scrittura monta fino a perdere il controllo, e le dieci righe iniziali puramente liturgiche, sulla «difficoltà» e il «valore» dell'impresa editoriale, precipitano verso la fine nella definizione di tutto il mio lavoro come di una «cacchina» (di piccione, a essere precisi). Proviamo, se si può, a ragionare con calma, sgombrando per prima cosa il terreno dalle sciocchezze. 
È una sciocchezza, e spero che la Benedetti se ne renda conto, dire che la scelta di pubblicare le opere di P. in ordine cronologico, senza collocare in sezioni separate gli editi e gli inediti, è qualcosa che «nessun editore avrebbe forse accolto, se non fosse che Pasolini vende, in qualunque modo lo confezioni» - è una sciocchezza offensiva, oltre tutto, per Renata Colorni, la responsabile mondadoriana dei Meridiani, che di tutto si può accusare tranne che di accettare qualunque cosa purché si venda, e che ha anzi dimostrato di essere attenta a sperimentare forme non tradizionali di curatela, purché il progetto del curatore la convinca. Ne abbiamo parlato, e a lungo. L'idea di considerare l' opera omnia di un autore come un gigantesco macrotesto, e di trattarlo come molta filologia recente fa per i testi, cioè evidenziandone anche graficamente la genesi, la crescita e le derive più che il risultato finale, è un'idea che sta tentando e convincendo alcuni, sta respingendo altri - ma è comunque qualcosa che merita di essere discusso da filologi veri, non da un dilettante in questo campo come sono io - e che soprattutto non merita di essere liquidato, con una sola mossa di fastidio, da qualcuno come la Benedetti che di filologia palesemente non sa nulla. (Tanto per puntualizzare, visto che la Benedetti presa dalla sua vis polemica ha dimenticato di dirlo, nella nostra edizione non si «azzera» affatto la distinzione tra edito e inedito, semplicemente non la si evidenzia dal punto di vista grafico, ma l'apparato consente sempre di seguire anche le minime avventure di ogni singolo testo). 
Altra sciocchezza è accusarmi di «ridurre l'opera di Pasolini al documento di una patologia» - mi citi la Benedetti una sola riga in cui io svaluto o «riduco», che ne so, Le ceneri o La ricotta o gli Scritti corsari, adducendo come prova fatti biografici o psicologici. Non sono tra quelli, è vero, che pensano che la biografia non c'entri niente con l'opera - chi l'ha sostenuto, da Poe a Proust, predicava bene e razzolava malissimo. Ma veniamo agli argomenti seri, che si possono ricondurre sostanzialmente a due: 1) ho sovrapposto me stesso a Pasolini e, forse inconsciamente, ho voluto «distruggerlo», spinto in questo da una mia «ambivalenza», dal desiderio di «far fuori» un fratello maggiore troppo grande, 2) ho sottovalutato la «discontinuità significativa» tra la prima e l'ultima produzione pasoliniana, rischiando di ridurre, ancora una volta, a fatti psicologici quella che invece è l'invenzione di una «forma progetto». 
Quanto al primo punto, credo che si potrebbe andare molto più in là. Ho lottato con Pasolini da quand'ero ragazzo, ne sono stato sedotto e respinto, ancora adesso ho l'impressione che con le sue mani di morto non voglia lasciarmi andare. Forse come curatore avrei dovuto nasconderlo, ma non ne vedevo la necessità e mi sembrava anche disonesto. Pensando al suo modo di essere omosessuale, al suo bisogno quasi esclusivo di far l'amore con ragazzi non-omosessuali, sento salire un dolore violento, una voglia di gridare «no», un'estraneità che si tramuta in rabbia, pensando alla sua vita, tutta giocata sull'eccezione, mi scatta un'ansia di esaltare la mediocrità, di lodare la nobiltà del compromesso, del grigiore, del tirare-la-carretta. La mia impotenza contro la sua onnipotenza, certo. 
Ambivalenza, però, significa appunto ambivalenza: scrivo davvero così male da non aver lasciato intravedere, dietro quelli che la Benedetti chiama «rimproveri», o «rinfacci», tutta l'invidia, e quindi l'ammirazione, per la sua leggerezza, per la sua vitalità, per il suo coraggio? 
Questi i miei panni sporchi, ma se non vuole applicare anche a me il teorema del «Leopardi era pessimista perché aveva la gobba», la Benedetti ammetterà che non basta questo per togliere ogni valore ai miei giudizi e alle mie interpretazioni. Pasolini ha scritto molte cose brutte, qualcuna certo non l'ha pubblicata ma qualcuna l'ha pubblicata proprio lui (e del resto non ha pubblicato alcune cose bellissime), certo avrei potuto nascondere l'enorme materiale quasi-informe in un pudico «inferno» di testi inediti (o addirittura tacerli, lasciare che qualcun altro dopo di me li pubblicasse), ho preferito buttare la bruttezza nella mischia, farla diventare un giocatore in campo. La bruttezza è una cosa molto rispettabile, quando la bellezza diventa un trucco. 
Vengo così all'ultimo punto, che mi sembra il più importante. Insisto che il bisogno pasoliniano di travalicare i limiti della forma, di privilegiare il laboratorio sul prodotto finito, non è affatto localizzabile nell'ultima parte della sua produzione ma investe l'intero suo percorso creativo (e credo di averlo anche dimostrato), nell'ultimo periodo lo ha teorizzato, e non è nemmeno detto che sia stato un bene. Quel che mi ha sempre affascinato, di questo suo fare, è il corpo a corpo tra il dolore e la forma, tra l'immensità e la stupida tirannia del desiderio e la percezione che la forma non basta mai a quietarlo - che la forma, insomma, non «risolve», non può essere un escamotage per evitare l'infinita dissimmetria. Per me è tutto molto concreto, fatto di vita bruta, scema, e di salvezza cercata nelle parole, tra crisi nervose e volgarità narrative, lo sperimentalismo pasoliniano l'ho sempre percepito come nascente da un bisogno elementare di sopravvivenza (da lì deriva, per esempio, il mio secondo romanzo einaudiano, se è a questo che la Benedetti si riferisce parlando della mia «opera» distinta dal mio «lavoro di curatore»). 
Quando la Benedetti parla della «forma progetto», le mascelle già un po' si aprono per la noia, mi sembra tutto terribilmente «di testa», mi sembrano furori astratti, dove c'è molta teoria e poca letteratura, quella pratica, quella che si legge. Forse la differenza è proprio qui: che la Benedetti in fondo «avanguardizza» Pasolini, lo vuole trascinare su un terreno che gli è sempre stato estraneo, quello di un'assoluta novità «epocale» e, appunto, astratta - mentre lui era uno che anche le teorie le capiva a suo modo e le applicava sùbito, magari barando, alla scrittura - uno che non smetteva di soffrire (o di ridere) come un ragazzo, con un piede in quel che ancora non c'era e un altro nel vecchiume più kitsch.

"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
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La Divina Mimesis di Pier Paolo Pasolini

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LA SAGGISTICA - NARRATIVA
La Divina Mimesis di Pier Paolo Pasolini 
di Bookskywalker

Dal 7 all’11 dicembre 2011, al Palazzo dei Congressi del quartiere EUR di Roma, si è svolta la decima edizione della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, Più libri più liberi. La manifestazione ha ospitato 411 editori e il suo programma prevedeva 300 iniziative. L’eterogeneità e la quantità delle proposte editoriali esposte negli stand e discusse durante i vari appuntamenti, per un verso, e gli spunti di riflessione e i collegamenti intertestuali suscitati dalle medesime, per l’altro, hanno complicato il mio lavoro di critico amatoriale, perché avevo già deciso che per il mio pezzo ne avrei presa in considerazione soltanto una. Per capire come mi sono orientato tra le innumerevoli possibilità offerte dall’evento, occorre ribadire brevemente il compito di un recensore.
La funzione principale di chi scrive recensioni è la mediazione, ossia quella di interporsi fra un volume e i lettori. In questo caso, frapporsi tra la sfera letteraria e il pubblico ha due significati: da un lato, costruire un legame fra i testi e gli utenti, cioè un terreno intermedio che informi le persone dell’esistenza del libro e fornisca loro delle indicazioni critiche su quest’ultimo; dall’altro, rivendicare il ruolo di mediatore, ovvero rammentare ai lettori che di un articolo non sono rilevanti solo le parti riguardanti un’opera, ma anche quelle inerenti alle idee e alle preferenze di colui che lo ha redatto. Perciò, è recensibile un prodotto letterario che sia opportuno illustrare e segnalare ai posteri e, al tempo stesso, che consenta al recensore di esprimere il suo punto di vista. Tra i progetti editoriali mostrati alla kermesse libresca ho scelto La Divina Mimesis di Pier Paolo Pasolini – edita postuma da Einaudi nel 1975 e ristampata da Transeuropa Edizioni proprio nel 2011 –, perché si tratta di un autore importante della letteratura italiana del Novecento e fondamentale per i miei studi universitari.
Transeuropa ha ripubblicato La Divina Mimesis nella collana Inaudita Big, la cui peculiarità è l’abbinamento tra i testi e gli allegati multimediali. Per presentare la riedizione del testo pasoliniano, alle ore 12 dell’8 dicembre, presso il palco e i tavoli del Caffè letterario, l’editore ha organizzato Il testamento culturale di Pier Paolo Pasolini: La Divina Mimesis, un dibattito diretto dal linguista Giuseppe Antonelli, al quale hanno partecipato Walter Siti, curatore delle opere di Pasolini per la collana I Meridiani di Mondadori e autore della postfazione a La Divina Mimesis, da una parte, Carla Benedetti – docente di letteratura italiana contemporanea presso l’Università di Pisa e autrice del volume Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura– e il critico letterario Antonio Tricomi, i quali hanno stilato la Prefazione in forma di dialogo a La Divina Mimesis– consultabile on line seguendo le istruzioni riportate alla fine del libro –, dall’altra. Il conciso resoconto degli interventi dei tre studiosi permette di riassumere i tratti salienti dell’opera pasoliniana:

Siti ha precisato che con La Divina Mimesis Pasolini voleva imitare e attualizzare la Commedia e lo stile di Dante, perché dopo i due romanzi sulle borgate romane (Ragazzi di vita del 1955 e Una vita violenta del 1959), che lo avevano vincolato all’uso del dialetto romanesco e alla raffigurazione delle sole periferie di Roma, aveva l’intenzione di descrivere più classi e linguaggi sociali. Inoltre, egli ha aggiunto che la composizione del testo in questione, datata fra il 1963 e il 1967, è il sintomo della rinuncia di Pasolini alla filosofia marxista e, quindi, dello smarrimento nel ritrovarsi senza una spiegazione dell’esistenza.
Benedetti ha puntualizzato che la crisi derivata dall’abbandono del marxismo modificò sia le concezioni letterarie di Pasolini, sia la sua riflessione sul ruolo dell’intellettuale. A proposito della prima, Benedetti ha affermato che La Divina Mimesisè una forma progetto, ovvero l’esito della scelta programmatica di redigere non un prodotto finito, ma un prodotto allo stato potenziale; infatti, ha asserito che la titolazione dei capitoli del testo – ad esempio, Per una «nota dell’editore» e Appunti per il VII canto – e l’inserimento di alcune foto – Iconografia ingiallita (per un «poema fotografico») – suggeriscono lo schema di un’opera in divenire. Invece, limitatamente alla seconda, Benedetti ha dichiarato che Pasolini contrappose alla teoria dell’intellettuale impegnato di Sartre, che ammetteva l’eventualità di non svelare determinate verità per non indebolire le rivendicazioni di uno schieramento, quella della parresia, cioè il proposito di dire sempre e interamente la verità, facendo nomi e cognomi e anche a costo di essere osteggiati o isolati.
Tricomi, infine, ha ricordato che la sperimentazione di Pasolini con le immagini e le parole, sottolineata da Benedetti, era simile a quella del critico francese Roland Barthes e in contrasto con quella della neoavanguardia del Gruppo 63, in particolare con le posizioni di Edoardo Sanguineti, il quale, come Pasolini, aveva ripreso Dante.
La mia riproposizione della conferenza dedicata a Pasolini non esaurisce né la speculazione dei tre esperti sul corpus pasoliniano né l’interpretazione de La Divina Mimesis, ma costituisce sicuramente una chiave di lettura dell’opera e, forse, un’introduzione al pensiero di un autore che, come è stato ricordato durante la discussione, aveva intuito e affrontato le problematiche e la fine della società italiana nata con la Resistenza e la Ricostruzione.

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"Cansion", di Pier Paolo Pasolini. Omaggio a Casarsa della Delizia e al Friuli di Pasolini

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SAGGISTICA - POESIE IN FRIULANO
Gruppo folkloristico friulano
Casarsa, Stemma della città
Omaggio a Casarsa della Delizia
e al Friuli di Pier Paolo Pasolini

Il video consiste in una raccolta di immagini di Casarsa della Delizia e dei suoi dintorni, con una bellissima poesia in lingua friulana di Pier Paolo Pasolini. Le foto sono tratte da internet, dal sito web del Centro Studi Pasolini di Casarsa; quelle datate 5 e 6 aprile 2013 sono state scattate dal professore Fabien Gerard. La poesia ("Cansion", dalla raccolta "La Nuova gioventù" edita da Einaudi nel 1975) è letta da Angela Molteni, che ha prodotto questo video il 12 agosto 2013.
............(da Pier Paolo Pasolini, La meglio gioventù, Einaudi 1975) - ASCOLTA LA POESIA, AMMIRA LE FOTO, LEGGI IL TESTO QUI SOTTO 
In caso di mancanza o di disturbi nella visualizzazione del video inserito qui sopra,

Nominata per la prima volta in una bolla di Papa Lucio III nel 1183, Casarsa era allora alle dipendenze dell'Abbazia di Sesto al Reghena, mentre San Giovanni dipendeva direttamente dal Vescovo di Concordia. La Pieve di San Giovanni, a sua volta, aveva la qualifica di "pieve vescovile", ed era Chiesa Matrice di Casarsa (fino al 1440), San Vito (fino al 1258), Prodolone (fino al 1694) e San Lorenzo (fino al 1586). Il maggior sviluppo del territorio casarsese si è avuto a partire dalla seconda metà del XIX secolo, grazie alle nuove opere infrastrutturali (ferrovie e strade), che sono state di impulso alla creazione di nuove attività commerciali ed industriali. È oggi un importante centro agricolo (in particolare nel settore vitivinicolo) situato in prossimità della sponda destra del fiume Tagliamento ed un nodo ferroviario di primaria importanza per tutta la provincia di Pordenone (linee per Udine-Trieste, Venezia, Portogruaro, Spilimbergo-Pinzano al Tagliamento-Gemona). 
Fino alla fine della Guerra Fredda fu anche uno dei più noti centri militari italiani, per poi veder ridimensionata di molto la presenza dell'esercito nella zona, a causa delle mutate condizioni geopolitiche dell'area. La sua importanza come nodo ferroviario e stradale, nel corso dell'ultima guerra, le costò la semidistruzione del centro abitato ad opera degli Alleati. Importante figura culturale della cittadina fu indiscutibilmente il poeta Pier Paolo Pasolini, ora sepolto nel cimitero comunale. Con decreto del presidente della Repubblica del 25 ottobre 2000 le è stato conferito il titolo di Città. 

Monumenti e luoghi d'interesse

Chiesa di Santa Croce e San Rocco 
Costruita nel XV secolo, è la vecchia chiesa parrocchiale. L'attuale aspetto esterno si deve a una riduzione delle dimensioni, avvenuta nell'Ottocento, causa la costruzione della nuova parrocchiale. La chiesa di Santa Croce e San Rocco ha importanza perché al suo interno contiene, alle pareti, un ciclo di affreschi cinquecenteschi di Pomponio Amalteo o del Pordenone (di attribuzione non certa, causa la vicinanza dei due pittori). Fino al 1944-1945, quando la chiesa subì pesanti bombardamenti, la volta era affrescata, anch'essa ad opera del pittore friulano Pomponio Amalteo.
Nel 1975 fu in questa chiesa che si tennero i funerali di Pier Paolo Pasolini; questa chiesa è legata anche all'opera del poeta, avendolo ispirato per la tragedia I turcs tal Friul: infatti vi è custodita una lapide del 1529 in memoria dell'invasione turca subita da Casarsa nel 1499, qui trasferita dalla Chiesa della Beata Vergine delle Grazie, oggi non più esistente, che era sita in prossimità della chiesa arcipretale di S. Croce e B.V. del Rosario (ne sono stati ricalcati i segni della pianta sulla pavimentazione di Piazza Cavour, in seguito al rifacimento della stessa).

Chiesa Arcipretale di S. Croce e B.V. del Rosario
Costruita negli ultimi decenni del XIX secolo, la chiesa arcipretale è nel cuore del paese, poco distante dalla casa materna di Pasolini. 
L'edificio si caratterizza specialmente per i due campanili gemelli ai lati della facciata, entrambi dotati di quattro monofore e di due orologi. All'interno sono conservate numerose opere di artisti friulani del Novecento, fra le quali numerosi affreschi.

Capitello votivo del Borc di Sora
Struttura votiva popolare situata in via Valvasone, il capitello del Borc di Sora è un edificio caratteristico: è un sacello con frontone sostenuto da quattro colonne, con all'interno un altare. 
Sul tetto due pilastrini sostengono una campana di dimensioni medio-grandi.

Architetture civili
La tomba di Pier Paolo Pasolini, nel cimitero di Casarsa. Progettata dall'architetto friulano Gino Valle, la tomba di Pier Paolo Pasolini è nel cimitero di Casarsa, a sinistra dell'ingresso. 
Si tratta di un sepolcro semplice, costituito da una lapide grigia posta sul terreno, con inciso solamente PIER PAOLO PASOLINI / (1922-75). Tale lapide è posta a fianco di una lapide gemella, quella del sepolcro materno, entrambe incorniciate da un'aiuola: a ricordare il profondo legame che tenne uniti per tutta la vita Pier Paolo e Susanna. Malgrado la modestia e la mancanza di decori, Gino Valle segnala con due elementi la presenza del poeta: una sottile striscia di marmo che parte dalla tomba pasoliniana è rialzata tra la ghiaia del cimitero, facendo rallentare e porre l'attenzione sulla tomba all'ignaro passante. Inoltre un alloro, simbolo antico del poeta, cresce all'interno dell'aiuola, ombreggiando la lapide. Anche la tomba di Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo morto nella lotta partigiana, è nel cimitero di Casarsa, a destra dell'ingresso, assieme a quella degli altri caduti locali per la Liberazione.

Casa materna di Pasolini
Edificio addossato a via Guido Pasolini, verso la piazza Centrale di Casarsa. 
La casa di Susanna Colussi, dove il poeta passò momenti fondamentali dell'infanzia, è oggi sede del Centro Studi Pier Paolo Pasolini: qui sono custoditi numerosi suoi documenti e dipinti degli anni friulani.

Palazzo Municipale
Esempio di architettura moderna, progettato dall'architetto Gino Valle, il Municipio fu costruito tra il 1966 ed il 1974.

Lingue e dialetti
A Casarsa della Delizia, accanto alla lingua italiana, la popolazione utilizza il friulano occidentale. Nel territorio comunale vige la Legge regionale 18 dicembre 2007, n. 29 "Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana", con la quale la Regione Friuli Venezia Giulia stabilì le denominazioni ufficiali in friulano standard e in friulano locale dei comuni in cui effettivamente si parla il friulano. Il dialetto casarsese appartiene al ramo linguistico del Friulano occidentale (o concordiense). È parlato a Casarsa e, con poche varianti, in tutto il circondario, da San Vito al Tagliamento fino a San Martino al Tagliamento, e da Zoppola fino al fiume Tagliamento. La parlata tradizionale (quella delle opere di Pasolini) si è tuttavia in gran parte perduta, per lasciar posto ad un dialetto fortemente contaminato dalla lingua italiana e dal veneto. A San Vito, in particolare, la contaminazione del veneto è molto evidente, così come nella stessa Casarsa, in misura minore. Resiste invece maggiormente nei piccoli centri agricoli a nord di Casarsa, dove le influenze esterne sono state minori. 

Musei
Centro Studi Pier Paolo Pasolini

Teatri
Teatro Civico "Pier Paolo Pasolini"
  
Riferimenti artistico-letterari
Riferimenti a Casarsa e alle sue frazioni sono presenti in numerosissima parte della prima produzione letteraria di Pier Paolo Pasolini. Un riferimento a Casarsa è presente nel libro "Gomorra" di Roberto Saviano. La canzone "Il soldato di Napoleone", cantata da Sergio Endrigo, presenta un riferimento a Casarsa nella prima strofa. Nel film "Tutta colpa del Paradiso" di Francesco Nuti, il protagonista Romeo Casamonica (Francesco Nuti) dichiara alla direttrice (Laura Betti) di aver prestato servizio militare a Casarsa della Delizia.
Sergio Endrigo, Il soldato di Napoleone 
Frazioni
San Giovanni è la frazione principale del comune, Sile (o Villa Sile) e San Floreano sono invece piccoli borghi (quest'ultimo ormai completamente assorbito da San Giovanni). Versutta, ormai inglobata in San Giovanni (Versuta nella parlata locale) rileva per la presenza di Pasolini.

La realtà economica attuale
Le maggiori realtà economiche della cittadina sono di natura cooperativa: la Cooperativa di Consumo di Casarsa (fondata nel 1919) e la Cantina Sociale La Delizia (fondata nel 1931 - la più grande del Friuli - Venezia Giulia), entrambe ben consolidate nel tessuto economico cittadino, provinciale e regionale, simboli del connubio tra agricoltura, industria e commercio, che ha interessato Casarsa nel corso del XX secolo. La cittadina è anche ricca di insediamenti artigianali e piccolo-medio industriali, in continuità e sinergia con l'ampio tessuto economico del Nordest italiano. L'agricoltura è comunque il settore più rappresentativo: Casarsa è uno dei maggiori centri agricoli nel settore vitivinicolo di tutto il Friuli. La tradizione enologica è talmente consolidata nel tempo, che una delle principali forme di allevamento della vite, internazionalmente riconosciuta ed adottata dai produttori anche di altre parti di Italia e del mondo, si chiama proprio "Casarsa", in onore della cittadina (dove pare sia stata inventata).






[Rielaborazione del testo da Wikipedia, agosto 2013]
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"Studi pasoliniani" n. 7, 2013 - SOMMARIO

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LE NOTIZIE

"Studi pasoliniani"

n. 7, 2013

SOMMARIO

° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° °

Saggi

-  Guido Santato, Il futuro in Pasolini: un "non-tempo"
-  Roberto Chiesi, Un teatro di maschere tedesche. Matrici dell'episodio moderno di   «Porcile»
-  Laureano Nuñez Garcia, La diffusione e la traduzione  della poesia di Pasolini in Spagna
-  Mahmoud Jaran, Pasolini, Fanon e l'umanesimo transnazionale
-  Giovanna Trento,  Il «corpo popolare» secondo Pasolini 
-  Mathias Balbi, Fariseo quanto alla società. Pasolini e il sogno del «San Paolo» (1966-1975)
-  Emanuela Patti, Pasolini, intellettuale mimetico


Rassegne

-  Bibliografia pasoliniana internazionale (2007-2013), a cura di Roberto Chiesi, Francesca Fanci e Lapo Gresleri


Recensioni

-  G. Borgna, A. Baldoni, Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra, Firenze,  Vallecchi 2010 (Matteo Marelli).
-  In danger. A Pasoliny anthology, ed. by Jack Hirschman, San Francisco, City Lights Books, 2010 (Francesco Marco Aresu).
-  Hervé Joubert-Laurencin, «Salò ou les 120 journées de Sodome» de Pier Paolo Pasolini, Les Editions de la Transparence, Paris 2012 (Roberto Chiesi).
The scandal of self-contradiction. Pasolini's multistable subjectivities, geographies, traditions, ed. by Luca Di Blasi, Manuele Gragnolati and Christoph Holzhey, Wien-Berlin, Turia-Kant,   2012 (Paolo Rondinelli).
-  Pier Paolo Pasolini, My cinema, a cura di Graziella Chiarcossi e Roberto Chiesi, Edizioni  Cineteca di Bologna, 2012 (Lapo Gresleri).
Pasolini a casa Testori. Dipinti, disegni, lettere e documenti, a cura di GiovanniAgosti e Davide Dall'Ombra, Cinisello Balsamo, Casa Testori-Silvana Editoriale, 2012 (Roberto Chiesi).

  
Notizie

2012-2013

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Da Monteverde al mare di Giuseppe Lorin Recensione di Angela Molteni - I LUOGHI DI PASOLINI

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LA SAGGISTICA - LIBRI
Da Monteverde al mare
di Giuseppe Lorin
Recensione di Angela Molteni

I LUOGHI DI PASOLINI

Non si tratta di una guida turìstica, ma la testimonianza e l'orgoglio di chi vive sulla sponda destra del Tevere, in un'altura denominata Monteverde ancora accarezzata dal ponentino e che non rientra nei sette colli della Roma degli imperatori, ma che è stata da questi osservata e ammirata dai loro palazzi sul colle Palatino, come eventuale sede di una loro tranquillità di vita, lontano dalle tensioni del governare la respublica. Monteverde incarna la zona intellettuale, artistica, bohémien di Roma racchiusa nella sua bellezza discreta, ed è per questo motivo che sono orgoglioso di presentarla a chi non conosce i suoi più reconditi "segreti". È un  descrivere minuziosamente i luoghi, gli eventi storici, i personaggi e le loro abitazioni che hanno decretato nei secoli il valore culturale-artistico di Monteverde, così vicino alla Storia. 
Giuseppe Lorin
*  *  *

Da Monteverde al mare, di Giuseppe Lorin

«Non si tratta di una guida turistica, ma la testimonianza e l’orgoglio di chi vive sulla sponda destra del Tevere, in un’altura denominata Monteverde ancora accarezzata dal ponentino e che non rientra nei sette colli di Roma degli imperatori […]», scrive Giuseppe Lorin in apertura al suo recentissimo Da Monteverde al mare.

In effetti, per Monteverde si tratta realmente di una delle zone più ricche di tradizioni, d’arte e di storia della grande Roma e Lorin ce ne parla con tutto l’amore che traspare dal racconto che egli ci porge di uno dei luoghi della sua città e del suo straordinario quartiere.

Così, l’Autore ci prende per mano e ci conduce per le strade di Monteverde a conoscere e ri-conoscere i punti più pregnanti e significativi di questa parte della città che per molti versi è riuscita, nel tempo, a mantenere la proprio impronta, a ricordare le proprie tradizioni.

Per ammirare i palazzi più belli e ricchi di vestigia storiche, ma anche quelli di edilizia popolare di cui ha tra l’altro parlato nei suoi lavori Pier Paolo Pasolini: è molto significativo che il primo romanzo pasoliniano, Ragazzi di vita (1955) sia proprio ambientato nell piazze e nelle strade di Monteverde. E lo stesso Pasolini fu a lungo tra gli abitanti di quel quartiere.

Non si tratta certamente di una guida turistica, ma ritengo sia molto importante tenerla comunque a portata di mano quando si percorreranno le vie del quartiere e si scopriranno bellezze artistiche ineguagliabili e insediamenti che fanno di Monteverde uno dei quartieri più popolari della Capitale. Concorrerà senz’altro, in questo caso, a far scoprire anche le bellezze nascoste del quartiere, e a farlo amare di chi avrà la fortuna di incontrarsi con i testi di Giuseppe Lorin.

Il profilo che subito viene in mente parlando di questa affascinante zona della grande metropoli è quello di essere un vero e proprio polmone verde di Roma oltreché una testimonianza della grandezza storica e monumentale nella quale quotidianamente si specchiano i suoi consapevoli abitanti. E questo, in un’epoca storica purtroppo caratterizzata dalla mancanza pressoché totale di un’etica ecologica, non è cosa da poco.

Il modo di narrare di Lorin è semplice ma efficace e ci svela le bellezze del quartiere oltre alla gioia di vivere dei suoi abitanti. L’Autore ci invita anche, in un certo senso, a percorrere i viali di ciò che maggiormente la caratterizza dal punto di vista paesaggistico; quelli del Parco di Villa Pamphilj, il più grande tra i Parchi romani, una vera, splendida dimostrazione di unicità all’interno di una delle più belle città del mondo.

Angela Molteni
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L'invitato speciale - Pasolini cittadino di Monteverde

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Giuseppe Lorin nel suo impegno culturale attraversa molte forme di esperienze artistiche e letterarie: è attore, poeta, regista, romanziere, critico letterario, autore e giornalista.Lui ama definirsi semplicemente “uomo di cultura”.
Giuseppe Lorin, dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico", si è specializzato all’International Film Institute of London con Richard Attemborough. Laureato in Psicologia all’Università  “La Sapienza” di Roma nel 1987 è giornalista iscritto alla Free lance International Press, collabora con varie testate giornalistiche on web e cartacee, tra cui Orizzonti, ediz. Aletti, distr. Feltrinelli; Rivista San Francesco d’Assisi; Roma Capitale magazine.it; L’Unico.it; Gliautori.it;   www.clicknews.altervista.org; www.periodicodaily.com; Periodico Italiano mag; Il Tempo.it; Nuovi Argomenti.org; Rossovenexiano.it; Partecipiamo.it;  Servire, trimestrale del Sovrano Militare Ordine di Malta.
Dal 1989 è specializzato in Marketing & Pubblicità c/o Università Luigi Bocconi di Milano. Ha lavorato con registi come Luca Ronconi, Giuliano Montaldo, Orazio Costa Giovangigli, Gianni Amelio, Roberto Faenza, Franco Giraldi, Vittorio Sindoni, Ruggero Jacobbi, Andrea Camilleri, Mario Landi, Giorgio Presburger, ed altri... È docente di recitazione e dizione de “La magia dell’interpretazione con il Metodo Mimesico”; ha collaborato con l'Università "La Sapienza" Roma 3, con la Scuola delle Arti dello Spettacolo - S.A.S. - diretta da Enzo De Camillis, con La Fucina, e con altre Accademie Nazionali e private.
Ha vinto vari premi e riconoscimenti. È nel sito ufficiale di Pier Paolo Pasolini con sue Poesie, articoli, interviste ed il testo teatrale “Scartafaccio, liturgie pasoliniane”.
È l’autore di:
MANUALE DI DIZIONE”, con prefazione di Corrado Calabrò, già presidente AGICOM garante della Comunicazione Italiana, e Dacia Maraini.
DA MONTEVERDE AL MARE, IL VALORE CULTURALE E  ARTISTICO DI UN’AREA STORICA DI ROMA”, con prefazione del principe Jonathan Doria Pamphilj.
Acquistabili anche direttamente dall’Autore.
È su Facebook, Linkedin, Youtube, Twitter.
Ulteriori informazioni in internet su GOOGLE scrivendo il suo nome e cognome.
@: giuseppelorin@yahoo.it
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi
Nel sito, negli archivi e nei sommari potrai trovare gli ipertesti, gli interventi,
le notizie contenuti in oltre tredicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini descritto da Angela Molteni che si racconta - Scritto da Giuseppe Lorin il 15 agosto 2013

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"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA - INTERVISTA
Pier Paolo Pasolini
descritto da Angela Molteni che si racconta
Di  Giuseppe Lorin 


“Figura centrale della cultura italiana del secondo dopoguerra, Pier Paolo Pasolini è stato un intellettuale versatile: poeta, scrittore, regista e drammaturgo, saggista, filologo, ma anche giornalista di razza”. Così Angela Molteni ricorda Pier Paolo Pasolini in occasione della trasmissione Rai Storia, sul digitale terrestre del 23 maggio 2013, dal titolo “Storie Sospette”, una produzione Res per Rai Educational. “Pier Paolo Pasolini è al centro di questa quarta puntata. Dopo i suoi esordi friulani, la grande notorietà lo raggiunge a Roma dove nel frattempo si è trasferito nel 1950. I suoi romanzi (Ragazzi di vita, Una vita violenta), le sue raccolte poetiche (Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo) e soprattutto i suoi film (Accattone, Mamma Roma, La ricotta) fanno subito discutere e attirano continue denunce.
Ma soprattutto la sua vita privata suscita scandalo e lo pone al centro di accuse e processi. La verità è che di Pier Paolo Pasolini non si accettano la sua dichiarata omosessualità, la sua adesione al marxismo e, soprattutto, il suo anticonformismo. Spirito libero e ribelle, diventa presto indigesto alla destra, al potere e non è neppure amato, salvo alcune eccezioni, dalla sinistra.
Raggiunge l’apice di questo suo essere fuori da tutti gli schemi, negli ultimi anni della sua vita, quando dapprima contesta, con grande coraggio, gli stessi contestatori del ’68, e poi, in particolare dalla prima pagina del “Corriere della Sera”, denuncia con toni lucidi e vibranti il degrado della società italiana, devastata dal consumismo e da uno sviluppo senza progresso. Toni e temi presenti, oltre che negli Scritti corsari e nelle Lettere luterane, anche nelle sue ultime opere, il film Salò o le 120 giornate di Sodoma e il romanzo Petrolio, che uscirà, incompiuto, soltanto diciassette anni dopo la sua morte.
Morte che avviene nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia in circostanze tuttora non chiarite. Morte che si tentò di far passare per il delitto di uno di quei “ragazzi di vita” che lo scrittore aveva tanto amato, ma che, ormai, dopo varie inchieste ed ipotesi, appare sempre più come il frutto di un complotto ordito da chi aveva interesse a far tacere per sempre la voce del poeta”.

D – Ma chi è Angela Molteni?
R – Sono nata a Milano, dove ho vissuto e lavorato a lungo. Da un paio d’anni, essenzialmente per motivi di salute, mi sono trasferita in un piccolo centro vicino Milano. Da bambina, il mio sogno era quello di far parte di una famiglia patriarcale, sull'esempio di quelle che si incontravano all'inizio del Novecento nelle campagne italiane. Ne avevo letto, l'avevo anche vista rappresentata nei film, e l'idea mi garbava. Mi dicono che non esistano più, né le famiglie né le campagne!

Angela Molteni ha modellato la sua preparazione culturale secondo gli interessi che più riuscivano a coinvolgerla emotivamente; autodidatta, ha una lunga e intensa esperienza lavorativa. Negli anni Sessanta e Settanta si è dedicata anche ad una intensa attività politica e sindacale. Il suo unico figlio, Lorenzo, di cui è molto orgogliosa, è dirigente di una Casa editrice milanese. Per tutta la vita ha lavorato con Case editrici, per oltre vent’anni come dipendente (Longanesi, Mursia, Bietti) e dal 1976 come collaboratrice esterna (Garzanti, Fabbri, Rizzoli, Longanesi, Bruno Mondadori, Sperling). Dalla seconda metà degli anni Ottanta, con l’avvento dell’informatica ha riconvertito grazie a un computer il suo lavoro su carta (fotocomposizione e revisione testi, impaginazioni, ricerche iconografiche, statistiche).

D – Ci racconti del tuo impegno lavorativo di quegli anni?
R – Malgrado la crisi che da un paio d’anni crea non pochi problemi anche e soprattutto nel mondo del lavoro, mi occupo ancora di libri, faccio parte dell'ampia schiera dei collaboratori esterni delle aziende editoriali, dalla revisione dei manoscritti alla composizione elettronica dei testi, dalla revisione delle bozze all'impaginazione. Prima di tale attività autonoma, sono stata dipendente di case editrici quali Longanesi, Mursia, Bietti. Inoltre, tra le mie attività vi è la creazione di siti web, che confeziono anche per privati e aziende. Sulla confezione di pagine html ho anche tenuto corsi presso Elea/ex Olivetti e l'associazione “Le professioni milanesi per la solidarietà” oltre ad aver scritto un Manuale html, con esempi pratici. Si tratta, in ogni caso, di lavoro non continuativo, che mi lascia sufficiente spazio per coltivare alcuni interessi: la lettura, con un amore sviscerato per la poesia, ma anche per i libri di contenuto politico e storico; la buona musica, senza distinzione di generi, ma con una predilezione particolare per le composizioni di Johann Sebastian Bach; le arti figurative, per le quali mi piace andare “oltre la superficie”, sapere cioè quale sia stata la genesi delle opere che ammiro nei musei e nelle gallerie e conoscere il più possibile sull'esistenza spesso durissima dei loro autori.

D – Quanto della tua passione hai trasferito in tuo figlio?
R – Dopo aver studiato chimica, si è lasciato "corrompere" dalle "libresche" passioni materne e si dedica oggi all'editoria, oltre che al suo magnifico terrazzo fiorito e alla sua deliziosa e sensibile compagna, Paola.

Angela Molteni è una estroversa e di carattere allegro anche se non proprio spensierato; sta molto volentieri in compagnia degli amici, anche se spesso le piace avere momenti “solitari” nei quali meditare e riflettere sui tanti problemi che, da sempre, l’affliggono senza farli pesare sulle persone a lei care. Apprezza immensamente le vere e profonde amicizie e considera preziosi la fiducia, la lealtà e l'affetto degli amici.

D – Tra la carta stampata quali giornali prediligi?
R – Il mio quotidiano preferito è “il manifesto”; qualche volta leggo anche "la Repubblica". Per principio, non acquisto i cosiddetti settimanali femminili, né leggo libri di collane "rosa". Sempre più raramente compro “L'Espresso”; sempre più spesso leggo “Micromega”. Apprezzo molto le pubblicazioni di satira politica, anche se pare siano pressoché sparite dalla circolazione.

D – Quali libri di base consiglieresti di leggere a chi sta per avere il vizio di scrivere?
R – Posso parlare dei libri che hanno contribuito alla mia formazione e qui ricordo L'idiota e Il giocatore di Dostoevskij, I raccontidi Cechov, La coscienza di Zeno di Svevo, Madame Bovary di Flaubert, Gli indifferenti di Moravia, Teorema di Pasolini, La storia di Elsa Morante, Palomar di Italo Calvino, Io, Francodi Manuel Vázquez Montalbán, il Decameron di Giovanni Boccaccio; inoltre, un gran numero di saggi e di documenti socio-politici, tra cui, in particolare, Passato e presente, Il materialismo storico, Gli intellettuali e le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Poi c’è la poesia, soprattutto quella di Franco Fortini, di Pier Paolo Pasolini, di Pablo Neruda, Prévert, Lorca, Montale, Pessoa. Continuo a essere un'assidua lettrice: prediligo i volumi di poesie, che leggo e rileggo con un piacere e un'emozione sempre rinnovati, ma non trascuro la narrativa: negli ultimi tempi ho letto soprattutto Pennac e Vázquez Montalbán.

D – I film e i registi che ti sono piaciuti di più?
R – Tempi moderni e Il grande dittatore di Chaplin, veri, insuperati capolavori di tutti i tempi; La dolce vita e Roma di Fellini, Roma città aperta di Rossellini, Zelig e Manhattan di Woody Allen, Caro diario, Ecce bombo e Il caimano di Nanni Moretti, Novecento, L'ultimo imperatore e The Dreamers di Bernardo Bertolucci, Il Vangelo secondo Matteo, Accattone, Teorema e Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini, Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, Fronte del porto di Kazan, Terra e libertà di Ken Loach, La vita è bella di Benigni. Poi, centinaia di altri, tra cui i film di Truffaut, di Sergio Leone, di Hitchcock, di Stanley Kubrick, ...

D – Angela Molteni e la musica?
R – Amo la musica, tutta la buona musica, e per “buona” intendo quella che abbia dei contenuti, all'interno della quale si intraveda un minimo di architettura, di ispirazione; quella in cui l'autore abbia espresso un'idea, una sensazione, un'emozione e sappia trasmetterla.
Ascolto molta musica, da quella antica a quella dei compositori e sperimentatori contemporanei: così, può darmi piacere ascoltare una Messa di Palestrina, una Danza rinascimentale, un Concerto di Vivaldi, un Intermezzo di Brahms, una canzone dei Beatles, di Mina o di De Andrè, un brano di Miles Davis o di Nat King Cole, una composizione di Schönberg, di Nono o di Stockhausen oppure un'intera opera di Verdi. Se proprio devo confessare le mie preferenze, ebbene esse vanno anzitutto alla musica di J.S. Bach, in particolare mi riferisco ai Concerti brandeburghesi, alle Passioni e poi alle Partite per tastiera, al Clavicembalo ben temperato, alle Variazioni Goldberg, all'Arte della fuga, poi a quella di Beethoven, le Sonate per pianoforte, per intenderci, le Sinfonie, in particolare la Terza, la Settima e la Nona, i Concerti per pianoforte e quel gioiello che è il Concerto per violino. Tra le preferite vi sono poi molte composizioni di Schubert, Schumann, Chopin, Brahms e Shostakovich.

D – Tra tutti questi mostri sacri non hai nominato Mozart; c’è una ragione?
R – No, non ho escluso Wolfgang Amadeus Mozart: certo che la sua musica, tutta la sua musica, è tra quelle che più adoro! Ma, per Mozart, il mio amore va oltre la musica e riguarda anche la sua persona, con le sue grandezze e le sue debolezze, con la sua mitezza e le sue contraddizioni, con la sua allegria e la sua disperazione: non mi do pace, a oltre duecento anni dalla sua scomparsa, che sia morto in miseria, tanto da essere sepolto in una fossa comune, e non dimentico mai, ogni 27 di gennaio, di brindare alla sua nascita: a oltre duecentocinquant'anni da quando venne al mondo, a me Mozart pare sempre quel ragazzo che non è riuscito mai a superare le sue crisi adolescenziali. Che cosa mi piace di più di Mozart? Beh, è un bel problema scegliere: Don Giovanni, Il flauto magico, i Concerti per pianoforte, le Sinfonie, l'Ave Verum, il Requiem...

D – Quando è che Angela Molteni suona il pianoforte?
R – Quando tutto pare andare storto, oppure provo qualche dispiacere; quando il lavoro scarseggia e mi arrivano contemporaneamente la bolletta della luce, quella del telefono e l'avviso di pagamento del premio assicurativo; quando piove in continuazione e Milano è più simile a una palude che a un luogo in cui vivere; quando anche l'amico più caro sembra voltarmi le spalle senza motivo plausibile, beh, allora mi estraneo da tutto ciò che mi circonda suonando Bach al pianoforte, con grande soddisfazione mia e dei vicini di casa!

D – Angela Molteni e le pagine web dedicate alla memoria storica e culturale di Pier Paolo Pasolini?
R – Le pagine dedicate a Pier Paolo nascono da un incontro casuale in rete. Nel 1996-97 apparivano in Internet i primi siti personali di navigatori italiani ed ero curiosissima di leggere le biografie, gli interessi, il carattere che si esprimeva attraverso quelle pagine. Tra i molti siti che visitai ce ne fu uno in particolare che attrasse la mia attenzione: si trattava di quello di uno studente romano di ventidue anni, Massimiliano Valente. Oltre a parlare di Roma, dei suoi dintorni e di se stesso, aveva dedicato un capitolo del suo sito a Pier Paolo Pasolini.
Massimiliano si dichiarava entusiasta di aver potuto avvicinare questo scrittore, i cui saggi e romanzi aveva letto dopo le scuole superiori. Ciò che più l’aveva affascinato erano le inusuali, spesso minuziose descrizioni di Roma che appaiono nei romanzi, nelle poesie, nei film di Pasolini e il giornalista critico e informale degli Scritti corsari e di Lettere luterane. Istintivamente gli scrissi un breve messaggio con cui mi complimentavo per la sua maturità e il suo impegno e per avere riservato attenzione a un autore che a mia volta avevo sempre amato. In breve, vi fu uno scambio di e-mail da cui prese forma l’idea di creare un sito web dedicato a Pier Paolo.

D – Quanto tempo richiese la raccolta dati per far partire il sito dedicato a Pasolini?
R – Dopo che mi ero attivata presso Garzanti per avere chiarimenti sui comportamenti che avremmo dovuto adottare per il rispetto dei diritti d’autore, iniziammo a raccogliere e a scambiarci materiali vari tra cui brani dall’opera letteraria di Pasolini, notizie sui film, commenti e recensioni nella maggior parte dei casi scritte da noi stessi. Dopo oltre sei mesi di ricerca e di redazione di testi, un lavoro che definirei “a tempo pieno”, spesso protratto anche per buona parte della notte, progettammo una struttura del sito che non differisce granché da quella attuale, sezioni dedicate ad aspetti della vita e dell’opera di Pasolini. Le sezioni del sito pasoliniano erano e sono: La vita, Il cinema, La poesia, Il teatro, La narrativa, L’ideologia, La saggistica, I processi. Nel novembre 1997 Massimiliano Valente rinunciò al “progetto Pasolini”. Nel frattempo avevo acquisito anch’io la tecnica sufficiente per creare, a mia volta, pagine in linguaggio html e fui in grado di continuare da sola, cosa che da allora proseguo senza tregua. Per prima cosa mi dedicai a un restyling del sito e ad un suo ampliamento, per esempio, inserii tutta la sezione dei “processi” riguardante quello a Pino Pelosi, frutto di un libro che Kaos Edizioni mi aveva nel frattempo autorizzato a utilizzare integralmente; oppure molti brani contenuti nella “sala d’ascolto”.

D – Che sviluppo ebbe il sito dedicato a Pier Paolo?
R – “www.pasolini.net / http://pasolinipuntonet.blogspot.com” è cresciuto esponenzialmente da quel lontano 29 luglio 1997 e l’aggiornamento di “Pagine corsare” richiede un’attenzione costante. I visitatori a oggi sono quasi cinque milioni, distribuiti in una settantina di Paesi nel mondo (a ciascun Pese è dedicata almeno una pagina a sé stante). Le visite giornaliere al blog sono attestate a oltre duemila quotidiane; l’interattività fa sì che vi sia maggiore interscambio di commenti e di proposte da parte di chi fruisce del sito; i domini (pasolini.net e pierpaolopasolini.eu) sono attualmente rinnovati fino al 2020, il che garantisce la presenza delle mie pagine pasoliniane in rete per lungo tempo. Oggi, la maggior parte delle mie giornate è dedicata alla cura del sito pasoliniano. Il lavoro sulle pagine pasoliniane consiste non solo nella riproposizione delle opere dello scrittore e regista arricchite da commenti e recensioni che sono all’ordine del giorno, ma anche nelle citazioni da opere originali di Pasolini, ovviamernte limitate per quanto esige una attenzione scrupolosa al copyright; e infine nella ricerca di materiali critici o informativi che raccolgo man mano e che utilizzo per gli aggiornamenti. Basti pensare che se il sito, oggi, contiene oltre 1 Gb di materiali, le cartelle del mio computer con materiali per gli aggiornamenti ne contengono tre volte tanto.

D – L’“incontro” tra Angela Molteni e Pier Paolo Pasolini come avvenne?
R – Un amico carissimo mi regalò, per il mio compleanno del 1968, Teorema. E fu una lettura sconvolgente e indimenticabile, tale da farmi amare in modo irreversibile il suo autore che conoscevo fino a quel momento piuttosto superficialmente, e soprattutto attraverso qualche suo film. Teorema fu per me l’incontro con Pier Paolo Pasolini, la scoperta del suo senso critico nei confronti della società com’era sul finire degli anni Sessanta, e di quanto ci stessimo lentamente e inesorabilmente trasformando tutti quanti in repellenti individui piccolo-borghesi ai quali non sarebbe rimasto intorno altro che un arido deserto nel quale, magari, urlare disperatamente.
Dopo aver letto Teorema, cercai i primi romanzi e la saggistica di Pasolini, molte sue poesie e anche le opere teatrali. E vi furono, imperdibili, i saggi pubblicati dal “Corriere della Sera”: ogni articolo, una lezione magistrale. Il consumismo, il conformismo a certi modelli dettati soprattutto dal potere dei media, in primo luogo dalla televisione con la sua essenza omologante talché una delle convinzioni profonde di Pasolini era che occorresse abolirla; la mutazione antropologica di un intero popolo, il nostro, erano i temi ricorrenti in modo quasi maniacale in tutti gli scritti pasoliniani. Gli argomenti trattati nei suoi romanzi, nei suoi film che conoscevo meno e soprattutto nei suoi saggi rivelano, del loro autore, una tale preparazione culturale e linguistica, accuratezza, profondità di analisi e visione realistica della società del suo tempo con i suoi problemi e le sue drammatiche contraddizioni, da renderli profondamente formativi oltre che indimenticabili.
Paradossalmente, Pasolini, uomo mite e generoso, aveva elaborato ipotesi che paiono perfino ottimistiche rispetto alla realtà qual è oggi: la mutazione antropologica, ormai, è avvenuta ed è andata oltre qualsiasi previsione, in questa società ferocemente neocapitalistica nella quale l’uomo medio pare proprio essere quello della definizione pasoliniana: “… un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista…”

D – Una tua riflessione sull'insieme dell’informazione, della comunicazione, della creatività che è ormai trasferita su Internet?
R – Internet è uno spazio dove non ci sono frontiere, dove nel bene e nel male, tutto è trasparente, dove non si viene giudicati per la religione che si professa o per il colore della pelle. La natura democratica di Internet rende per la prima volta possibile a tutti l’accesso a dati scientifici o addirittura agli strumenti che li producono; nei campi della medicina, della legge e della finanza, Internet dà accessibilità a informazioni che prima erano riservate agli specialisti di questi campi.
Prima si scriveva su un supporto personale e la comunicazione era sempre tra persona e persona (chi scriveva una lettera, un libro, un articolo e chi lo leggeva). Ora si comunica su una specie di supporto universale, sul web, dove tutti possono scrivere, leggere quello che gli altri annotano, controbattere, dialogare esprimendo i propri commenti, le proprie opinioni su una pluralità di temi. Tutto ciò diventa come una specie di memoria collettiva, dove si può cercare tra milioni di siti web ciò che ci interessa conoscere o far conoscere. Ovviamente occorre autoeducarsi a discernere tra il marasma di pagine presenti in Internet: certamente vi è molta "spazzatura", ciò che invece mi pare manchi – anche se purtroppo non del tutto - è l'ipocrisia. La presenza di Pier Paolo Pasolini e del suo messaggio su quella “rete delle reti” che è Internet (oltre un milione di siti nel mondo riportano notizie su di lui, un terzo di essi risultano promossi e gestiti in Italia) è un aspetto rilevante da considerare attentamente e sul quale riflettere. 

Angela Molteni in una foto recente
D – Pier Paolo cosa avrebbe pensato, secondo te, dell’uso linguistico tramite Internet?
R – L’aspetto linguistico che può plausibilmente far credere che Pasolini avrebbe apprezzato Internet è che nonostante la rete sia costretta a usare l'inglese come lingua franca, io penso che questo non rappresenti una egemonia anglosassone sulla rete. Le culture locali e i dialetti che prima di Internet erano assediati dalle lingue e dalle culture egemoni, ora possono godere di una visibilità mondiale: qualunque persona interessata può far rivivere quelle culture. Da questo punto di vista Internet è un nuovo, gigantesco passo avanti dell'umanità dopo l'invenzione della scrittura e della stampa, poiché permette la conservazione di tutti i patrimoni culturali, anche i più particolari, emarginati e dimenticati. Pasolini è stato, tra l’altro, poeta dialettale: ha utilizzato e ricreato il friulano, la lingua materna dell’infanzia e della giovinezza e quella del suo primo libro pubblicato [Poesie a Casarsa, 1942]. Ebbene, a mio parere Pasolini, oltre ad apprezzare Internet, se ne sarebbe magistralmente servito.

D – Pier Paolo Pasolini affermava “Io so chi sono gli autori delle stragi...”; Angela, una tua riflessione?
R – La forza e l'attualità del pensiero pasoliniano risiedono soprattutto nella ricorrente, ossessiva denuncia dell'omologazione culturale e consumistica esercitata dal potere, politico, economico e della comunicazione, in Italia; omologazione che avrebbe distrutto le culture preesistenti e sarebbe stata causa di una vera e propria mutazione antropologica degli italiani. Molti definiscono impropriamente un Pasolini “profetico”: ma non di profezie, evidentemente, si tratta, bensì di intelligente e puntigliosa osservazione della realtà per scoprirne i prodromi, mettere a nudo le avvisaglie della trappola che a medio e lungo termine sarebbe scattata, così come è scattata! Ed eccola, la trappola, da cui siamo stati catturati: i valori, gli ideali, sono oggi incarnati dal denaro e da ciò che esso può dare. Tutto è all'insegna del consumismo e del profitto: si sfrutta, oggi più che mai, chi lavora. Il neocapitalismo impera su tutti i fronti!

D – È risaputo ormai che nella istruttiva e analitica sentenza di primo grado per l’assassinio di Pier Paolo Pasolini, corretta tuttavia con sorprendente rapidità dal processo d’Appello, è scritto tra l’altro che: “Le lesioni riportate dal Pasolini e il luogo in cui vennero ritrovati i vari reperti escludono nel modo più sicuro che i fatti si siano svolti così come li ha rappresentati il Pelosi e danno nello stesso tempo una significativa prova della necessaria presenza sul posto di più persone…” Ad oggi cosa c’è ancora da supporre?
R – Nella sentenza di primo grado del processo a Pino Pelosi, sostenuta da numerose e cogenti prove indiziarie tutte descritte minuziosamente, è più che accertato che nell’omicidio di Pier Paolo Pasolini vi sia stato “concorso di ignoti”, circostanza d’altronde ribadita dallo stesso Pelosi nel maggio 2005. Più d’uno, specialmente tra i numerosi detrattori dell’artista, hanno voluto cogliere nella drammatica fine del poeta l’inevitabile esito di una condotta ambigua, quasi che l’uomo, con i suoi comportamenti, contraddicesse l’intellettuale. Ora, in una società che viveva, e vive ancora, forti pregiudizi nei confronti di chi è diverso da una certa precostituita “normalità” i cui canoni sono definiti principalmente da considerazioni di carattere patologico o religioso, essere omosessuale veniva e viene considerata una vera e propria anomalia, una vera e propria colpa. Non sono così lontani i tempi in cui si pretendeva di “curare l’omosessuale”, uomo o donna che fosse. Ed è dei nostri giorni negare, in particolare in Italia, agli omosessuali diritti civili elementari per i quali parla alto e forte perfino la nostra Costituzione. È sì vero che da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma pochi pregiudizi sono caduti nei confronti della "diversità", sia essa costituita dall'etnia, dalla menomazione fisica, dalla scelta della propria sessualità, dall'adesione a una determinata religione.

D – La poesia è stata la forza della sua esistenza; condividi questa mia affermazione?
R – Pasolini è stato anzitutto un poeta. Non tanto e non solo perché ci ha lasciato un corpus poetico vero e proprio molto consistente, sia in italiano sia in friulano, ma perché poetico è stato sempre il suo sguardo su tutto ciò che scriveva, sui lavori cinematografici che creava. Perfino le sue opere pittoriche, a volte dure o dai colori violentemente contrastanti, trasudano poesia.

15 agosto 2013
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Studio sullo stile di Bach, Murmuris 2012 - Pier Paolo Pasolini e Johann Sebastian Bach

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LA SAGGISTICA
Pasolini e Bach
Studio sullo stile di Bach, Murmuris 2012

STUDIO SULLO STILE DI BACH from murmuris on Vimeo.

Musiche di Johann Sebastian Bach
Testi di Pier Paolo Pasolini
da un’idea di Luigi Attademo
con Luigi Attademo e Jacopo Jenna
regia Laura Croce
coreografie Jacopo Jenna
scene e costumi Francesco Migliorini
maschera Natasa Filimonovic per Nanà Firenze, Mazzanti Piume
una produzione Murmuris


Pasolini interprete di Bach è una poco nota realtà letteraria che si concretizzò nei primi anni della formazione del poeta, quando durante la guerra, in Friuli, ascoltò per la prima volta da un’intima amica, Pina Kalč, le Sonate e Partite di J.S. Bach per violino.
Da quell’esperienza musicale - legata a un momento difficile della vita personale dell’artista - nacque uno scritto dedicato a Bach che restò incompiuto. L’attenzione costante verso questa musica ritorna successivamente e di continuo nell’opera cinematografica dell’artista friulano.
Da qui l’idea di mettere in relazione esplicita la sua poesia e la musica di Bach. Un musicista e un danzatore, fra Cielo e Terra, per usare le parole del poeta, svelano quale incredibile forza emotiva e quale legame profondo nasca da questa relazione. Pasolini scopre se stesso, e attraverso Bach interpreta la propria drammatica vicenda personale, rendendo questa musica la chiave per interpretare la vita stessa.
Luigi Attademo, dopo una lunga frequentazione dei testi bachiani, si confronta con il linguaggio corporeo e il movimento delle coreografie di Jacopo Jenna, nell’idea di far rivivere, amplificata, l’esperienza di ascolto vissuta da Pasolini e trasferita nella sua poetica. L’analisi del Siciliano (il terzo movimento della Sonata I) che Pasolini tenta nel suo saggio - senza strumenti di conoscenza musicale ma con la sensibilità e la profondità che connotano la sua opera - è il percorso che i due protagonisti sulla scena seguono attraverso la definizione di un alfabeto se non comune, speculare, mettendo in relazione tempo e spazio e mostrando il processo di rivelazione che solo l’arte può rendere in forma così essenziale e intellegibile. 
Ma il risultato di questa dialodia tra corpo e suono è prima di tutto un’esperienza sensibile, estetica nel senso etimologico: il pubblico è investito dal suono e dal gesto, come forse lo fu Pasolini al primo ascolto delle note di Bach, guardando quella violinista muovere l’archetto sulle corde di un violino.


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Il corpus cristologico di Pier Paolo Pasolini glorificato con Bach, di Alessandra Prospero

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LA SAGGISTICA
Il corpus cristologico di Pier Paolo Pasolini
glorificato con Bach
di Alessandra Prospero
Filosofia e religioni (a cura di Maria Grazia Franze). Anno VI, n. 63, novembre 2012
Da Pellegrini editore, l’opera del regista nella sua dimensione sacra e profetica

«In un debole lezzo di macello / vedo l’immagine del mio corpo: / seminudo, ignorato, quasi morto. / È così che mi volevo crocifisso, / con una vampa di tenero orrore, / da bambino, già automa del mio amore». I suoi versi profetici ci aiuteranno a introdurre un autore amato e controverso, compianto eppure attualissimo, la cui aura e carica comunicativa hanno contribuito a renderlo mito nazional-popolare, proprio lui che incarnava lo spirito eversivo e critico rispetto alla cultura dell’epoca, alla comunità intellettuale e alla stessa sinistra, alla quale aderiva da sempre. Dunque, anche se, a quasi quarant’anni dalla sua scomparsa, «pubblicare ancora un volume su Pasolini potrebbe sembrare un’impresa ardua e non giustificata» a causa della gigantesca mole della sua produzione cinematografica e letteraria e dell’eccessiva trattazione biografica e saggistica sull’autore, Corpus Pasolini, curato da Alessandro Canadè (Pellegrini editore, pp. 296, € 20,00), è un lavoro di grande qualità che approfondisce interessanti temi cari all’indimenticabile intellettuale e artista.


Eterogeneità di approcci allo studio

Come sostiene lo stesso curatore, «la particolarità di questo volume risiede nel voler rendere ragione, da un lato, dell’eterogeneità del corpus delle opere pasoliniane, dall’altro, delle molte facce della sua immagine “mitologica”, attraverso una eterogeneità di approcci da parte dei singoli studiosi coinvolti». Il volume raccoglie infatti alcuni degli interventi presentati durante un ciclo di seminari promosso nel 2006 dal Dams dell’Università della Calabria, riunendoli, appunto, in un corpo unitario di approfondimenti. Il libro comprende i contributi di alcuni studiosi di Letteratura: Nicola Merola e Antonio Tricomi; di Filosofia: Michael Hardt, Fabrizio Palombi e Paolo Virno; di Cinema: Marcello Walter Bruno, Alessandro Canadè, Roberto De Gaetano, Bruno Roberti e Tomaso Subini; di Teatro: Vincenza Costantino e Valentina Valentini; e di Estetica musicale: Carlo Serra (il quale ci regala lo struggente saggio sul legame tra Pasolini e il compositore tedesco Johann Sebastian Bach).


Un “corpo cristologico”

Un tema attraversa tutta l’opera pasoliniana e il volume in questione: il concetto del corpo che inevitabilmente lega e delimita vita e morte e, lungi dall’antico dualismo tra anima e corpo, sostiene l’anima, permettendole di essere e di esprimersi, poiché «i sentieri del pensiero e dell’esistenza sono tracciati sulla carne. La carne sta alla base dell’esperienza; è la sua vera potenzialità». «Esibito, amato, preso a bastonate, il corpo in Pasolini è il luogo privilegiato dell’epifania del sacro. Un corpo cristologico». Michael Hardt ci spiega come Pasolini sia affascinato dall’esposizione del corpo di Cristo sulla croce: le ferite sono aperte e bruciano sotto lo sguardo della folla. Ma la tortura di Cristo è offrirsi, è un dono (come del resto si è sempre donato Pasolini al suo pubblico): Egli si spoglia della propria trascendenza per far entrare la divinità nella materia e abbandonarsi all’oblio della pienezza della carne. Perfino l’attenzione a questo tema diviene profetica in Pasolini: ricordiamo infatti come anche il corpo massacrato del grande poeta e regista viene abbandonato in una triste esposizione. Dirà Alberto Moravia al riguardo: «La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile».

Bach e Pasolini

Particolarmente caro a Pier Paolo Pasolini è il compositore tedesco Johann Sebastian Bach, attraverso la cui musica cerca di innalzare e sacralizzare la prima fase della propria cinematografia, la fase nazional-popolare, inserendo brani bachiani nelle colonne sonore. Per Pasolini l’elemento musicale è fondamentale: lo si evince anche dalle sue sceneggiature, che presentano precise indicazioni musicali. Di Bach, Pasolini ama l’aspetto sublime ma anche ossimorico: «la musica di Bach è un’immagine conflittuale, luogo di uno scontro disperante, di un conflitto fra Carne e Cielo... una lotta, cantata infinitamente, tra alcune note basse, velate, calde e alcune note stridule, terse, astratte». Pasolini si identifica nelle opere di Bach, poiché vi scorge emotivamente una lotta che si fa strada anche sul piano stilistico, una lotta interiore che appartiene a entrambi e che coinvolge il nostro regista e poeta al punto di definire “altezze disperate” le note del Siciliano. L’esuberanza barocca e i toni melanconici del classicismo si alternano ossessivamente in una dialettica fra sacro e profano che accompagnerà tutta la vita di Pier Paolo Pasolini e la musica di Johann Sebastian Bach è il luogo in cui il conflitto diviene finalmente catarsi.

Alessandra Prospero
(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 63, novembre 2012)
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Con il Pasolini di "Io so"... "E a finestra c’è la morti. Pinelli: chi c’era quella notte", di Gabriele Fuga ed Enrico Maltini:

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"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA - LIBRI
Gabriele Fuga, Enrico Maltini:
"E a finestra c’è la morti".
Pinelli: chi c’era quella notte
Zero in Condotta, Milano 2013, pp. 168, euro 10,00
di Gianfranco Marelli
http://static.carmillaonline.net/ -  10 agosto 2013

Scriveva Louis-Ferdinand Céline che la verità si dice arrangiandola. Non pochi libri-inchiesta, romanzi storici e film documentari sulla “madre di tutte le stragi” – ovvero la bomba che esplose il 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano – sembrano aver preso alla lettera il suggerimento dello scrittore francese, al punto da arrangiare a proprio uso e consumo uno dei fatti storici che hanno segnato la Repubblica italiana nel secondo dopoguerra. A che fine? Per confondere ancor più le acque di una vicenda così torbida sul piano giuridico (ben sette i processi conclusi con l’assoluzione di tutti gli accusati, peraltro alcuni in seguito condannati per altre stragi, mentre altri si gioveranno della prescrizione) ma così limpida sul piano storico, da esser scritta sui muri di questo Paese fin dai giorni successivi al terribile atto terrorista: “La strage è di Stato. Valpreda è innocente. Pinelli non si è suicidato”.
Fuori da questo coro di cultori della verità arrangiata ad arte, è il recente lavoro di Gabriele Fuga (avvocato penalista del foro di Milano, attivo fin dagli anni ’70 nella difesa di militanti dell’area libertaria ed extraparlamentare) e di Enrico Maltini (fra i componenti nel 1969, assieme a Giuseppe Pinelli, del circolo Ponte della Ghisolfa), da poco pubblicato per conto della casa editrice Zero in condotta di Milano con il titolo “e a finestra c’è la morti. Pinelli:chi c’era quella notte”.
Si cadrebbe in errore se si ritenesse il libro un controcanto d’ispirazione anarchica, teso semplicemente a far valere la verità da sempre propugnata di quella stanza “già piena di fumo” del quarto piano della Questura di Milano in quella calda notte del 15 dicembre in cui il “brigadiere aprì la finestra e a un tratto Pinelli cascò”. Perché gli autori – e sono loro stessi a scriverlo – non hanno alcuna verità da affermare, ma solo «ipotesi da verificare, in nome di una verità che qualcuno, prima o poi, dovrà ancora scoprire».
Come dire: questo ennesimo libro su quanto accadde prima e immediatamente dopo il deflagrare della bomba nell’atrio della Banca Nazionale dell’Agricoltura non svela il misterioso segreto di Piazza Fontana [titolo del libro di Paolo Cucchiarelli, dal quale il regista Giordana ha girato il film "Romanzo di una strage"] al fine di avvalorare tesi fantascientifiche in cui duplicanti avatar diventano i “veri” responsabili della strage terrorista, ma si attiene a quanto è emerso dall’imponente “archivio parallelo” dell’Ufficio Affari Riservati, tenuto – questo sì – segreto fino a quando Aldo Giannuli, storico e consulente del Giudice Guido Salvini, il 4 ottobre 1996 l’ha trovato in un deposito della caserma dei carabinieri sulla circonvallazione Appia di Roma: circa 150 mila fascicoli segreti, non catalogati, del ministero dell’Interno, che contengono informazioni e reperti sull’operato dei servizi segreti italiani.
Così, più che un nuovo e misterioso romanzo sulla Strage di piazza Fontana, il libro di Fuga e Maltini è un’asciutta, limpida e non più segreta ricostruzione di quanto avvenne nella Questura di Milano immediatamente dopo la fatidica data del 12 dicembre 1969, quando Giuseppe Pinelli – avendo seguito con il suo motorino il commissario Luigi Calabresi – ne entrò nel tardo pomeriggio e vi rimase fino alla mezzanotte del 15, precipitando dalla finestra della stanza del commissario al quarto piano. Un salto, un tuffo, che sebbene fosse derubricato dal Giudice istruttore Gerardo d’Ambrosio nel 1975 come “verosimilmente” determinato da un “malore attivo” – prosciogliendo in tal modo tutti gli indagati (il commissario Calabresi, i poliziotti Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Piero Mucilli ed il tenente dei carabinieri Savino Lo Grano) dall’accusa di omicidio volontario – suscitò più di un sospetto per quello strano ossimoro utilizzato dal magistrato al fine di sostenere che l’anarchico Pinelli né si era suicidato gettandosi dalla finestra, né era stato gettato. Già, ma chi erano e quanti erano i presenti in quella stanza quando – come recita una strofa del Lamento per l’anarchico Pinelli del cantautore siciliano Franco Trincale – Era quasi mezzanotte / e ‘a finestra c’è la morti?
Sembrerà “strano”, ma il libro non si sofferma sull’accertata o meno presenza del “commissario finestra” nella sua stanza, tale da avvalorare la responsabilità di Luigi Calabresi per quanto accadde all’anarchico , dal momento che «fu sì correo e responsabile (formale e non solo) della morte di Pinelli, ma al contrario di Allegra, dai documenti esaminati non risulta che fosse tra coloro che manovravano nel “grande gioco”.
Sia chiaro – sottolineano gli autori del libro a p. 21 – questo non diminuisce le sue responsabilità, solamente aggrava quella dei suoi superiori, diretti e indiretti. In questo quadro Calabresi appare piuttosto una pedina, se pure determinante, e forse le ragioni della sua morte potranno spiegare il suo vero ruolo».
Se allora Luigi Calabresi fu soltanto una pedina nel “grande gioco” orchestrato dall’Ufficio Affari Riservati (di cui poteva anche non essere al corrente, ma allora perché avvalorare da subito le menzogne del questore Marcello Guida nel corso della famosa conferenza stampa convocata in Questura per motivarne il “suicidio”?), in quella fatidica notte del 15 dicembre 1969, nella stanza del commissario al quarto piano della Questura di Milano, oltre ai personaggi ben noti, chi altri c’era?
E perché mai le indagini intrapresero da subito la “pista anarchica”, così solertemente indicata dalla misteriosa squadra informativa di una decina di persone presente subito dopo la strage nella Questura di Milano al punto da essere in tutto e per tutto i “padroni delle indagini”, come fu costretto ad ammettere Guglielmo Carlucci, allora funzionario dell’U.A.R., nel corso dell’istruttoria del Giudice Mastelloni del 1997 sull’abbattimento di un aereo dell’Aeronautica utilizzato dai servizi ?
Ma, soprattutto, perché nessuno ne hai mai parlato o scritto? Perché la Magistratura non hai mai condotto serie indagini su quanti agenti dell’Ufficio Affari Riservati fossero presenti e attivi nel pilotare l’azione delle questure di Milano e di Roma? Perché non si è fatto luce sull’incredibile disposizione del ministero dell’Interno, che subito dopo cinque bombe e una strage non disse “impegnate tutte le forze … fate tutto il possibile” ma diramò a tutte le questure e all’Arma dei carabinieri un comunicato in cui è scritto: «In relazione ai fatti verificatisi a Milano il Ministero del’Interno si riserva di impartire direttive, in attesa delle quali non dovranno essere prese iniziative in alcun senso» (p. 62)?
Domande alle quali il libro di Fuga e Maltini risponde facendo cantare le carte ritrovate presso l’archivio segreto dell’Ufficio Affari Riservati [“scoperte”, guarda caso, due mesi dopo la morte di Federico Umberto D’Amato, vero e proprio deus ex-machina dell’U.A.R.], dopo averle confrontate con le deposizioni , rese a giudici e pubblici ministeri fra il 1996 e il 1997, da parte di chi quella notte nella questura di Milano c’era: i vari Elvio Catenacci, Silvano Russomanno, Aldo Alduzzi – tutti, a vario titolo, membri dell’U.A.R. – e fatte brillare alla luce della deposizione fatta dal commissario della Questura di Milano, Antonio Pagnozzi, al PM Maria Grazia Pradella come “persona informata dei fatti”, il quale testimoniò di aver allora percepito « che vi era un che di pista prefabbricata originata non a Milano, allorché, da Roma pervenne la comunicazione che era stato Valpreda a portare la valigia con l’esplosivo a Milano. Tanto seppi dal Capo dell’Ufficio [Antonino Allegra] prima del suicidio di Pinelli» (p.54).
Dichiarazione, quest’ultima, che apre uno squarcio profondo sulla spontanea testimonianza del tassista Rolandi e sul suo riconoscimento in Pietro Valpreda – nel famoso identikit attraverso la “ricognizione fotografica” assieme a quattro poliziotti, per la quale gli fu promesso un premio in denaro – della persona che per un centinaio di metri trasportò quel 12 dicembre sul suo taxi: questa infatti avvenne dopo che la pista anarchica era già stata prefabbricata; così come Valpreda fu indiziato quale responsabile della strage soltanto dopo che Enrico Rovelli, la spia infiltrata nel Circolo Ponte della Ghisolfa e sul libro paga sia della Questura di Milano che dell’Ufficio Affari Riservati aveva fatto il nome dell’anarchico ballerino appartenente al gruppo 22 marzo di Roma quale probabile esecutore dell’attentato assieme a Giuseppe Pinelli.
Di questo e di altro ancora si trova abbondante materiale nel libro “e a finestra c’è la morti. Pinelli: chi c’era quella notte”, tant’è che debole appare ormai l’accusa che a suo tempo Pier Paolo Pasolini fece sul Corriere della sera: «Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi». Perché tanto più forte è necessario ribadire oggi – come scrisse Benoît Malon a proposito della Comune di Parigi – quanto «la storia deve rifarsi a nome dei sacrificati, degli spogliati, degli asserviti, dei calunniati, dei martiri di tutte le epoche […] Oramai ai sopravvissuti della disfatta resterà sempre qualcuno per dire in faccia al mondo, ai carnefici, ai calunniatori: Voi avete mentito».
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Pasolini contra vampiros y muertos vivientes burgueses, di Jordi Mir Garcia - "el Diario" (in spagnolo e in italiano)

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LA SAGGISTICA
Pasolini contra vampiros y muertos vivientes burgueses
di Jordi Mir Garcia
http://www.eldiario.es/ -  9 agosto 2013

Un ringraziamento a "Grazia alchemicosmo77" che ha realizzato la traduzione in italiano
¡Cuántos obreros, cuántos intelectuales, cuántos estudiantes han sido
mordidos de noche por el vampiro y, sin darse cuenta,
se están convirtiendo en vampiros a su vez!
(El caos, 6 de agosto de 1968. Traducción de Antonio-Prometeo Moya)

No resulta fácil acercarse a Pier Paolo Pasolini e intentar abarcar todo lo que fue capaz de generar. Estamos ante un cineasta, dramaturgo, poeta, literato, ensayista... de gran interés. Conviene destacar la capacidad de reflexión sobre el mundo de su época y especialmente sobre las relaciones sociales en la Italia donde vivió. Tal vez sus artículos no son parte de su obra más conocida. En cambio, en muchos de ellos podemos encontrar cuestiones esenciales de su pensamiento, algunas de las principales preocupaciones que le acompañaron a lo largo de su vida.
A principios de agosto de 1968, hace 45 años, Pier Paolo Pasolini inició sus colaboraciones semanales con la revista Tempo bajo el epígrafe de El caos. Empezó escribiendo un par de textos que funcionan a manera de presentación de su manera de hacer e intenciones. Y en ellos dedica especial atención a la burguesía:
Otra cosa que querría decir en calidad de prólogo a esta serie de colaboraciones es lo que sigue: a menudo hablaré con violencia contra la burguesía: más aún, será éste el tema axial de mi palabra semanal. (...) pues bien: todo quedará claro cuando especifique que por burguesía no entiendo tanto una clase social cuanto una verdadera y precisa enfermedad. Una enfermedad altamente contagiosa: tanto es así que ha contagiado a casi todos los que la combaten: desde los obreros del norte hasta los que han emigrado del sur, los burgueses de la oposición y los «solitarios» (como es mi caso). El burgués -digámoslo en son de broma- es un vampiro que no descansa mientras no muerde el cuello de su víctima por el puro, natural y simple placer de ver cómo palidece, se pone triste, se deforma, pierde vitalidad, se retuerce, se corrompe, se asusta, se anega en sentimientos de culpa, se vuelve calculadora, agresiva, terrorista, igual que él.
Me parece que podemos decir que ésta será su principal preocupación en los años de vida que le quedan hasta su muerte en 1975. El caosseguramente no es el conjunto de artículos más conocido de Pasolini. En los Escritos Corsarios y las Cartas Luteranas, que recogen sus artículos publicados entre enero de 1973 y noviembre de 1975 y han tenido mayor difusión, es donde Pasolini plantea abiertamente lo que él llama la mutación antropológica de la gente de Italia. A lo largo de estos años lo enunciará de diferentes maneras. La sociedad de consumo, fundamento de este proceso de transformación, ya ha estado presente en sus reflexiones desde los años sesenta, época de inicio de un desarrollo económico que no necesariamente es progreso, pero es en estos años cuando siente la necesidad de abordar con total radicalidad unas consecuencias que ve en aumento. Los textos presentes en estos dos volúmenes son reflexión sobre la sociedad italiana del momento e intentos de análisis. Lo hace desde una perspectiva alejada de las discusiones marcadamente partidistas. Pasolini se presenta como marxista, ha estado en el Partido Comunista Italiano, pero sus textos no están directamente comprometidos con la victoria de las izquierdas. Sus preocupaciones son mucho más radicales, están orientadas por los cambios que el percibe que se están produciendo en las raíces de la sociedad. Lo que preocupa a Pasolini es cómo se está transformando la sociedad italiana y todo lo que ello conlleva.
Particularmente, pienso que siempre es buen momento para acercarse a Pasolini, para aprender, disfrutar, dialogar, debatir, siempre apasionadamente, con él. Hoy podemos aprovechar que se le está dedicando un gran exposición en el CCCB, Pasolini Roma. Ésto puede ayudar al acceso directo a sus creaciones y a que pensemos con él. Si alguien siente que ha quedado contagiado por la enfermedad de la burguesía o tiene la sensación -incluso indicios- de que se ha convertido en un vampiro o un muerto viviente -que son más de nuestra actualidad- puede ser buena cosa intentar poner remedio. Muy probablemente lo encontrará en espacios como la Plataforma de Afectados por la Hipoteca, de auditoria de la deuda, de defensa de la educación o la sanidad pública, o de creación de economía solidaria, donde se defienden los derechos de las personas por encima de la propiedad y el mercado.

Pasolini contro i vampiri
morti viventi e borghesi
di Jordi Mir Garcia
http://www.eldiario.es/ -  9 agosto 2013

Molti lavoratori, molti intellettuali, molti studenti sono stati morsi
dal vampiro di notte, senza rendersene conto,
stanno diventando vampiri a loro volta!
(Caos, 6 ago 1968. Traduzione di Antonio Moya Prometeo)

Non è facile avvicinarsi a Pier Paolo Pasolini e a tutto ciò che fu in grado di generare. Siamo di fronte ad un regista, drammaturgo, poeta, scrittore, saggista ... di grande interesse. Si deve sottolineare la capacità di riflettere sul mondo del suo tempo e soprattutto sui rapporti sociali in Italia dove ha vissuto. Forse i suoi articoli non sono la parte della sua opera più conosciuta. Al contrario, ci troviamo molte questioni essenziali del pensiero, alcune delle principali preoccupazioni che lo hanno accompagnato per tutta la vita.

Ai primi di agosto del 1968, 45 anni fa, Pier Paolo Pasolini iniziò la sua collaborazione settimanale con il giornale Il Tempo,  sotto il titolo di Caos. Iniziò scrivendo un paio di testi che rappresentano  bene il suo modo modo di fare e di pensare. In essi egli dedica particolare attenzione alla borghesia:
Un'altra cosa che vorrei dire come prefazione a questa serie di collaborazioni è il seguente: spesso parlare di violenza contro la borghesia: anzi, sarà l'argomento del mio assiale discorso settimanale. (...) Così: tutto sarà chiaro quando si specifica borghesia capire che sia la classe sociale come una malattia vera ed accurata. Una malattia altamente contagiosa: tanto è vero che si è diffusa in quasi tutti i combattimenti: dai lavoratori del nord che sono migrati a sud, l'opposizione borghese e "solitario" (come nel mio caso). Il borghese-diciamo per scherzo, è un vampiro che non ha pace finché morde il collo della sua vittima per il puro, naturale e semplice piacere di vedere chiaro, è triste, deformato, ha perso vitalità, colpi di scena, corrompe, spaventa, annega in colpa, diventa calcolatrice, aggressiva, terroristica, proprio come lui.
Possiamo dire che questa sarà la sua principale preoccupazione negli anni di vita che rimangono fino alla sua morte nel 1975. Il caos non è probabilmente la più nota delle raccolte di articoli di Pasolini. Gli Scritti corsari e Lettere luterane, che raccolgono i suoi articoli pubblicati tra il gennaio 1973 e il novembre 1975 e hanno avuto maggiore diffusione, è dove Pasolini ha parlato apertamente di ciò che egli chiama la mutazione antropologica del popolo italiano. Nel corso degli anni la chiamerà in modi diversi. La società dei consumi, il fondamento di questo processo di trasformazione, è presente  nel suo pensiero dagli anni sessanta, che sono l'inizio di uno sviluppo economico che non è necessariamente progresso, ma è in questi anni in cui si sente la necessità di affrontare tutte le conseguenze radicali che vede aumentare. I testi di questi due volumi sono riflessioni e analisi sulla società italiana del tempo. E lo fa da una prospettiva distanziata di discussioni nettamente partigiane. Pasolini è presentato come un marxista, è stato nel Partito Comunista Italiano, ma i loro testi non sono direttamente coinvolti con la vittoria della sinistra. Le loro preoccupazioni sono molto più radicali, sono guidate dai cambiamenti percepiti che si stanno verificando nelle radici della società. Ciò che preoccupa Pasolini è come la società italiana sta cambiando e tutto ciò che questo comporta.
In particolare, penso che sia sempre un buon momento per avvicinarsi a Pasolini, per imparare, divertirsi, discutere, dibattere, sempre appassionatamente con lui. Oggi possiamo approfittare della grande mostra in corso presso il CCCB, Pasolini Roma [a Barcellona, ndr]. Questo può aiutare ad entrare in contatto con le sue opere ed il suo pensiero. Se qualcuno sente di essere stato infettato dalla malattia della borghesia o ha la sensazione di essere diventato un vampiro o un morto vivente, che sono oltre il nostro presente, può essere una buona cosa per cercare di porre rimedio. Molto probabilmente lo troveremo in spazi come Plataforma de Afectados por la Hipoteca o l'audit del debito, la difesa di istruzione o la salute pubblica, o la creazione di economia solidale, la difesa dei diritti delle persone al di sopra della proprietà e del mercato.
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Ancora due appuntamenti per Tagliacozzoinfilm: sabato 10 e domenica 11 agosto dedicati a Pier Paolo Pasolini

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LA SAGGISTICA - CINEMA
Ancora due appuntamenti per Tagliacozzoinfilm
http://www.pagineabruzzo.it/ - 9 agosto 2013

Tagliacozzo - Sabato 10 e Domenica 11 agosto, Palazzo Ducale
due proiezioni dedicate a Pier Paolo Pasolini:
"Africa! Unica mia alternativa" e "Appunti per un’Orestiade africana".

"Africa! Unica mia alternativa"
Colloquio con Gian Vittorio Baldi - registrato il 7 luglio 2012 a Borghetto di Brola, Modigliana - durante il quale il grande regista e produttore ripercorre quello che è stato il suo rapporto con Pier Paolo Pasolini, dal primo incontro nel 1960 tramite Federico Fellini fino alla morte del poeta avvenuta nel 1975. In particolare Baldi approfondisce la sua esperienza come produttore di Pasolini per Porcile e, soprattutto, per Appunti per un'Orestiade africana dando una chiave di lettura nuova e originale ad una delle opere più sofferte del poeta e regista bolognese/friulano. A seguire "Appunti per un’Orestiade africana".
“Appunti per un’Orestiade africana"
Girato nel 1970, è un diario di viaggio, un saggio per immagini (...) Pasolini percorre l’Africa cercando i corpi e i luoghi per un “film da farsi”, ispirato alla trilogia dell’Orestiade di Eschilo: il film non si farà mai, ma il sopralluogo presto diventa l’immagine inedita e irripetibile di un continente che sta dolorosamente uscendo da secoli di colonialismo, che Pasolini osserva come spazio di un violento e “magico” processo di metamorfosi dal mondo arcaico alla modernità. E’ la voce stessa del poeta che, nel commento sonoro, ci guida lungo questo itinerario filmico e culturale.” ("Pier Paolo Pasolini, Appunti per un’Orestiade africana" Edizioni Cineteca di Bologna, Collana Il Cinema Ritrovato).
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Mostra del cinema di Venezia 2013: l'omaggio a Bertolucci, Pasolini e Fellini

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LA SAGGISTICA - CINEMA
Mostra del cinema di Venezia 2013:
l'omaggio a Bertolucci, Pasolini e Fellini


La 70esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, in programma dal 28 agosto al 7 settembre 2013, si preannuncia ricca di classici: si va da Pier Paolo Pasolini a Bernardo Bertolucci fino al più classico di tutti, Federico Fellini firmato da Ettore Scola. Saranno infatti presentati due documentari e un film dedicati a questi registi che hanno fatto la storia del cinema italiano.

Si tratta de "La profezia. L'Africa di Pasolini", un documentario, a cura di Gianni Borgna con la supervisione di Enrico Menduni, che passa nella sezione Venezia Classici e sarà distribuito dall'Istituto Luce Cinecittà. Con le voci di Dacia Maraini (voce narrante), Roberto Herlitzka (Pasolini) e Philippe Leroy (Jean-Paul Sartre), si racconta l'ossessione del poeta-regista-scrittore per l'Africa, luogo predestinato dove poter ancora cercare quella genuinità contadina da lui tanto amata.

"Bertolucci on Bertolucci" è invece un documentario di Luca Guadagnino ("Io sono l'amore") e Walter Fasano. Presentato sempre nella sezione Venezia Classici, racconta vita e opere di Bernardo Bertolucci. "Negli archivi delle cineteche e dei Festival a cui Bertolucci ha partecipato nel corso della sua carriera - ha spiegato Guadagnino - abbiamo cercato di raccogliere più materiale possibile sul passato di Bertolucci, da contrapporre al suo lavoro di oggi".

E infine Fellini. "Un Pinocchio che non è mai diventato un bambino per bene". Così lo definisce Ettore Scola. "Che strano chiamarsi Federico. Scola racconta Fellini", è un film (fuori concorso a Venezia) dedicato al regista di "Amarcord" nel ventennale della sua morte. E questo attraverso piccoli quadri della loro cinquantennale amicizia. Nel film, spiega Scola, "non troverete emozioni della sua visionarietà, è un film fatto di angoli, di piccoli angoli. Racconto episodi come la nostra partecipazione al Marc'Aurelio che è stata per noi una piccola università dell'umorismo, capace anche di intervenire sulla realtà per modificarla".

Tra gli incontri notturni di Fellini e Scola raccontati nel film, quelli con un madonnaro (Sergio Rubini) molto pieno di sé, e con una prostituta simil-Cabiria (Antonella Attili). Il film, che mostra filmati editi e inediti, ha come attori due nipoti di Scola, Tommaso e Giacomo Lazotti, rispettivamente nei panni di Fellini e di Scola negli anni della gioventù. Fellini anziano è interpretato invece da Maurizio De Santis; Scola anziano è Giulio Forges Davanzati, mentre Marcello Mastroianni ha il volto di Ernesto D'Argenio.
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Pasolini murder mystery decoded by art historian O'Halloran Ford in The Lilly and The Egg

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LA SAGGISTICA - CINEMA
Pasolini murder mystery decoded by art historian
O'Halloran Ford in The Lilly and The Egg
http://www.prweb.com/ - 31 July 2013

Dynasty Press announce that art historian O'Halloran Ford has solved the
mystery surrounding the murder of world famous Italian film director
Pier Paolo Pasolini in his new book, The Lilly and The Egg.
Pasolini was brutally slain in November 1975 after making a controversial
movie with content inspired by the Marquis de Sade.


In his book The Lilly and The Egg art historian O'Halloran Ford blows the lid off all previously held theories about who was responsible for the untimely and violent death of Italian filmmaker Pier Paolo Pasolini.
It is finally made clear how this story extends far beyond the simple murder of an openly gay film director. Ford blows a new whistle on the unspeakable lust and moral depravity of an earlier time, previously hidden within the German aristocratic elite and the upper echelons of the Vatican. In The Lilly and The Egg Ford reveals the previously untold full story behind extraordinary events.
It was at Ostia near Rome on 2 November 1975 that Pasolini's murder took place. He was run over several times with his own car. Italian police quickly arrested a seventeen year old rent boy, Giuseppe Pelosi, who confessed to the crime. However, twenty-nine years later Pelosi retracted his confession. It had originally been made, he said, under the threat of violence to his family.
So who else would want or need Pasolini dead? And why? Named by TimeOut as the Most Controversial Film of All Time, often outright banned, the filmmaker's violent end has often been thought connected in some unfathomable way with the making of his 'Salò, or the 120 Days of Sodom'. The film transposes the Marquis de Sade’s 18th-century opus of torture and degradation to the banks of Lake Garda in 1944 Fascist Italy, and its implications are passionately debated to this day. His murder took place just two weeks before the premiere.http://www.imdb.com/title/tt0073650/?ref_=fn_al_tt_1
The content of Pasolini's film was immediately condemned and it was banned in many countries. If it is now notorious, his own case remains unsolved despite a new investigation by the Italian judiciary after Pelosi retracted his confession in 2005. Only rumours have abounded, including that some rolls of the film were stolen at the time of the crime.
So Mr Ford was astonished to find, when working on an apparently unrelated project, that he had finally stumbled upon information that would lead him to the truth of the matter. As so often happens to researchers in such cases, the lights went on for Ford while he was reading some apparently unrelated unpublished personal diaries. In this case the enlightening diaries originated in Germany and were written by hand during the Nazi era.
In an extraordinary twist, these intimate diaries link the Italian film director's 1975 death not only to his reworking of de Sade but also ultimately connect his story to the good guy German war hero Count Claus von Stauffenberg. The actor Tom Cruise portrayed the noble Stauffenberg's attempt to assassinate Hitler when he starred in Bryan Singer's 2008 film Valkyrie. http://www.imdb.com/title/tt0985699/
Even as we learn In The Lilly and The Egg of the bizarre real life events which inspired the making of the explicit scenes of intensely sadistic violence in Salò, yet the book also tells an amazing story of pure redemptive love. It also tells the tale of a brilliant artist of international repute and included in the ebook are mysterious and beautiful images created by Anthony Christian.
A director of Ford's London publishers Dynasty Press says that, "The Lilly and The Egg is a work about Art, God, War and Sex, but mostly Love. Inspired by Leonardo da Vinci, the author is led on a path of discovery, full of murder and mayhem. Ford only really finds out why Italian film director Pier Paolo Pasolini was murdered when he learns the World War II real life story of English Red Cross nurse Lilly Duveen in Fascist Italy.
"Lilly Duveen was kidnapped and endured months of sexual torture, ostensibly for 120 days in accordance with the famous book by the Marquis de Sade '120 Days of Sodom', until she was rescued by the Italian aristocrat Count Egbert di Santo. Known as Egg to his friends, the Count had fallen in love with Lilly, and after she and Egg were married they commissioned one of the world's great collections of erotic art.
"Researching their collection of the Lilly Eggs, assembled to commemorate their love, is what set O'Halloran Ford off into his unexpected discovery. Lilly's reason for sharing her unique life story with Ford provides the twist at the end of this epic journey through many avenues of Life."
Cover artwork from a design by Anthony Christian. The paintings that appear in The Lilly and The Egg ebook are by Anthony Christian,http://www.ichorgallery.com.
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
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La nota mozartiana. Pier Paolo Pasolini

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"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA - CINEMA
La nota mozartiana di Pier Paolo Pasolini
18 luglio 2013


Nel cinema, come in tutta la sua vita, Pier Paolo Pasolini fu un irregolare. Eppure egli stesso pensava che nei suoi film avesse dato il meglio di sé, poiché aveva potuto esprimere la sua “nota mozartiana”, ovvero l’aspetto giocoso della sua personalità. Col cinema aveva flirtato a lungo, lavorando come comparsa quando, costretto ad abbandonare Casarsa, si era trovato senza lavoro, scrivendo poi i dialoghi in romanesco de “Le notti di Cabiria” di Federico Fellini, poi soggetti per altri registi (il migliore “La notte brava” di Mauro Bolognini), fino al debutto folgorante con “Accattone” (1961), sponsorizzato da Fellini stesso, che poi abbandonò il progetto spaventato dalla manchevolezza tecnica di P.P.P. Fortuna volle che il produttore Alfredo Bini credesse nel film, dove l’autore, affiancato dallo straordinario operatore Tonino Delli Colli  riuscì a trasformare l’imperizia in originalità. Accattone, diretta continuazione dei suoi romanzi, è un eccezionale affresco popolano, interpretato dall’attore “preso dalla strada” Franco Citti, che riprende e supera l’ormai abbandonato Neorealismo. Meno convincente il successivo “Mamma Roma” (1962), dove una Anna Magnani fin troppo in parte finisce per mangiarsi il film, pure nobilitato dai molti riferimenti alla pittura rinascimentale.

Nel 1964 Pasolini ormai padrone del mestiere di regista, affronta la sua opera più ambiziosa, “Il Vangelo secondo Matteo”. Girato a Matera ed interpretato da uno studente conosciuto casualmente, Enrique Irazoqui, nel ruolo di Gesù e dalla madre Susanna nel ruolo di Maria, “Il vangelo” è il suo film più perfetto sul piano stilistico, debitore dei Maestri Dreyer ed Eisenstein, e forse l’unico film sull’argomento degno di essere ricordato. Al festival di Venezia riceve il Gran premio della giuria e gli sputi dei militanti neofascisti. Resta però il rimpianto di non averlo visto interpretato da colui che era stato il primo interpellato per la parte di Gesù, ovvero Jack Kerouac. 
Per il lungometraggio successivo, “Uccellacci e uccellini” (1966), Pasolini  ha una nuova, geniale, idea di casting, affidare a Totò un ruolo drammatico, persino un po’ sgradevole, per cui fu poi premiato a Cannes. Questo film, sintesi di favola surreale, apologo marxista e fioretto francescano, è tratto da tre racconti precedentemente scritti e pubblicati in francese, è certamente il più noto ed uno dei più riusciti. Divertenti anche i titoli di testa cantati da Domenico Modugno. Peccato che nel montaggio finale sia stato escluso l’episodio “L’aquila”, che alla lettura del soggetto appare molto bello e poetico. Aiuto regista di Pasolini in Uccellacci  e Uccellini fu Vincenzo Cerami, suo allievo prediletto, non più con noi da pochi giorni al momento di questa pubblicazione


In questo periodo P.P.P. gira anche due documentari, “Comizi d’amore”, un’inchiesta sulla sessualità in Italia trasmessa dalla TV solo negli anni ’80 e “La rabbia”, specie di blob ante-litteram che doveva essere commentato, oltre che da lui, da un intellettuale conservatore. La scelta del produttore Ferrante di un mediocre scrittore come Guareschi fece sì che Pasolini (che aveva proposto Montanelli o Barzini) disconoscesse l’opera, che, oggettivamente non riuscita, ebbe un esito disastroso nelle sale. Partecipa inoltre, secondo la moda dell’epoca, ad alcuni film ad episodi “RoGoPaG-laviamoci il cervello” (1964), con “La ricotta”, “Le streghe” (1967), con “La terra vista dalla luna” e “Capriccio all’italiana” (1968), con “Che cosa sono le nuvole”. 


Con la parziale eccezione del secondo, che presenta anche due buone prove di Visconti e De Sica, i tre corti Pasoliniani sono gioielli in una cornice mediocre, a parere di chi scrive tra i vertici assoluti della cinematografia italiana. Nel raccontare la tragicomica odissea del morto di fame Stracci, che paradossalmente muore quando finalmente riesce a mangiare, inframmezzate alle criptiche, ma lucidissime dichiarazioni di un regista genio incompreso (interpretato da Orson Welles!), la tenera favola dell’incontro tra la ciancicata famiglia Miao (di nuovo Totò e Ninetto Davoli) e la fata cieca Assurdina (Silvana Mangano) e infine un Otello interpretato da marionette (ancora Totò e Davoli, Franchi e Ingrassia, Laura Betti, Adriana Asti, Capannelle, Modugno e il poeta Francesco Leonetti) che diventa rivoluzione proletaria, Pasolini fonde perfettamente atmosfera fiabesca, manifesto ideologico e spettacolo cinematografico puro, il tutto con quell’humour che manca a tante operazioni simili intraprese all’epoca, per le quali il confronto con l’opera pasoliniana è impietoso.

E’ in questi tre episodi che l’autore ha davvero espresso la sua nota mozartiana. Nel ’69 partecipa ad un altro film ad episodi, l’ideologico “Amore e rabbia”, ma questa volta il suo sketch “La sequenza del fiore di carta”, pur valida è meno interessante dei precedenti. A questo punto l’approccio di Pasolini al Cinema muta radicalmente. Afferma il regista: 
«da buon marxista intendevo fare film popolari. Poi ho scoperto che il popolo non solo non va a vedere i miei film, ma non va del tutto al cinema. Allora ho deciso di rivolgermi ad una ristretta élite d’intellettuali, compiendo così un gesto autenticamente rivoluzionario.» 
Nel 1967 “Edipo Re”, da Sofocle, inizia una trilogia dedicata al teatro greco. Con un cast ancora una volta composito e geniale (i non-attori Citti e Davoli con Massimo Girotti, Silvana Mangano, Alida Valli, Carmelo Bene e Julian Beck), fedele al testo originale, sebbene il prologo sia ambientato nel ventennio fascista (il momento storico in cui i padri hanno ucciso i figli?) e l’epilogo nella Bologna contemporanea, è un film perfetto sul piano stilistico, splendidamente recitato, pieno di rimandi psicoanalitici (e semi autobiografici), una delle opere più forti e originali del periodo. Non si può dire altrettanto del capitolo seguente della trilogia, “Medea” (1970).

Qui la perfezione formale è persino eccessiva e dà un alone di freddezza, e la scelta del cast (Maria Callas e l’atleta Giuseppe Gentile) non altrettanto felice. La Callas recita da cantante lirica, esagerando i toni, e Gentile non si rivela all’altezza. Penso sia una delle opere minori del repertorio pasoliniano, ma non è in assoluto un brutto film. Il terzo episodio, un’Orestiade ambientata in Africa, non sarà mai girato. Tra questi due film P.P.P. gira le sue due opere più discusse, “Teorema” (1968) e “Porcile” (1969). Teoremaè un film cerebrale, algido, impervio nel suo simbolismo, eppure affascinante e coinvolgente. Secondo noi la trama non dimostra affatto il teorema del titolo (un borghese anche se fa una cosa giusta la fa per i motivi sbagliati, perché non ha il senso del sacro), ma la prova dell’intero cast (tra gli altri nuovamente Girotti, la Mangano, la Betti, Anne Wiazemsky, ma su tutti Terence Stamp, che nei panni del misterioso “ospite” dà la sua interpretazione migliore) e la bellezza dello stile ne fanno un film imperdibile. A Venezia vince il premio dei critici cattolici, che per questo saranno severamente bastonati dall’Osservatore Romano. Denunciato per oltraggio al pudore, la sentenza di assoluzione recita: trattandosi incontestabilmente di un opera d’arte, non può essere accusato di oscenità.

Porcile è il film pasoliniano che risente di più del clima dell’epoca, da cui P.P.P. peraltro prende le distanze, a cominciare dalla coppia di protagonisti, due feticci della Nouvelle Vague come Jean Pierre Léaud (l’alter ego di Truffaut) e Anne Wiazemsky (seconda moglie di Godard). Per certi vezzi autoriali può apparire invecchiato, il debito nei confronti di Godard e Buñuel è troppo forte, i due episodi che lo compongono non sono bene amalgamati, eppure la potenza della denuncia dello sfascio morale del nostro tempo, esplicita già dal titolo, eppure condotta con humour singolare, l’uso perfetto degli ambienti (l’Etna nell’episodio dei cannibali, le ville neoclassiche in quello tedesco), i dialoghi surreali di Léaud e Anne e la bravura del cast intero (citiamo ancora Pierre Clementi, Ugo Tognazzi, Alberto Lionello, Margarita Lozano e Marco Ferreri improbabile detective) lo rendono un’opera imperfetta ma molto personale, senz’altro ostica per gran parte del pubblico, ma non per i veri cinefili. Teorema e Porcile sono i capitoli della filmografia pasoliniana che più dividono la critica, tra chi li considera troppo datati e chi li pone ai vertici della sua opera.

A questi segue una nuova trilogia, tratta da classici della letteratura con una forte componente erotica, detta “Trilogia della vita”, composta da “Decameron” (1971), “I racconti di Canterbury” (1972) e “Il fiore delle mille e una notte” (1974).  Abbiamo visto questi film in un’ edizione televisiva realmente massacrata dalla censura e probabilmente questo influisce sul nostro giudizio, ma ci sembra che nei primi due di vita ce ne sia ben poca. 


Il tentativo di mostrare la gioiosità e la spiritualità popolare attraverso il sesso (tradendo in questo Boccaccio e Chaucer, urbani e anticlericali) fallisce e i due film sono piuttosto mogi e noiosi. Non la pensò come noi la giuria del festival di Berlino, assegnando a “Il fiore…” l’Orso d’oro. In questi due film, che originarono un ricchissimo filone divertente solo nei titoli, Pasolini è anche interprete (come curiosità ricordiamo che P.P.P. ha anche doppiato un personaggio di “Solaris”, di Andreij Tarkovskij, con risultati, onestamente, disastrosi). Al contrario, nel “Fiore…” Pasolini coglie perfettamente lo spirito fantastico e meraviglioso dell’opera, regalando un altro gioiello agli spettatori. Una terza trilogia, stavolta “della morte”, inizia con “Salò, o le 120 giornate di Sodoma” (1975), trasposizione dell’opera di D.A.F. de Sade nella repubblichetta mussoliniana. Film radicale, estremo e agghiacciante, visto da noi a 25 anni dall’uscita conserva tutta la sua forza. Eppure, quando oggi qualsiasi telegiornale è più violento e moltissime pubblicità più volgari, cosa lo rende così sconvolgente? La bellezza dello stile e l’intelligenza dei significati. Un film da vedere per capire cos’è veramente il potere. 

“Salò…”, come tutti i film pasoliniani da Teorema in poi, è sequestrato e poi assolto, ma l’autore non verrà a saperlo: durante il processo è barbaramente assassinato. È possibile che la copia in circolazione non sia stata montata da Pasolini in persona, esistono versione straniere diverse e i motivi dei tagli non paiono comprensibili. 


Era in procinto di iniziare un progetto a lungo meditato, intitolato “Re magio randagio” o “Porno-teo-kolossal”, in cui avrebbe diretto il grande Eduardo e che sarebbe stato il suo ultimo film prima del ritorno alla scrittura. Pasolini ha attraversato  il cinema italiano nel suo periodo di maggior fulgore, e ne è stato, insieme a Fellini e Antonioni, l’interprete più originale e inimitabile. Come molti suoi contemporanei può apparire datato, ma ciò dipende anche dalla mancanza di coraggio del cinema attuale. Alcuni critici considerano il regista P.P.P. non al livello dello scrittore, se non episodicamente. Per noi è vero il contrario: Pasolini, uomo geniale, come scrittore è ostico (esclusi i potentissimi “Scritti corsari”), troppo legato ai contenuti che vuole esprimere,  mentre nel cinema ha saputo esprimere tutte le sue capacità, non solo la nota mozartiana.
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Pier Paolo Pasolini, "Teorema" - I luoghi del set cinematografico

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LA SAGGISTICA - CINEMA
Pier Paolo Pasolini, Teorema
I luoghi del set cinematografico

A cura di Angela Molteni. Un ringraziamento a Vittorio Prina

Una delle emozioni più intense in architettura è costituita dallo scoprire e osservare "dal vero" architetture studiate precedentemente su libri o riviste. Si possono finalmente percepire e capire spazio, dimensioni reali, relazioni con il contesto, parti apparentemente secondarie, materiali. Analoga è l'esperienza relativa alla ricerca di luoghi e architetture inquadrate nei film. 
A volte si avverte una sensazione di spaesamento, causata dal montaggio cinematografico che pone in sequenza spazi e luoghi spesso molto distanti gli uni dagli altri. 
La ricerca è assimilabile a una sorta di indagine investigativa finalizzata alla soluzione di enigmi anche complessi: una trama nascosta che corre parallela allo svolgersi del racconto filmico. 
Uno degli intenti è costituito dall'indagine delle immagini di luoghi e architetture contenute nel film finalizzata al tentativo di verificare quanto le successive trasformazioni fossero già evidenti nelle sequenze filmiche. Teorema si presta particolarmente a questo tipo di indagini grazie alla perfetta struttura compositiva del film e alle caratteristiche dei personaggi indissolubilmente legati alle architetture e ai luoghi scelti da Pasolini.
I luoghi e gli edifici sono disposti per la maggior parte lungo due assi stradali: il primo inizia a Sant'Angelo Lodigiano e si conclude a Bereguardo; il secondo inizia a Milano e termina a Sant'Angelo (un terzo asse è costituito dal viaggio virtuale di Emilia a bordo dell'autocorriera dal Vigentino milanese a Villanterio). 
Anche se la qualità delle foto non è eccelsa, si tratta comunque di una serie di documenti importanti che è apparso utile proporre qui e che daranno informazioni preziose sui criteri di scelta delle location da parte di Pier Paolo Pasolini: documenti che illustrano luoghi che caratterizzano in modo irreversibile gli ambienti, gli edifici, le caratteristiche salienti che appaiono in Teorema.
Alcuni esempi di luoghi "ritrovati" sono: a Milano, la Fabbrica Innocenti, la villa con parco a San Siro, la via dei Rospigliosi a San Siro, il Liceo Parini, l'Istituto Marcelline, la Chiesa di Santa Maria Segreta, il Giardino della Guastalla, via Venti Settembre, il Piazzale Giovanni Dalle Bande Nere, il Largo Marinai d'Italia, la stazione delle autocorriere in viale Bligny...
Lungo il percorso tra Milano e Sant'Angelo Lodigiano: la Chiesa a San Donato Milanese; luoghi e architetture a San Giuliano Milanese; vie, architetture, luoghi e paesaggio a Sant'Angelo Lodigiano. Lungo il percorso che collega Sant'Angelo a Pavia: l'Oratorio della Colombina nei pressi di Copiano, il centro storico di Villanterio, la Cascina Torre Bianca nei pressi di Fossarmato, le sponde del fiume Ticino, la villa realizzata nel 1951 dall'architetto Guglielmo Mozzoni alla Zelata di Bereguardo.
«Penso che Teorema ambisca ad essere un film perfetto, cioè abbia una perfezione formale esteriore, si presenti come un insieme completamente risolto da un punto di vista formale e stilistico [...]. Negli altri film mi buttavo con la seconda macchina a girare improvvisando [...] e poi nel montaggio, naturalmente sceglievo anche i momenti improvvisati, i mo­menti ispirati. Per Teorema non ho nemmeno tentato dì farlo: né nel montaggio, né mentre giravo.» [P.P.Pasolini, in Laura Betti, Michele Gulinucci (a cura di), in Pier Paolo Pasolini. Le regole di un’illusione. I film. Il cinema. Associazione “Fondo Pier Paolo Pasolini”, Roma, 1991]
Pasolini in Teorema, realizzato nel 1968, a differenza di altre sue regie adotta una struttura compositiva che egli stesso definisce perfetta. Sia l'intero film che le singole parti e le inquadrature sono attentamente studiate e composte. 
L'unica sequenza caotica, ripresa con la macchina da presa che si muove ca­sualmente e confusamente, è costituita dal preludio che mostra l'intervista del cronista agli operai della fabbrica. Anche i dialoghi sono una sommatoria di stereotipi e luoghi comuni enunciati in forma di domanda dall'intervistatore e ripetuti acriticamente dagli operai.


L'Etna
II primo leit-motiv è costituito da una sequenza prolungata delle pendici dell'Etna caratterizzata dall'ombra delle nuvole che si muovono sul ter­reno: è collocata all'inizio del film successivamente all'in­tervista; a metà circa del film, prima dell'annuncio della par­tenza da parte dell'Ospite (Terence Stamp); 

al termine, caratterizzata da Paolo, il padre/proprietario dell'industria (Massimo Girotti), che cammina e urla nudo.
«Ho una vecchia passione per la geografia. Da ragazzo mi inebriavo sull'Atlante a misurare con uno sguardo le dimensioni del Mediterraneo o, quanto meno, la campitura verde della pianura padana. [...] Devo confessare che certe combinazioni tra l'azzurro perfido del Pacifico e il rosa da calcomania dell'Australia [...] erano quelle che suscitavano con più veemenza la mia Sehnsucht geografica. Ciò non toglie però che assai spesso [...] mi decidessi a sfogliare l'Atlante fino alla figura dell'Italia e lì cercassi con avidità insana i cerchiolini delle città a me più care. Mi sentivo allora crudelmente offeso che Bologna non fosse segnata col bel quadrato irregolare di Roma, Milano o Genova [...], del resto ero molto compensato dal fatto che Casarsa fosse segnata, anche se con un anello minuto, nel centro del Friuli e che da essa dipartissero fili di una grossa ragnatela, i simboli delle linee ferroviarie. Tutto questo costituisce uno dei luoghi della mia infanzia senza ignoto, senza tempo perduto: sono nitidissimi nel panorama del mio passato, la loro gioia non resta affatto incomunicabile, anzi mi si rinnova nella memoria con tutta la sua purezza». [P.P.Pasolini (1947), in Itinerario nei luoghi del poeta, Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia]

Contrasti
In Teorema edifici e luoghi comunicano caratteristiche contrapposte: monumentali e aulici, simbolo del potere della chiesa o di una borghesia in disfacimento, quali la fabbrica, la villa con parco a San Siro, il Liceo Parini, l'Istituto Marcelline, la chiesa di Santa Maria Segreta a Milano; la chiesa a San Donato Milanese, l'Istituto scolastico religioso a Sant'Angelo Lodigiano [v. sotto a sinistra, com'era l'edificio dell'Istituto Missionario del Sacro Cuore Scuola Materna Madre Cabrini  e come lo stesso è, oggi...]
Le citate architetture sono costituite da edifici monumentali il cui prospetto principale è caratterizzato da una composizione a simmetria centrale. Per contrasto la Cascina Torre Bianca, l'Oratorio della Colombina e la Cascina omonima sullo sfondo, il paesaggio lungo le sponde del Ticino, le lunghe strade contornate da fossi e da filari di alberi, così come - in Edipo Re - la Cascina Moncucca e l'edificio a corte in Sant'Angelo Lodigiano. i lunghi filari di alberi e i grandi prati della pianura... costituiscono una sorta di evocazione dell'infanzia, della tradizione contadina e della sua autentica sacralità, dei luoghi e delle architetture legate alla tradizione stessa e del paesaggio ancora rispettato dall'uomo. La contrapposizione architettonica corre parallela a quella relativa ai caratteri dei personaggi e alle loro storie.


Periferie e squallore
Alcune sequenze sono riprese in luoghi marginali che mostrano squallide periferie in espansione, cantieri in corso lungo i confini degli antichi borghi destinati a essere sostituiti dalla costruzione della nuova città che si espande inesorabilmente: i grandi palazzi circondati dai vuoto privo di consistenza spaziale nel piazzale Giovanni Dalle Bande Nere e la demolizione in corso dell'antico Mercato Ortofrutticolo - si nota unicamente una porzione del muro di recinzione dal quale emerge la scultura del Somaini - in Largo Marinai d'Italia entrambi a Milano; l'osteria nella campagna presso la quale il padre e l'Ospite sostano e lo sfondo costituito da grandi edifici di residenza popolare, limite verso nord di Sant'Angelo Lodigiano; 
gli scavi di cantiere nei quali Emilia si fa seppellire e i nuovi quartieri informi che avanzano e che si notano sullo sfondo.


La fabbrica
La fabbrica precedentemente citata non è collocata, secondo quanto ri­porta la scheda tecnica del film, in una zona industriale tra Lainate e Arese. In realtà la sequenza iniziale relativa all'intervista agli operai e le sequenze successive, mostrano l'ingresso con pensilina e muri curvi di seguito descritti e in parte ancora identificabili. E' l'Industria Innocenti (nella quale è stata prodotta anche la mitica Lam­bretta) a Lambrate, a fianco della via Rubattino. 
Il complesso industriale è attualmente quasi completamente demolito.


Il Liceo Parini
L'edificio inquadrato diagonalmente in ragione della stretta sezione della via, è il Liceo Ginnasio Giuseppe Parini - scuola frequentata dal figlio - al numero 4 della via Goito: tuttora esistente presenta il fronte sulla via Goito. L'angolo tra le vie Goito e San Marco, che nel film appare vuoto, attualmente è occupato da un edificio realizzato in seguito. 
La planimetria del complesso è costituita da corpi in linea posti secondo una maglia ortogonale a determinare corti chiuse interne. Il Regio Liceo Ginnasio Parini, inaugurato nel 1935, è stato costruito nell'area precedentemente occupata dal Monastero di San Marco (demolito). 


La villa a San Siro
La grande villa con parco, residenza della famiglia, è ancora esistente e ben conservata: si trova al numero 16 della via Palatino in zona San Siro. 
Un muro di recinzione caratterizzato dal profilo superiore a porzioni curvilinee e una cancellata metallica centrale tripartita, con pilastri bugnati ai lati e colonnine in pietra sormontate da sfere al centro, separano la via dalla corte d'ingresso.


La moglie e l'Ospite: la villa in campagna
La villa nella quale la moglie si concede all'Ospite si trova alla Zelata di Bereguardo, nei pressi di Pavia, circondata dai boschi e dalla campagna del fiume Ticino. La casa isolata al centro di un vasto prato poco distante del fiume è la dimora progettata e realizzata nel 1951 dall'architetto Guglielmo Mozzoni per sé e per la moglie, Giulia Maria Crespi. 
L'edificio - un unico volume composto da due corpi laterali collegati da uno minore centrale - è concepito, al fine di fronteggiare le piene del fiume, quale grande volume su palafitte che appare "sospeso" nella campagna sostenuto da grandi pilastri e ritmato da esili montanti. 


La Cascina Torre Bianca
A pochi chilometri da Pavia lungo la via Trovamala in direzione di Sant'Angelo Lodigiano, oltrepassata la frazione Fossarmato nel comune di Cura Carpignano, troviamo sulla destra il luogo nel quale sorgeva l'antica Cascina Torre Bianca, demolita negli anni Settanta. Originariamente un viale alberato, al di là della strada Trovamala, proseguiva l'asse longitudinale della cascina e conduceva a un ulteriore portale. 
Attualmente una scritta (Azienda Agricola Torre Bianca) sulla sommità arcuata di un'inquietante struttura metallica (alla quale è appesa la campana originaria della cascina) segna l'ingresso a un vasto spiazzo in cemento sul quale sono state edificate alcune squallide casette in serie, un capannone e alcuni silos.

La cascina è completamente esplorata dalla macchina da presa: entra lungo il portale di ingresso principale segnando il percorso longitudinale che attraversa la cascina stessa, si ferma in posizione centrale, inquadra Emi­lia che entra nella corte (controcampo) e, al centro, guarda di lato; ruota di 90 gradi seguendo lo sguardo di Emilia e propone la vista di un vuoto nei corpi perimetrali verso la campagna; in realtà a lato è presente una panca sulla quale sosterà Emilia. Il controcampo è costituito dalla porta della casa padronale alla quale si affaccia la famiglia di Emilia. Le inquadrature mostrano ancora una volta l'asse longitudinale principale - campo e controcampo - e l'asse tra­sversale perpendicolare.
Successivamente la macchina da presa collocata al centro della cascina compie una rotazione completa di 360 gradi - unico esempio in tutto il film - descrivendo interamente la corte interna. 
Quando Emilia "compie il mi­racolo" e levita a mezz'altezza, la macchina da presa si alza verticalmente verso il cielo: un'ulteriore croce, tridimensionale in questo esempio. Il portale d'ingresso inquadra l'ampia corte interna secondo l'asse lon­gitudinale principale che prosegue, lungo il fronte opposto, con un se­condo portale inglobato nella cortina edilizia, continuando il percorso esternamente alla cascina.

Al centro della corte vediamo alcuni grandi silos cilindrici in cemento; il lato est è costituito da un basso volume porticato, da un vuoto e dalla casa padronale (in sommità la piccola cella campanaria: 
la campana comincia a suonare quando Emilia inizia a levitare); il lato ovest è delimitato da una stalla con grandi portici lungo i lati maggiori, un vuoto (adiacente alla posizione in cui Emilia si siede) e dai corpi minori in linea, di servizio o de­stinati ai braccianti, che proseguono lungo il lato sud. 
L'inquadratura della folla che si raduna nella corte della cascina richia­mata dai miracoli e dalla levitazione di Emilia allude al dipinto Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo [v. foto qui sopra]; a questo proposito scrive Laura Betti: 
«Ricordo che, al momento della levitazione, come al solito man­cavano i soldi per la piccola folla di comparse che dovevano assistere al miracolo della santa.. Franco Rossellini, il produttore, non si perse d'animo e fece irruzione in un ospizio di vecchietti vicino a Pavia ur­lando per le corsie: "venite! Presto venite! Ci sta una santa che fa i mi­racoli!". Caricò i vecchietti nel furgoncino e cominciò subito a far circolare un po' di fiaschi dì vino e insomma i vecchietti, disposti sotto il tetto da dove io me ne partivo in volo, ci credevano sul serio. Arrivati all'ultimo ciak, mentre i tecnici tentavano di farmi scendere, Franco si mise a urlare al megafono: "Correte! Correte! Ci sta la santa che scende e si vede tutta la ... ". Ecco il cinema è anche questo». 
Le citate comparse sono state "reclutate" presso il Pio Albergo Pertusati di Pavia, una casa di riposo per anziani nel viale Matteotti.


II percorso della moglie
La moglie, successivamente alla partenza dell'Ospite, si avvia a bordo di un'autovettura (una "Mini" Innocenti) e intraprende il suo tormentato viaggio durante il quale adesca giovani ragazzi. Esce dalla villa, percorre la via Palatino, prosegue lungo la via Rospigliosi sino a piazzale Segesta e gira a destra verso sud lungo il viale Mar Jonio: l'immagine successiva mostra uno squallido piazzale con pianta a raggiera e grandi edifici prospicienti il largo: si riconosce un alto edificio situato nel piazzale Giovanni Dalle Bande Nere. 
La corsa prosegue lungo un anonimo viale alberato sino alla sosta presso il Largo Marinai d'Italia: l'autovettura percorre il viale Umbria che delimita un lato del Largo, accosta lungo il lato definito dal corso 22 Marzo accanto a un edificio con alcuni negozi: il controcampo mostra una scultura di Francesco Somaini. L'autovettura svolta a sinistra lungo la via Cadore e si ferma nuovamente a fianco di un filare di alberi e di un alto palazzo il cui prospetto è caratterizzato dall'alternanza di fasce verticali intonacate o a bugnato, da negozi al piano terra e massicci balconi aggettanti. Nell'inquadratura perpendicolare alla via si intravede la scultura del Somaini circondata da lavori in corso e parzialmente coperta dal muro di recinzione che è in fase di demolizione (probabilmente i lavori di demolizione dell'antico Mercato).  Quando l'autovettura riparte, l'inquadratura collima con l'asse della via Cadore in direzione degli alti palazzi prospicienti la via Anfossi.


L'Oratorio della Colombina
Percorrendo la strada che collega Sant'Angelo Lodigiano a Pavia (Strada Statale 235 di Orzinuovi) troviamo la chiesetta della Colombina, oratorio della cascina omonima situata a breve distanza. L'edificio è isolato nella campagna e collegato alla strada da un breve vialetto in terra battuta.
La moglie raggiunge il luogo in automobile dopo aver adescato due giovani: ha rapporti sessuali con uno di loro in un fosso asciutto limitrofo alla chiesetta. La macchina da presa inquadra ancora una volta l'edificio secondo gli assi principali perpendicolari. Un'inquadratura effettuata dalla strada mostra la chiesa e sullo sfondo la cascina omonima.
La chiesa è a navata unica con abside a pianta semicircolare; il prospetto principale mostra un timpano a coronamento, quattro lesene, un oculo centrale; l'ingresso è contraddistinto da un nartece delimitato da bassi muretti. Il piccolo edificio collocato al termine del citato vialetto sterrato, attualmente delimitato da un filare di alberi, a margine di ulteriori filari alberati e della rete dei fossi, costituisce un punto di riferimento nella piatta pianura lombarda. Successivamente la moglie, dopo la sosta a Sant'Angelo, ritorna ed entra nella chiesa osservando l'altare e il crocefisso.
«Teorema è già stato deriso e questo mi è molto dispiaciuto. Son cose che feriscono. Vedere che della gente ridacchia volgarmente di fronte alle cose per cui uno si è speso, si è offerto, ha offerto il fianco... Vedere della gente che ride dispiace, benché io sappia che non può che ridere. E ride di fronte al rigore formale perché è abituata allo stile illustrativo dei film, ad avere tutto spiattellato, tutto chiaro, tutto banale; di fronte alle difficoltà reagisce ridendo. O protestando, o ridendo.» [P.P.Pasolini, "In margine. (A proposito del cinema d'élite) Gennaio 1969", in Laura Betti, Michele Galinucci (a cura di), in Pier Paolo Pasolini. Le regole di un’illusione. I film. Il cinema. Associazione “Fondo Pier Paolo Pasolini”, Roma, 1991]
Come per altri prodotti editoriali, il libro di Vittorio Prina può essere acquistato
E, per chi già non l'avesse, è possibile forrnirsi anche di una copia del
Dvd contente il film Teorema di Pier Paolo Pasolini.
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Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di Vita - Recensione di Darius

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LA SAGGISTICA - LIBRI
Pier Paolo Pasolini
Ragazzi di Vita
Recensione di Dariuswww.debaser.it


Se il mito di Pasolini viene spesso ricondotto all'avanguardismo scabroso degli ultimi anni di vita, l'epoca della Trilogia dell Vita, dei grandi kolossal riadattati in un contesto e in un'etica modernista e post modernista, di Salò, Porcile, Teorema e di tutte le ardue battaglie legali contro la censura e l'oblio, il punto di partenza vero e proprio, l'origine di un percorso creativo senza precedenti risiedono nella cupa, tetra e desolante analisi neo-realistica del secondo dopoguerra. Non sarebbe mai esistito, difatti, l'esperimento cine-socio-antropologico di Teorema, l'apocalittica dissacrazione sadica di Salò e l'impeto erotico-amorale senza un'attenta riflessione sul sistema valoriale di una società improvvisamente snaturata del proprio antico credo, lacerata dal conflitto, smarrita fra Dio e il popolo, estromessa dalla fiducia in un mondo di chiaroscuri privi di qualsiasi tonalità intermedia. 
L'approccio neorealista di Pasolini è tanto semplice quanto scarno di molteplici interpretazioni: un sottoproletariato affamato di pane, denaro e vita, la miseria dei reietti e dei condannati, la politica traballante fra la Croce e il binomio falce-martello, il lento districarsi dal terrore del fascio oppressore, l'incapacità di uno Stato nel provvedere a tutti, lo squallore delle periferie, l'ignoranza, l'analfabetismo, la cultura del materialismo, il desiderio di procacciarsi il meglio sul mercato nero dell'anti-borghesia. Da ciò sono nati Ragazzi di Vita, Una Vita Violenta, Il Sogno di una Cosa, storie di bambini e ragazzi, soggetti prediletti dall'autore, che tentano, invano, di campare senza troppe pretese e richieste, vivendo alla giornata, assaporando tutto ciò che la realtà può regalare loro, giungendo persino a rubare, massacrare e optare per nuove forme di schiavitù.
Ragazzi di Vita, primo romanzo di Pasolini pubblicato nel 1955, è un lavoro che esprime una doppia crudezza. A una narrazione totalmente redatta in dialetto romanesco (molte volte totalmente incomprensibile e impenetrabile) si aggiunge la mesta vicenda di un gruppetto di ragazzi del basso proletariato, rappresentanti dal Riccetto, abbandonati dai genitori e lasciati a vivere la dura vita di strada. Le giornate del Riccetto e dei suoi amici trascorrono a metà fra lo svago (i consueti bagni nelle sporche e inquinate acque del Tevere e dell'Aniene), la ricettazione, la raccolta e lo spaccio di ferro e altro materiale metallico rinvenuto nelle discariche e qualche estemporanea ruberia. In una città apparentemente ordinata e ricostruita dopo i disastri della Guerra, la banda di adolescenti cresce e matura sulle sordide strade della periferia, venendo persino deliberatamente molestata dai ricchi borghesi pedofili e pederasti che amano nascondersi con le loro inconsce vittime sotto ponti, ferrovie o presso gli argini dei fiumi. L'opera si conclude con la morte accidentale di Genesio, uno spavaldo ragazzetto ingoiato dai flutti dell'Aniene di fronte agli occhi stravolti dei suoi compagni.
Eccelsa testimonianza di una rinascita post-bellica non troppo riuscita, Ragazzi di Vita sconvolge per l'intensità delle vicende volutamente ridotte a banale "routine" giornaliera. Il duro campare per i marciapiedi, il dormire all'aria aperta lontano da famiglia e casa, la piccola delinquenza e l'assenza di qualsiasi intervento dall'alto sono concepiti dall'autore e dai protagonisti del suo romanzo come la sublimazione della normalità e della consuetudine per un reietto o un emarginato, confinato e recluso agli angoli della società. Il Riccetto e colleghi rifiutano persino di staccarsi dalla strada, considerata come la loro vera madre, la protettrice di un Male in realtà già insito nell'umanità dilaniata. 
La Roma di Pasolini è, poi, il ponte fra il passato e il futuro, il crogiuolo di un benessere che tarda ad affermarsi e che, tuttavia, pare non essere particolarmente richiesto a gran voce dalla banda di ragazzini. Basta poco per farli felici: pochi quattrini ottenuti dalla vendita dei ferrovecchi, una fetta di pizza al taglio e qualche leccornia della gastronomia romana, un "Namo" verso il fiume, i vicoli bui e la spiaggia di Ostia, una partita a calcio, una dormita sotto le stelle, una calorosa discussione notturna con barboni, prostitute e nomadi. Ed è questo che smorza l'asperità e la crudezza del romanzo, che tiene in vita i protagonisti e "rilassa" il lettore.
Ragazzi di Vitaè stato altresì la prima delle gravose diatribe fra una mente geniale e l'arcaica giustizia italiana, troppo morigerata per comprendere la schiettezza dell'opera e la genuinità della narrazione. Pasolini e le Corti avrebbero litigato sino alla tragica morte dell'autore, spaccando un Paese fra ipocrisia e verità: conflitti che sarebbero stati la portaerei per una rivoluzione del costume e del pensiero ancora incompiuta e inadeguata, soffocata dalla politica dei sogni e dal finto welfare delle illusioni, i nemici che il nostro Pier Paolo non è riuscito ad annientare definitivamente.
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Los Angeles omaggia l'estro di Pasolini. Fino all'8 settembre 2013 - RaiNews24

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LE NOTIZIE
Il Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, Alberto Di Mauro,
il fotografo Roberto Villa e il Console Generale d'Italia, Giuseppe Perrone

Los Angeles omaggia l'estro di Pasolini
L'iniziativa, organizzata nell'ambito dell'Anno della cultura italiana negli Stati Uniti e
patrocinata dal consolato generale d'Italia a Los Angeles, è stata inaugurata
con la proiezione del film Il Decameron
http://www.rainews24.rai.it/ - agosto 2013


Pier Paolo Pasolini sul set de "Il fiore delle Mille e una
notte fotografato da Roberto Villa
Los Angeles celebra Pier Paolo Pasolini con un'ampia retrospettiva cinematografica intitolata 'Pure & Impure'. L'iniziativa, organizzata nell'ambito dell'Anno della cultura italiana negli Stati Uniti e patrocinata dal consolato generale d'Italia a Los Angeles, è stata inaugurata presso il Billy Wilder Theater con la proiezione del film Il Decameron.
Seguiranno, per tutto il mese di agosto fino all'8 settembre, nelle nuove copie recentemente restaurate dalla Cineteca di Bologna, Accattone, Mamma Roma, Porcile, Comizi d'amore, Il Vangelo secondo Matteo, Sopralluoghi in Palestina per il film "Il Vangelo secondo Matteo", Edipo Re, Medea, La ricotta, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte, Salò o le 120 giornate di Sodoma.
In contemporanea, la galleria dell'Istituto italiano di cultura di Los Angeles ospiterà la mostra 'L'oriente di Pasolini. Il Fiore delle mille e una notte nelle fotografie di Roberto Villa che ripercorre l'esperienza di Villa sul set del film pasoliniano attraverso oltre 100 scatti. Per l'occasione, l'Istituto si è trasformato in un set orientaleggiante fra giochi di luce, musiche e arredi appositi, aprendo le sue porte a un pubblico numeroso accorso per l'inaugurazione, alla quale hanno partecipato il console generale, Giuseppe Perrone, e il fotografo Roberto Villa.


“L'Oriente di Pasolini” all'Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles
Dal 2 al 28 agosto 2013
Los Angeles

Inaugurata venerdì 2 agosto all'Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles la mostra Pasolini's East in Roberto Villa's Photographs, la più importante e vasta mostra fotografica sul grande poeta, letterato e regista italiano.
"Lo incontrai a Milano, discutemmo di operatività e rappresentatività e alla fine mi invitò a seguirlo sul set del film che si apprestava a girare. Era un uomo per niente autoritario, era invece autorevole e tutti sul set lo ascoltavano con riguardo". Così il fotografo genovese racconta la nascita della collaborazione con Pasolini.
L'Oriente di Pasolini raccoglie più di cento immagini organizzate in quattro sezioni - "Alla ricerca dei volti", "Fuori set", "Pasolini al lavoro" e "I luoghi" - che ripercorrono l'esperienza del maestro della fotografia italiana sul set di Il fiore delle Mille e una notte di Pasolini, documento unico nella storia del Cinema e della Fotografia che testimonia il lavoro del regista in Medio Oriente - in particolare in Yemen ed Iran - e l'interesse di Pasolini per la relazione dialogica tra Oriente e Occidente, contesto centrale per comprendere il suo presente e la nostra contemporaneità.
La mostra - curata da Gianluca Farinelli e Rosella Trebiani - è stata allestita nel 2011 negli spazi espositivi della Cineteca di Bologna e rappresenta la prima esposizione in assoluto di Villa che ha donato alla Cineteca di Bologna il suo immenso archivio, comprendente fotografie, pubblicazioni e prezioso materiale tecnico audio, video e fotografico utilizzato durante la sua attività, tuttora in corso.
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Ontologia del rifiuto. Pasolini e i rifiuti dell’umanità in una società impura di Guido Zingari

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LA SAGGISTICA - LIBRI
Ontologia del rifiuto.
Pasolini e i rifiuti dell’umanità in una
società impura
di Guido ZingariRoma, Le nubi, 2006, pp. 135

Recensione di Francescomaria Tedesco


Il libro di Guido Zingari intende, come icasticamente si evince dal titolo, “interrogarsi sull’essere e sull’essenza di ciò che viene definito rifiuto e sul significato che tale concetto riveste nelle sue pratiche quotidiane” (p. IX). 
Tuttavia il testo, che per ammissione dello stesso autore è una commistione di pensiero filosofico e poesia, risulta spesso frammentario, poco coerente, lacunoso per ciò che riguarda la definizione del concetto di ‘rifiuto’. Emergono comunque, agli occhi del lettore, due dati problematici: la distinzione tra rifiuto ‘rifiutante’ e rifiuto ‘rifiutato’, ovvero tra rifiuto come gesto attivo, come soggettività, e rifiuto come oggetto passivo, vittima del gesto di rifiutare; l’idea che il rifiuto sia soltanto un altro degli innumerevoli sinonimi per descrivere gli ultimi/umili, i reietti (per Zingari i ‘deietti’), i subalterni. 
Se con riferimento alla prima delle due idee messe in luce non c’è molto da dire, dato che risulta difficile rintracciare nel testo una cristallizzazione dei due concetti complementari di ‘rifiuto’ (non si va al di là di espressioni sinonimiche come ‘allontanamento’, ‘rigetto’, ‘deiezione’, ‘anime dannate e agonizzanti’, etc.), qualche domanda – che getti luce anche sulla prima questione – sorge invece con riferimento alla lettura, da me avanzata, del rifiuto come sinonimo del ‘dannato della terra’. 
Proprio con riferimento a quest’ultima espressione, è doveroso notare, con Dipesh Chakrabarty (La storia subalterna come pensiero politico, in «Studi culturali», I, 2004, 2, pp. 242 sgg.), che Frantz Fanon la mutuò dall’Internazionale Comunista, la canzone, e che ciò rappresenta il paradigma di una vicenda politico-filosofica molto rilevante. Quando il giovane Marx elabora il concetto di ‘proletariato’, in tale categoria c’è una precisione filosofica che si va successivamente perdendo attraverso la sostituzione di esso con concetti come ‘contadini’, ‘masse’, ‘subalterni’, ‘dannati della terra’. 
In tale continuo slittamento dal termine originario (e dalla sua cogenza filosofica) si dispiega il fallimento dell’idea marxiana di proletariato, in quanto essa, profondamente eurocentrica, sembra non possedere capacità euristiche per interpretare la realtà non europea, tanto da richiedere un continuo slittamento da quel termine verso concetti analoghi ma ‘piegati’ alle esigenze di un pensiero filosofico-politico che provincializza l’Europa (per parafrasare il titolo di un fortunato libro di Chakrabarty): “termini come «contadini» (Mao), «subalterni» (Gramsci), «dannati della terra» (Fanon), «il partito come soggetto» (Lenin/Lukács) non hanno nessuna precisione filosofica né tanto meno sociologica” (p. 243). 
Lasciando da parte l’analisi di quel fallimento, ovvero se sia possibile pensare che lo slittamento produca finalmente un soggetto rivoluzionario (la risposta di Chakrabarty delude quando egli si affida alle sirene della moltitudine negriana), resta il dato della pressoché totale inservibilità filosofica e politica di un concetto (quello di ‘rifiuto’) che non ha alcuna precisione filosofica e che, sul piano sociologico, fatica a fornire una chiave di lettura della realtà. 
A ciò si aggiunga che tale concetto tende, nel saggio di Zingari, a proiettare degli ultimi della terra un’immagine di autenticità, di accesso immediato alla conoscenza attraverso la sofferenza, seguendo un cliché che vorrebbe gli umili, gli sfruttati, i diseredati come portatori della ‘corona di spine della rivoluzione’ (Majakovskij) poiché intrinsecamente ‘buoni’: “Quel mitico mondo arcaico e contadino scomparso in Italia e in Occidente, Pasolini l’avrebbe ritrovato, in parte, altrove nel suo incessante peregrinare nel Paesi arabi o in Oriente. Laddove, accanto ai rifiuti, alla povertà, al dolore e alla gioia, si erano conservati ancora la dignità, il valore e quindi il significato di vite sofferte e più autentiche” (p. XV, c.m.). 
A questo proposito, ma en passant, mi sembra invece utile richiamare un concetto (espresso, mutatis mutandis, da autori come Elster, Nussbaum, Spivak, Bourdieu) che potremmo condensare nel sintagma ‘violenza simbolica’ (o, seguendo Spivak, ‘epistemica’): non vi è nessuna certezza che i subalterni, gli umili, i diseredati posseggano una visione più ‘autentica’ della realtà (data loro dalla sofferenza e dall’assenza di sovrastrutture); al contrario, come dimostra in particolare Spivak, i dominati partecipano dell’ideologia dei dominanti, ne condividono le finalità, gli scopi, e spesso sono complici dei loro stessi ‘carnefici’, poiché le loro strutture cognitive subiscono l’aggressione da parte dei codici semantici del dominio. In altre parole, i dominati (i rifiutati) spesso parlano con la ‘lingua’ che i dominanti hanno fornito loro.
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Tuscania: tutto pronto per il concerto di musica antica del 23 agosto 2013

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LE NOTIZIE
Tuscania, San Pietro
Tuscania: tutto pronto per il concerto
di musica antica 
L'appuntamento è per venerdì 23 agosto - h. 21,00
presso l' Anfiteatro Giardini Parco Torre di Lavello

Tuscania (VT) - Nella provincia di Viterbo la gli eventi musicali non si esauriscono mai. Il programma di questo Concerto di musica antica, organizzato dall'Associazione Culturale "Il Crogiuolo" e che si terrà a Tuscania (Viterbo) venerdì 23 agosto - h. 21,00 presso l'Anfiteatro Giardini Parco Torre di Lavello, vuole essere un ideale dialogo e confronto tra due realtà musicali.
Da un lato il primo Barocco italiano, dall'altro la musica antica tradizionale del vicino Oriente. Queste due dimensioni sono colte nel loro carattere più essenziale, ossia quello popolare. La musica "del popolo", seicentesca che interpreteremo è sopravvissuta ai secoli grazie ad un manoscritto di origine napoletana o romana: danze e "galanterie" della Roma o della Napoli di primo seicento contrappuntano così la musica delle strade e dei vicoli orientali, ispirazioni tratte dalla pellicola "Il fiore dalle mille e una notte" di P.P. Pasolini, per approfondire questo dialogo tra questi due mondi. 
La citazione si fa tuttavia diretta negli ultimi due brani del programma: il ritornello delle lavandaie del Vomero, antichissimo canto popolare napoletano, e la struggente canzonetta "Fenesta c'luciv" attribuita a Vincenzo Bellini, sono brani direttamente utilizzati da Pier Paolo Pasolini nel film Il Decameron.
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I tesori del cinema. Alla Cineteca di Bologna il restauro di film storici

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LA SAGGISTICA - CINEMA
I tesori del cinema

Grazie alla Cineteca di Bologna si rivedranno restaurati film storici
come “Roma città aperta” e “La febbre dell’oro”. Un miracolo italiano


I volti segnati, allo stesso tempo dall’abisso della guerra e dalla speranza nel futuro, che Roberto Rossellini ha consegnato alla storia del cinema in "Roma città aperta". Il valzer di Claudia Cardinale e Burt Lancaster nella scena madre de "Il Gattopardo". O la passeggiata mattutina in cui Charlot fa il suo primo incontro con "Il monello". E si potrebbe andare avanti all’infinito: perché il patrimonio di immagini custodito dalla Cineteca di Bologna comprende questo e altro. E dieci tra i capolavori restaurati nei laboratori dalla Cineteca ritorneranno nelle sale italiane a partire dall'autunno 2013: un classico ogni mese, proiettato il lunedì e il martedì in 25 sale di Circuito Cinema. L’obiettivo è restituire alla propria destinazione originaria alcuni tra i film più importanti della storia del cinema. Si parte il 23 settembre proprio con "Roma città aperta". E tra i titoli in programma le versioni restaurate di "Hiroshima mon amour" di Alain Resnais, "Les enfants du paradis" di Marcel Carné e "La febbre dell’oro" di Charlie Chaplin.
Un progetto che si inserisce nella mission della Cineteca, un ente che fa della conservazione della memoria cinematografica la propria ragion d’essere: proteggere il grande cinema mettendolo a disposizione delle generazione future. E, soprattutto, creando economia dal patrimonio artistico. Perché a Bologna, con il cinema “si mangia”, si genera ricchezza. Nella Cineteca, nata nel 1963 e trasformatasi in Fondazione all’inizio del 2012 per poter ricevere anche finanziamenti privati, lavorano oltre cento persone, senza contare gli “stagionali” che vengono arruolati per le tante iniziative messe in cantiere. Un bilancio da tre milioni di euro per un archivio sterminato, fatto di oltre 60mila pellicole, 350mila immagini di scena, 200mila tra locandine e manifesti. Ancora: 6mila colonne sonore e ore e ore di lezioni e seminari sulla settima arte, da Carmelo Bene a Krzysztof Kieslowski, da Werner Herzog e Bernardo Bertolucci. 
Poi il Centro Studi dedicato a Pier Paolo Pasolini e il laboratorio di restauro, uno dei migliori del pianeta. Tanto all’avanguardia che la Film Foundation di Martin Scorsese e la famiglia di Charlie Chaplin hanno consegnato a Bologna le proprie collezioni affinché fossero catalogate e restaurate.
«Abbiamo puntato sempre sulla qualità» dice Gian Luca Farinelli, direttore della fondazione «E abbiamo sempre cercato il dialogo in una dimensione internazionale. Il nostro Festival del Cinema Ritrovato, che ormai va avanti da ventisette anni, è la più grande rassegna di storia del cinema in Italia, paradossalmente più conosciuta all’estero che nel nostro Paese».
Un paradosso che, purtroppo, accomuna molte delle realtà italiane che si dedicano alla divulgazione del passato e del presente del cinema. Altra ragione del successo della Cineteca è «la continuità del lavoro». Parte tutto negli anni 60, con un progetto, «un po’ utopistico: un gruppo di intellettuali decide di dar vita a un luogo dove valorizzare la cultura del cinema». Un percorso che da allora non si è più fermato, anche grazie al sostegno «prima dal Comune, poi della Regione e dallo Stato», continua Farinelli.
Cinquant’anni di lavoro navigando sempre su una rotta: «Il punto centrale è la conservazione della memoria per la costruzione del presente: siamo un Paese allo stesso tempo straordinario e terribile », dice il direttore «Abbiamo una storia cinematografica importante, cineteche di livello altissimo, festival, un patrimonio di sale considerevoli. E nello stesso tempo, tutto questo viene spesso dimenticato, messo ai margini». Nonostante questo, il lavoro della Cineteca non si è mai fermato, generando anche dei miracoli, come il restauro di "C’era una volta in America", «in cui abbiamo potuto restituire al pubblico l’idea originaria del capolavoro di Sergio Leone». 
Per quanto riguarda il ritorno in sala dei vecchi capolavori restaurati, «non sappiamo ancora quali saranno le ricadute economiche del nostro progetto, vedremo. Ma le motivazioni che ci spingono a realizzarlo non sono di natura puramente economica. Una cineteca ha degli obblighi etico-morali rispetto al proprio ruolo», dice Valerio De Paolis, membro del cda della Cineteca e presidente della Bim. Perché l’importante è anche «distribuire un’idea, mostrare al pubblico un cinema pensante, che contenga materiali per interpretare la società ». 
A presiedere la Cineteca, il regista e produttore Carlo Mazzacurati, il quale spiega: «Il lavoro della Cineteca serve moltissimo. Non vorrei dire una banalità, ma è così: dietro ogni cosa nuova che viene prodotta, traspare il passato del nostro cinema. Per esempio, se si parla con i registi americani che hanno iniziato negli anni Sessanta e Settanta il loro percorso, e penso a Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, raccontano che la visione del cinema italiano del secondo dopoguerra è stato essenziale per la creazione del loro linguaggio cinematografico ». L’esigenza, oggi, è quella di tradurre quest’importanza in impegno anche da parte degli enti pubblici, a partire dal Ministero. E, magari, mettersi al lavoro per esportare l’esportabile del “modello Bologna”.
Cineteca di Bologna: corridoio interno e facciata dell'Ex Manifattura Tabacchi
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