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A Casarsa. "Pier Paolo Pasolini: corpo a corpo con la parola, le immagini, il sacro

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"Pagine corsare"
LE NOTIZIE
Casarsa della Delizia, Casa Colussi-Centro Studi Pasolini

Centro Studi Pier Paolo Pasolini / Casarsa della Delizia (Pn)
e
 Accademia di Belle Arti di Brera
Campus Universitario CIELS di Padova
  
con il contributo di     
Regione Autonoma FVG / Provincia di Pordenone / Città di Casarsa della Delizia

Dopo Brera e Padova
terza tappa a Casa Colussi del seminario di studi

Pier Paolo Pasolini:
corpo a corpo con la parola, le immagini, il sacro


martedì 28 maggio 2013
ore 11  >  17
Centro Studi Pier Paolo Pasolini / Casarsa della Delizia


Si  concluderà a Casarsa il seminario itinerante di studi pasoliniani “Pier Paolo Pasolini: corpo a corpo con la parola, le immagini, il sacro”, promosso in sinergia tra l’Accademia di Belle Arti di Brera, il Campus Universitario CIELS di Padova e il Centro Studi Pasolini.
Per tutta la giornata di martedì 28 maggio convergeranno infatti  nella cittadina della Destra Tagliamento e a Casa Colussi, sede del Centro Studi,  trenta giovani studenti e ricercatori, già coinvolti nelle due precedenti sessioni di lavoro, il 31 gennaio a Milano e il 15 aprile a Padova, per un’ indagine a tutto campo nella poliedrica attività pasoliniana.
Questa originale iniziativa di studio, progettata come un ideale viaggio di studio a puntate tra le tre sedi, ha esplorato dapprima la creatività dell’artista e cineasta Pasolini, educato precocemente dal maestro Roberto Longhi alla sensibilità per le arti della visione e per l’espressione figurativa, e in seguito, nel secondo appuntamento, ha orientato la propria attenzione sulla scrittura letteraria e sul significato che vi assume la parola poetica come tramite  per l’espressione della realtà e del suo valore sacro.
Toccherà ora alla terza tappa casarsese raccogliere i tanti spunti emersi negli incontri precedenti e verificarne direttamente le sintonie nei luoghi che hanno conosciuto l’operosità giovanile dell’officina pasoliniana, alimentandone l’immaginario in maniera decisiva anche per i suoi futuri sviluppi. Sarà dunque fitto il programma della giornata, che prevede nella mattinata e nel primo pomeriggio un momento convegnistico per l’approfondimento della stagione friulana di Pasolini nelle sue tante sfaccettature, con le relazioni di Marco Salvadori, per la descrizione della biografia, di Daniele Gallo, per l’indagine sulla parola poetica, di Angela Felice, per l’esperienza drammaturgica, e di Giancarlo Pauletto, per un’interpretazione della pittura del giovane Pier Paolo, incorniciata dagli stimoli dell’ambiente artistico friulano e sanvitese.
Sarà poi immancabile intarsiare il programma di studio con la visita diretta ai luoghi casarsesi del “paese di temporali e di primule”, per una sorta di turismo evocativo che, in questo caso, combacerà concretamente anche con le intenzioni itineranti  del progetto e dei suoi giovani studiosi, stimolati a diventare moderni clerici vagantes.

Programma
Ore 11.00
Daniele Gallo
La parola poetica e il sacro in Pier Paolo Pasolini

Marco Salvadori
La stagione friulana di Pasolini

Angela Felice
Il teatro friulano di Pasolini: I Turcs tal Friúl

Visione del documentario Rai Fvg di Mario Rizzarelli  Pasolini e il Friuli (2013, 30’)

Visita al cimitero di Casarsa e alla tomba di Pasolini 

Ore 15.00
Visita guidata a Casa Colussi, sede del Centro Studi

Giancarlo Pauletto
L’opera pittorica giovanile di Pasolini

ore 16.00
Visita ad alcuni luoghi pasoliniani del casarsese

Info, Centro Studi Pier  Paolo Pasolini
via G. Pasolini 4, 33072 Casarsa della Delizia (pn), tel. 0434 870593
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi
Nel sito, negli archivi e nei sommari potrai trovare gli ipertesti, gli interventi,
le notizie contenuti in oltre dodicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini.
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Alla Federazione Operaia di Sanremo presentazione di "Frocio e basta" di CarlaBenedetti e Giovanni Giovannetti

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LE NOTIZIE
Alla Federazione Operaia di Sanremo
presentazione di ‘Frocio e Basta’ 
(Pasolini, Cefis, Petrolio - Come si uccide un Poeta)


L’associazione culturale Mondo Fluttuante, dopo il lusinghiero riconoscimento avuto dal settimanale L’Espresso nel quale, in un lungo articolo dal titolo ‘Penisola dei Poeti – Atlante degli autori italiani regione per regione’, risulta essere presente con bene sette associati, preannuncia il suo programma primaverile-estivo-autunnale. 
Il 25 maggio 2013, presso la Federazione della ‘Società Operaia Sanremese’ presenterà l’importante libro ‘Frocio e Basta’ (Pasolini, Cefis, Petrolio - Come si uccide un Poeta), scritto da Carla Benedetti, critico letterario fra i più autorevoli a livello nazionale, docente presso l’Università di Pisa e da Giovanni Giovannetti, editor di Effigie e saggista. 
Il libro: sulla versione ufficiale dell'omicidio di Pasolini si è ricamato per anni con pochi scrupoli di verità. A pochi venne il dubbio che quel traballante e contraddittorio scenario sessuale, fosse una messinscena per coprire un altro tipo di delitto. Perché una parte della cultura e del movimento gay in Italia si è fatta complice involontaria di un depistaggio durato quasi quarant'anni? Il brutale massacro di Pasolini (1975) resta uno dei buchi neri della notte repubblicana. Così come l'assassinio di Enrico Mattei (1962) o del giornalista Mauro De Mauro (1969). Pasolini e De Mauro muoiono forse per la stessa ragione, perché troppo vicini alla verità sull'omicidio di Mattei, che si preparavano a divulgare accusando Eugenio Cefis, successore di Mattei alla presidenza dell'Eni e fondatore della P2. Di Cefis Pasolini fa un personaggio centrale del suo incompiuto romanzo "Petrolio". In lui vede la "mutazione antropologica della classe dominante", quel nuovo Potere finanziario che avrebbe portato alla cattiva società cetuale di oggi, "in un Paese orribilmente sporco". 
Il 21 giugno 2013, in concomitanza dell’Equinozio d’Estate, prenderà forma un importante reading all’aperto (luogo da definirsi) denominato ‘Sanremoinverso-Estate’, che è un seguito ideale della affollatissima lettura pubblica svoltasi nell’incantevole e prezioso Museo Borea d’Olmo il 2 marzo. In luglio o settembre presentazione dell’attesissimo romanzo “Il male veniva dal mare” dell’autore di fama internazionale, ed associato a Mondo Fluttuante, Giuseppe Conte; libro che lo ha tenuto impegnato per ben quattro anni e che uscirà ufficialmente in tutte le librerie italiane il 6 giugno. 
Il 6 ottobre 2013 è previsto un dinamico e coinvolgente “Slam Poetry” (una gara vera e propria ad eliminazione diretta da parte di autori provenienti da ogni parte d’Italia), che vedrà come “cerimonieri” Giuseppe Conte e Lamberto Garzia, che dell’associazione ne è il presidente. Il novembre ci sarà la presentazione di un libro di uno scrittore di indiscussa fama, ma dato che non vi è ancora conferma definitiva, ‘Mondo Fluttuante’ preferisce non farne per il momento il nome.
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Pasolini fra cinema e pittura, di Pier Marco Santi

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LA SAGGISTICA - CINEMA - VITA
Pasolini fra cinema e pittura
Pier Marco De Santi

Dal vastissimo panorama bibliografico sulla personalità e sull'opera di Pier Paolo Pasolini si ricava netta l'impressione che tutto sia stato ormai detto e scritto. In realtà il "fenomeno Pasolini" - uno tra i più compositi, complessi, inquietanti dell'arte e della società contemporanee - è stato analizzato e posto al vaglio dei più sofisticati metodi di indagine. Per questo, un ulteriore approccio alla creatività pasoliniana (sia in ambito socio-politico, sia in campo storico-letterario, fino al frastagliato humus della storia delle arti) rischia di inabissarsi nelle acque melmose dell'ovvietà. 
Anche per uno studio relativamente meno sondato, quale è quello della grafica e della pittura di Pasolini, si tratta perciò di non incorrere in un pericolo: quello di dover riporre necessariamente le armi dell'analisi critica nelle casse polverose di una archiviazione generale. Archiviazione che, nel caso dei disegni di Pasolini, è stata fin troppo frettolosa. Di qui il desiderio di "riaprire il caso" e di individuare nuovi stimoli per uno studio più approfondito, nel tentativo di riproporre questo specifico aspetto dell'operatività di Pasolini come essenziale cornice di un complessivo quadro creativo, e non semplicemente come "curiosa" attività a margine, e neanche come elemento isolato a cui attribuire, ipso facto, patente di "opera d'arte". 
L'iniziativa lodevole di una esposizione e pubblicazione postume dei disegni e degli oli di Pasolini si deve a Giuseppe Zigaina, pittore e intimo amico dello scrittore-regista, a lui legato fino dagli anni del dopoguerra. La prima mostra dell'intero corpus grafico e pittorico di Pasolini è avvenuta nel giugno 1978 a Roma, a Palazzo Braschi: circa duecento tra schizzi, disegni, bozzetti, quadri, pubblicati nel bei catalogo delle edizioni Scheiwiller e accompagnati da scritti di Argan, De Micheli e dello stesso Zigaina. 
Un’altra occasione per una rilettura di questo intimo e viscerale diario figurativo pasoliniano è venuta da una ulteriore iniziativa, sempre a cura di Zigaina: la pubblicazione dello splendido volume Pier Paolo Pasolini: Drawings and Painting, realizzato in occasione di una recente mostra statunitense (febbraio/marzo 1984) organizzata dall'University Art Museum, University of California, Berkeley, e dall'Istituto italiano di cultura di San Francisco. La lussuosa veste grafica del volume e l'ottima qualità delle 104 riproduzioni a colori (una quindicina delle quali non presenti nel volume/catalogo di Palazzo Braschi), uno specifico scritto di Pasolini del 1970, pubblicato postumo, una nuova introduzione di Achille Bonito Oliva e una interessante puntualizzazione di Zigaina sono i fondamenti principali sui quali poggia la proposta al pubblico americano della produzione figurativa di Pasolini. 
Sulla base di una analisi comparata del contenuto dei due volumi sopracitati e degli scritti in essi riportati, a distanza di tanti anni, è ora giunto il momento di tentare un bilancio complessivo sulla qualità artistica delle pagine del singolare diario visivo pasoliniano, ma anche e soprattutto di iniziarne una lettura sostanzialmente rapportabile ai principali capitoli della vita e dell'attività creativa del loro autore. Così, i disegni e gli schizzi di Pasolini assumeranno anche il ruolo di tessere di mosaico che si innestano a riempire alcuni "punti neri" e a far luce su alcuni aspetti solo apparentemente marginali dell'eterogeneo universo dell'artista. 
Il giudizio degli storici dell'arte sulle "qualità artistiche" delle opere figurative di Pasolini è stato, fin dalla mostra romana, alquanto cauto. In effetti, l'intento dell'esposizione di Palazzo Braschi non era tanto quello della scoperta di un Pasolini pittore quanto quello - come si sottolinea nelle presentazioni al catalogo - di offrire un contributo in più «alla conoscenza della complessa personalità del poeta e del regista, dalla cui attività traspare in ogni momento l'appassionato interesse per l'immagine». Ha scritto Giulio Carlo Argan: «II vecchio pregiudizio della diversità, quasi di rango sociale, tra il lavoro intellettuale del letterato e quello del pittore, legato ancora alla manualità o all'artigianato del fare, benché rigettato per principio, sussiste nel fatto; e lo prova proprio la frequenza con cui gli scrittori sentono il bisogno di disegnare e dipingere, non si sa se per svago, per esercizio o per castigo. (...) Non ha senso chiedersi se Montale o Zavattini o Pasolini siano veramente dei pittori, è chiaro che non lo sono. È invece interessante vedere quali siano il posto e la funzione della figurazione nel quadro delle loro attività preminenti. Quant'acqua porta al mulino della loro poesia o narrativa o, magari, cinematografo? E quanta eventualmente ne scarica, torbida di scorie inservibili?».
È sostanzialmente sulla base di queste premesse che si è inteso far conoscere la pittura di Pasolini anche negli Stati Uniti, pur se la presentazione di Bonito Oliva tendeva all'individuazione di un preciso atteggiamento stilistico nel processo figurativo pasoliniano. Scoprendo, nel vorticoso work in progress dell'artista, singolari affinità con i principali "luoghi deputati" del Manierismo italiano, il critico fa di Pasolini un tardo pronipote di quelle poetiche e di quel fenomeno artistico». 
La "forzatura" pare evidente; anche se è assolutamente incontestabile, al di là e al di sopra del Manierismo, il fatto che - come scrive Bonito Oliva - l'attività figurativa di Pasolini, come il suo continuo attraversare i confini delle sfere della letteratura e del cinema, non ha niente di casuale né di pateticamente dilettantesco. E questo risulta chiaro fin dai primissimi disegni giovanili. 
In un pressante e viscerale bisogno di misurarsi, di confrontarsi con la realtà, di prendere posizioni e distanze su tutto e su tutti, Pasolini non ha mai seguito alcuna scuola accademica, alcuna tendenza ufficiale, non ha mai ubbidito a nessuno stimolo che non premesse dall'interno della sua magmatica personalità. È’ stato, in tutti i campi espressivi nei quali si è misurato, un "autodidatta". Lo dimostra anche la pratica del disegno che, almeno agli inizi, Pasolini doveva considerare come un aspetto importante e assolutamente non marginale dei suoi primi passi creativi. 
Il più consistente nucleo di disegni finora conosciuti (circa un'ottantina di pezzi; oltre un terzo dell'intera produzione) appartiene, infatti, agli anni 1941-1943: gli anni di Casarsa. Pasolini aveva 19-21 anni e la sua personalità stava appena fornendo i primi germogli di poesia. Gli interessi creativi di Pasolini, in questi anni, erano orientati prevalentemente proprio in ambito figurativo e nella pratica della raffigurazione grafica. Dall'analisi degli schizzi del 1941, soprattutto se se ne compie un assemblaggio per tematiche (operazione necessaria, dato che l'impaginato, specialmente del volume italiano, possiede una distribuzione non cronologica ed eterogenea dei disegni giovanili), salta immediatamente agli occhi il fatto che Pasolini organizzava le proprie visioni grafiche, appunto, per cicli tematici. Per ciascuna "serie", schizzata su fogli di piccolo formato uniforme, Pasolini adoperava la stessa tecnica: inchiostro o penna o pennello su carta. Cercando di afferrare "l'attimo fuggente", di cogliere la realtà nel suo divenire, Pasolini in realtà affidava alla sensibilità poetica del suo occhio giovanile il compito di realizzare squarci di poesia figurativa. Sensibilità poetica e sensibilità figurativa, gusto delle inquadrature e del bozzetto di ambiente, concorrono a far assumere a queste prime serie di disegni dignità e consistenza a un tempo poetiche e visive. Ecco perché pare giustificato definire questi primi disegni come "diario poetico". L'immagine figurata vela un bozzetto poetico. 
Anche i fogli delle serie pasoliniane degli anni 1943-1944 indicano chiaramente come ancora nel giovane talento non si fosse verificata alcuna scelta tra la pratica della poesia e quella del disegno. In qualche caso, addirittura, coesistevano in simbiosi come un tutt'uno. Il giovane Pasolini era, per il momento, ancora sollecitato dal bisogno interiore di un confronto "crepuscolare" con il mondo degli affetti familiari, con gli aspetti del vivere quotidiano, teneri e idillici, propri di quella civiltà contadina "dai piccoli, ma grandi valori", che tanto affascinava la sua esuberante sensibilità. 
Non sembra di intravedere, negli schizzi di questi anni - come, invece, sostiene Bonito Oliva - «la necessità di uno stile sgraziato, opposto alla grazia retorica dell'arte ufficiale del fascismo». Lo stile di questi disegni è, in effetti, forbito fino alla rarefazione, raffinatissimo, "in punta di mano" e, per quanto imiti quello di grandi artisti contemporanei, pare profumato - se l'immagine è consentita - da una goccia di femmineo narcisismo. L'occhio del poeta e del pittore continuavano a coesistere. La scelta tra poesia e pittura non era ancora avvenuta. Così come non era ancora avvenuta la maturazione di uno specifico stile poetico e pittorico. 
Da autodidatta di talento, Pasolini in quegli anni si nutriva delle esperienze altrui: le sue continue letture, così come l'incessante pratica del confronto e della documentazione sui maggiori artisti contemporanei, non potevano che dare un iniziale risultato, quello della pratica della imitazione. In questo senso è doveroso affermare che, dal punto di vista dello stile, nei disegni di Pasolini degli anni 1941-1943 non è riscontrabile alcuna sostanziale originalità. Pasolini ritraeva e schizzava “à la manière de...”, come l'allievo che tende a emulare il maestro. Disegnava come De Pisis (si confrontino, ad esempio, gli schizzi Giovane che scrive, Uomo che legge, Ritratto d'uomo, Ritratto di Susanna Pasolini, Bersagliere, Ritratto di bersagliere, Ragazzo, Ritratto di ragazzo, Figura a letto); rendeva omaggio a Scipione (Donna col lampione, Donna al fiume, la serie Donna col ranocchio, Donna nel canneto, Uomo nel canneto, Davanti al mio corpo); si rifaceva a Fabio Mauri (Giovani bersaglieri); si manteneva in bilico tra Pirandello e Mazzacurati (Giovane che si lava, Donna con fiore azzurro); dipingeva "alla Tomea" (Paesaggio, Paesaggio del Tagliamento). In conclusione, Pasolini era completamente immerso nel tentativo di individuare un proprio stile, attraverso un intenso lavoro di apprendistato teso all'appropriazione dei maggiori modelli figurativi del momento, al fine di "decollare come pittore", ma anche di prendere progressivamente le distanze da uno stile "provincialmente naturalistico". 
Posti eventualmente in relazione con la futura attività cinematografica, gli schizzi di Pasolini di questi primi anni Quaranta, le sue "poesie a colori" (come qualcuno li ha definiti) confermano, se pure ce ne fosse bisogno, che il regista possedeva fin da allora un non comune occhio esercitato alla visione, all'osservazione, all'inquadratura. Niente di più, niente di meno. Relativamente alla prima metà degli anni Quaranta, in fondo, più che a questa iniziale pratica disegnativa, la Stimmung storico-artistica del cinema di Pasolini, il suo gusto pittorico, affondano le radici nelle lezioni di Roberto Longhi, appassionatamente seguite negli anni universitari. È qui appena il caso di ricordare che la sceneggiatura di Mamma Romaè dedicata proprio a Longhi, a cui Pasolini si dichiara esplicitamente debitore della sua folgorazione figurativa. 
Nella Nota postuma pubblicata nel volume statunitense dei suoi disegni, Pasolini parla di Longhi come Ejzenstejn di Mejerchold, in termini, cioè, di incondizionata venerazione. Lo definisce il suo Nous (Essenza divinizzata del pensiero) e ricorda che, in quegli anni di università, la sua adulazione per Longhi era tale da non poterlo neanche "supplicare". Solo nel 1975 Pasolini avrà l'opportunità di liberarsi di questa venerazione per il maestro, schizzando una ventina di caricature: le uniche fatte ad amici e intellettuali. In esse, l'omaggio di Pasolini non è ne icastico ne iconico, è più semplicemente e affettuosamente ironico. 

Gli autoritratti 
Pier Paolo Pasolini, Due autoritratti

La ventilata carriera di Pasolini/pittore diminuisce progressivamente, fino a interrompersi, negli anni più disperati della guerra, come se la tragedia non lasciasse più spazio al bozzetto campestre o familiare; e si conclude definitivamente con i due Autoritratti degli anni 1946/1947: i primi di una lunga serie che Pasolini completerà (ma come totale sfogo diaristico, al di là di qualunque velleità artistica) nell'arco degli ultimi dieci anni di vita. In realtà, se i due autoritratti "col fiore in bocca" a tempera su faesite (Autoritratto con la vecchia sciarpa, 1946; Autoritratto, 1947) sono opere di elevata dignità artistica, nelle quali Pasolini intensifica al massimo il suo sforzo pittorico, costituiscono anche e soprattutto una testimonianza narcisistica e autolesionistica dell'inconscio proposito del pittore di dare l'addio alle proprie aspirazioni figurative. Non è questa la sede per addentrarci in analisi stilistiche  ne in distraenti forzature di letture interpretative. II compito spetta di diritto agli storici dell'arte. Qui si tratta più semplicemente di rilevare che i due Autoritratti pasoliniani sono una sorta di testamento impietoso, malinconico e ossessivo, tra l'ascetico e il macabro, di un particolare stato emozionale. Lo stesso che, un anno prima, aveva generato questa spassionata confessione, in una lettera scritta a un caro amico bolognese: «(...) Vorrei sputare sul monte Rest, lontanissimo, in fondo al Friuli, sul mare Adriatico invisibile dietro le Basse; e anche sulle facce di questi Casarsesi, di questi italiani, di questi cristiani. Tutto puzza di fucilate e di piedi. Che cosa mi lega a questa terra? Non avere paura, Luciano, che sono abbastanza puzzolente anch'io per essere capace di non sentirmi legato a tutta questa merda. Domani (fra sessanta anni; ci tengo) avremo una buca; non sarebbe una novità se non avessi visto con QUESTI occhi calarci dentro una morta, di cui sapevo che era stata viva; e allora in quel corpo che calava giù, ho misurato tutta questa umanità merdosa; viene qualcuno (la morte) a turarti il naso, e tu non senti più niente. Nel mio paese nasce primavera».
Pur avendo incominciato a partecipare alla vita politica, Pasolini stava vivendo, in questi anni dell'immediato dopoguerra, l'esperienza sessuale di una narcisistica, quanto tragica, percezione della propria differenza dagli altri. La sua condizione di "diverso", la pratica omosessuale, creeranno di lì a poco lo "scandalo di Casarsa", con la traumatica espulsione dal Partito comunista, l'allontanamento dall'insegnamento, la rottura con il padre, la fuga con la madre a Roma, non senza provocare un iniziale raptus suicida. «Un altro al mio posto si ammazzerebbe; disgraziatamente devo vivere per mia madre», scriveva Pasolini a Ferdinando Mautino della federazione comunista di Udine. 
La guerra, l'uccisione del fratello da parte dei partigiani, il suo dichiarato odio per i borghesi, la sua condizione di "diverso", la progressiva presa di distanza nei confronti di quel mondo rurale e schietto di Casarsa, che tanto aveva amato, fanno sì che in questi Autoritratti si respiri la più profonda delle disillusioni e che Pasolini si rispecchi in un ieratico, quanto sprezzante, atteggiamento di distacco dalla realtà: crea di sé un'impassibile, impenetrabile maschera espressionista, al cui volto accentua i lividi tratti fisiognomici della morte. Il richiamo è sì a Van Gogh, ma anche a Ensor. Di qui il senso di emarginazione, di esclusione, di inquietante mutismo che trasuda da questi Autoritratti (in particolare, in quello del 1947): ma da quel silenzio, tuttavia, come in una sorta di contrappasso, si grida di disperazione come nei quadri di Munch. 
Come non notare, a questo punto, che - nei momenti di massimo isolamento, nei molteplici eventi traumatici della propria esistenza, nelle fasi cruciali delle sue battaglie più difficili contro un mondo che ostinatamente si vantava di non parlargli, di non sentirlo, di non vederlo - Pasolini si è sfogato e annullato nell'ossessivo soliloquio di una serie di autoritratti, assai vicini a quei primi della seconda metà degli anni Quaranta? Come non avvertire nella serie degli autoritratti degli ultimissimi anni, la sensazione che Pasolini vi innestasse la propria disperazione, la paura del precipizio, la sensazione dell'abisso? 
I due Autoritratti del 1946/1947 sono legati, in effetti, da un doppio filo rosso in soluzione di continuità (sia pure con un salto di venti-trenta anni) alle febbrili introspezioni degli ultimi Autoritratti a pastello colorato. E questi ultimi, oltre a riflettere la struggente percezione pasoliniana della propria totale differenza dagli altri, si dissolvono nell'ultimo disegno di Pasolini: molte bocche chiuse, stilizzate con mano incerta e sottese da una massima, scritta a caratteri microscopici, “Il mondo non mi vuole / più e non Io sa”. 
Dopo la fuga da Casarsa per Roma, Pasolini - distruggendo ogni affetto e spegnendo per sempre l'epos friulano - non disegnerà più crepuscolari squarci di vita quotidiana, propri di un mondo e di una civiltà inesorabilmente cancellati dal proprio sguardo figurativo Soltanto venti anni più tardi, dopo essersi "selvaggiamente" (l'avverbio è dello stesso Pasolini) dedicato al proprio lavoro poetico-letterario, dopo avere affrontato l'intenso banco di prova della pratica di sceneggiatore, nel momento in cui affronta la pratica della regia con Accattone ricupera e introduce nel suo film quella autenticità, propria di un poetico cinéma-verité, così trasparente fin nella sua giovanile attività figurativa. Lo schema delle scene, delle inquadrature, dei "tagli visivi" che compongono i film di Pasolini è come riempito di sostanza "veramente viva", di elementi poetici, di poesia: di quegli ingredienti, insomma, che stanno alla base anche dei suoi primi schizzi. 
Identica è, in sostanza, la visione del mondo: nel suo fondo, di tipo epico-religioso. Il mondo contadino dei disegni cede il passo a quello - per Pasolini altrettanto "ieratico" - del sottoproletariato urbano. La Stimmung dei disegni e delle inquadrature è la stessa.
Gli elementi epico-religiosi (già alla base dell'attività grafica), nella raffigurazione di personaggi al di fuori di una coscienza storica come di una coscienza borghese (quale traspare in tutti i film di Pasolini), giocano un ruolo determinante. Il tratto essenziale del disegno, quell'intima caratteristica epica di guardare propria dei bozzetti giovanili, si tradurranno in stile nei film di Pasolini: nel suo modo di girare, di vedere il mondo dei poveri, di "sentire" il sottoproletariato nel corso dei secoli; nella fissità iconica delle sue inquadrature; nella frontalità delle immagini e dei piani; nell'austerità solenne delle sue panoramiche. 
Pier Paolo Pasolini, Ninetto e Laura 
Disegna con la macchina da presa Pasolini riprende a disegnare con la mediazione dell'occhio della macchina da presa, in specifiche visioni luministiche di grande forbitezza ed eleganza; l'inquadratura origina il quadro, l'affresco, il bozzetto, il disegno o crea, come nell'immagine di Argan, «un'evocazione magica nella sfera di cristallo di un indovino». 
«Il cinema», scrive Argan, «ha affascinato Pasolini per la sua straordinaria capacità di produrre fiumi di immagini estremamente nitide e particolareggiate pur nel tempo minimo della percezione (...). Gli piaceva cesellare l'immagine per introdurre nella visione un ralenti immaginario pure nel brevissimo tempo reale della percezione: e per questo aveva bisogno dell'esperienza figurativa che i suoi disegni, pure nella loro qualità non eccelsa, documentano (...). Certamente i disegni di Pasolini rimangono un momento artigianale, ma non più rispetto a un opposto lavoro intellettuale, bensì rispetto a un immane lavoro industriale di progettazione, elaborazione e produzione di immagini(...). La relativa convenzionalità dei disegni si spiega col doveroso rispetto a un'arte altrui, con le sue regole che il dilettante, per quanto geniale, non si sente autorizzato a cambiare. Più che attraverso un paragone relativamente facile con la narrativa, i suoi disegni si spiegano in rapporto alle contraddizioni interne della regia. Sapeva che il cinema è una forma di consumismo tanto più demoniaca in quanto riempie lo spazio del mondo d'immagini piene di attrattiva, ma senza durata. Di ciò consapevole, ha voluto immagini splendenti ma cave, come le donne delle tentazioni di Sant'Antonio, che sono soltanto parvenze, abiti regali sul vuoto totale del corpo e dell'anima. Ha quindi sentito il bisogno di dar loro un senso emblematico, che contrastava moralisticamente con lo splendore illusorio. Lo straordinario viaggio di Pasolini au bout dell'immaginario cinematografico era moralmente lecito solo ancorandosi segretamente alla radice sana dell'arte ed ecco la ragione di una nostalgia dell'artigianato: la grafica e la pittura erano un po' come un vaso di gerani sul davanzale di un grattacielo, avevano un senso di talismano.». 
Un aspetto importante - ed al quale non si è dato alcun peso, tanto meno nella prospettiva della creatività cinematografica di Pasolini - una caratteristica propria specialmente della pratica pittorica pasoliniana degli anni 1946-1947, ma assolutamente specifica dei "cicli grafico-pittorici" degli ultimi dieci anni, è quello della tecnica compositiva: non più a china o a penna o a matita, secondo le regole della tradizione, ma (è proprio il caso di dire) a pasticci di invenzioni materiche e di strani interventi manuali. 
Intanto, quando dipingeva, Pasolini lo faceva su grezza tela da sacco, esibendosi (anche quando realizzerà alla maniera di Chagall i ritratti di Laura Betti o alla maniera di Manzù i numerosi profili della Callas) in vere e proprie performances. Pur non creando alcunché di informale, spesso Pasolini era solito disegnare e dipingere in contemporanea, versando la vernice liquida di un barattolo direttamente sulla carta a realizzare i contorni e i pieni del soggetto raffigurato. Altre volte intingeva la punta del dito nel colore e lo premeva direttamente sulla carta: un'evidente citazione di questo modo di procedere si vede in una sequenza del film Teorema. Altre, ancora, spremeva direttamente il colore sulla tela grezza piena di buchi, dopo averla prima ricoperta con colla di poco valore e poi di gesso, stesovi sbrigativamente.
Pasolini stesso giustifica questo suo modo di comporre, scrivendo: «Riesco a creare le forme che voglio, con i contorni che voglio soltanto se il materiale è difficile, impossibile e, soprattutto, in qualche modo, "prezioso"». Nel suo modo di dipingere la religione delle cose e dei personaggi, nella sua maniera di fare pittura "dialettale" trasformandola in "linguaggio per la poesia" (le definizioni sono di Pasolini), specialmente nelle sue ultime fatiche figurative, Pasolini ha sempre ed esclusivamente avuto bisogno di un materiale "espressionistico". 
Ce ne dà una conferma anche Zigaina, quando scrive: «Pasolini ha sempre dipinto da poeta. Esemplare è, in questo senso, la sua tecnica espressiva. Ad esempio: raramente l'ho visto adoperare i colori tradizionali a olio o le tempere. Fin da quando l'ho conosciuto, nell'immediato dopoguerra, ha sempre sperimentato le più strane tecniche pittoriche, adoperando e mescolando tra loro i più strani materiali. Negli ultimi tempi, durante i suoi soggiorni a Cervignano o a Grado, adoperava come colori i mezzi più impensabili, scelti solo apparentemente in modo casuale. Per i verdi adoperava un certo tipo di erba grassa o i chicchi dell'uva bianca. Per i rosa quelli che in laguna chiamano i "fiuri de tapo". E per ottenere certi rossi usava l'aceto di vino mescolato alla calce. Durante la fase di essiccazione di queste materie miste affioravano le trasparenze più strane». 
Le intuizioni mistico-naturalistiche di quei rituali poetici, di quelle metafore espressive proprie del modo di disegnare e di dipingere di Pasolini - una «sorta di gioco manuale, magico, fantasioso», come scrive De Micheli -, sono entrate tutte a far parte di diritto dello specificissimo modo di Pasolini di affrontare il problema dei costumi dei propri film. Costumi tutti di invenzione, che non appartengono a nessuna epoca, le cui fantasie materiche concorrono a creare, a fare - dei personaggi che le indossano - veri e propri miti: ad un tempo archetipi, metafore e significazioni antropologiche. 
Pasolini, in tutti i suoi film, in perfetta sintonia con la vulcanica creatività di due tra i maggiori scenografi e costumisti del cinema contemporaneo (Danilo Donati e Piero Tosi), ha preteso eccezionali doti di manifattore e artigiano, nella costruzione e ideazione dei costumi. Tutto doveva essere diverso dalla tradizione: diversi i materiali, diverse le tecniche costruttive. E tanto Donati quanto Tosi hanno risposto con risultati eccezionali alle aspettative del regista. Danilo Donati, adoperando materiali poveri se non addirittura "naturali", con una straordinaria abilità di intervento manuale immediato, è riuscito a inglobare e restituire l'attore in una macchina visiva estremamente funzionale all'immagine cinematografica pasoliniana. Ha caratterizzato fino all'enfatizzazione il comportamento dei protagonisti/archetipi del mondo interiore del regista. 
La perfetta compenetrazione, l'assoluta simbiosi tra Pasolini e Donati per una rivisitazione e deformazione del costume di fantasia in sintesi di estrema povertà, a partire da La ricotta e ancor più da Il Vangelo secondo Matteo, hanno fatto scuola, determinando poi lo stile non solo di tutti i successivi film di Pasolini, ma anche quello di innumerevoli filmacci di altri registi che hanno copiato assai male e a man bassa proprio dal binomio Pasolini-Donati. 
Piero Tosi, come Donati, ha creato per Pasolini autentici capolavori di costumistica manuale, materica. Per Medea, ad esempio, ha dovuto innanzitutto inventare le "materie" dei costumi,» delle stoffe, trattandosi di un film ambientato in un mondo perduto e senza tempo. Allo stesso modo di come Pasolini si inventava le materie per i colori della sua pittura, creandoli dai più strani procedimenti manuali, Tosi ha realizzato i costumi di Medea con l'uso di materie poverissime, come il cencio della nonna, o i riscaldi, o la garza più o meno pesante, lavorata alla maniera degli indiani. Queste stoffe povere, secondo quanto ci ha raccontato lo stesso Tosi, venivano infilzate a piegoline e poi cucite a intervalli irregolari. Si creavano così delle strisce, degli stretti budelli di stoffa, che venivano immersi in una soluzione di amido e fissatori. Il tutto, in seguito, veniva tinto e messo in forni a essiccare. Quindi, da questi materiali fissati e colorati con le tinte delle "terre" si toglievano le cuciture, ottenendo così un risultato di coloritura non uniforme. Su questi materiali "diversi" si agiva poi manualmente, cucendovi sopra pezzi di riscaldo di identico o di altro colore, lamine dorate o argentate o bronzee, in modo da ottenere un tessuto strano, magico, misterioso, non rapportabile a niente di conosciuto. 
In altri casi, su quelle strisce di stoffa infilzata si gettava del colore; oppure le si dipingeva in maniera informe. Una volta sfilzate, da queste stoffe venivano fuori effetti grafici, come quelli prodotti dai bambini quando ritagliano con le forbici la carta ammazzettata. 
Sui costumi, infine, secondo una tecnica in uso presso i bizantini, si ricamava - in totale invenzione - non con il filo, ma con strisce metalliche. Anche le pietre cucite sui costumi erano grezze, non lavorate, a pezzi: soprattutto pezzi di lapislazzuli. 
Tutto insomma era creato di sana pianta. Le corazze, ad esempio, erano fatte tutte con il cuoio tagliato e intrecciato al rame. Altre stoffe erano disegnate con le forme di ferri roventi, in modo da trarne effetti xilografici. Venivano decorati e arricchiti ulteriormente anche quei mantelli dei pastori turchi, fatti arrivare in gran quantità, che già possedevano disegni tanto belli, alla Campigli. Persino i costumi dei cavalli erano realizzati manualmente. E i guerrieri, adorni di ori e di celate in una contaminazione stilistica tra il Medioevo e l'Africa, erano vestiti come i cavalli, a formare un corpo unico. 
È di questi materiali di artigianato puro, in conclusione, che si veste Medea: un film senza tempo ispirato unicamente alle suggestioni e ai suggerimenti del paesaggio nel quale è stato ambientato. «È stata un'esperienza esaltante, irripetibile», così ha commentato Piero Tosi, «nella quale Pasolini ed io ci siamo buttati come due artigiani provetti, capaci di creare tutto ex-novo(...). L'unico mio cruccio era il fatto che Pier Paolo non voleva assolutamente che curassi il volto dei suoi personaggi. Il trucco per Pasolini non doveva esistere. Sceglieva delle facce e dovevano rimanere com'erano, senza neanche un minimo di modifica». 
Oltre ai personaggi presi dalla strada, amici intimi e intellettuali ritratti nei propri film nelle loro caratteristiche fisiognomiche nude e crude senza alcuna alterazione del trucco, Pasolini ha voluto protagoniste di alcuni suoi capolavori anche attrici e personalità del mondo dello spettacolo, notoriamente circondate dalla mitica aureola del divismo, sia pure "all'italiana". Ma né la Magnani, né la Mangano, né la Callas - per fare qualche nome - sono state "graziate" dallo specifico impegno registico di Pasolini, dal cui copione non solo erano escluse fondamentali cognizioni tecniche, ma erano addirittura bandite le parole "attore" e "attrice". Gli aneddoti in proposito sono numerosi e non è dunque il caso di insistervi. 

Il caso di Medea 


Pier Paolo Pasolini, Ritratto di Maria Callas
Nel caso di Medea, che in questi appunti è assolutamente pertinente, Pasolini si è, in sostanza, "servito" di Maria Callas, fidando nella sua totale disponibilità e usando la sua personalità, il suo volto, i suoi gesti come "materiali"; inseguendo principalmente la forza delle immagini della sua tipologia e dei suoi tratti fisiognomici e trascurando volutamente le sue grandi doti drammaturgiche. «Mi ricordo che, fin dall'inizio del film», ci ha confermato Piero Tosi, «Maria traumatizzata dal fatto di essere già avanti nel tempo e di non possedere nessuna pratica cinematografica, si raccomandava a Pier Paolo perché non le facesse primi piani. Ma con molta gentilezza, perché era disposta a tutto. Sostenendo di essere abituata a fare il suo lavoro di teatro a una certa distanza dal pubblico, pregava Pier Paolo di inquadrarla a distanza. Maria aveva il complesso del proprio naso, ma Pier Paolo le diceva che aveva un naso stupendo, come quello dei più bei vasi greci. E così la inquadrava in maniera tale che il naso le venisse ancora più lungo». 
II volto, la presenza magnetica dello sguardo della Callas, il suo strepitoso istinto scenico, la tragicità della sua liturgia gestuale: questi erano i veri poli dell'interesse, dell'attrazione di Pasolini per il grande soprano. Il fatto stesso che la Callas avesse interpretato il personaggio di Medea alla Scala quindici anni prima era, tutto sommato, poco influente. Per i motivi sopracitati, Pasolini studiò freneticamente il volto della Callas (alterandone proprio i dati somatici, come nel film) in una serie di disegni, di profili, violentemente schizzati e contornati di fondi di caffè, macchie d'olio, aceto, umori di uva, petali di fiori. 
L'atteggiamento pasoliniano nei confronti di questa copiosa serie di ritratti, a loro volta in serie di sei-otto per ciascun disegno (alla maniera di certi studi rinascimentali), pare improntato a una totale libertà espressiva, nella quale l'occhio del ritrattista gioca con una fantasiosa manualità. In questo caso, la spontaneità dei disegni è legata all'immissione di elementi rituali che sembrano dolcemente deturparli di una vena a un tempo mitica e funerea, quale è appunto quella che si coglie in tanti profili di vasi greci. Certamente, i profili della Callas fissati da Pasolini sono veri e propri studi di inquadrature - per primi o primissimi piani - della futura protagonista del film Medea. I ritratti della Callas sono funzionali al film, sono materiali di approccio al personaggio protagonista. Manca, tuttavia, in questi disegni, quello scarto emotivo che contraddistingue, ad esempio, la forzatura caricaturale dei disegni preparatori di Fellini rispetto alla realizzazione filmica del personaggio-tipo. 
È appena il caso di ricordare che, negli schizzi di Fellini, i personaggi respirano sempre dal mondo dei fumetti, sono clowns, marionette in caricatura; mentre nei film, passati al vaglio della lunga mediazione del set, diventano tipi perfettamente caratterizzati nei loro umori comici, grotteschi, tragici. Nelle silhouettes pasoliniane della Callas, il personaggio - pur nella diversa sostanza grafica rispetto alla carnalità dell'immagine cinematografica - possiede già quella identica presenza, quell'incombente peso ieratico che assumerà nel film. Al punto che (se volessimo tentare un sia pure forzato paragone), saremmo più portati a ritenere che il procedimento di avvicinamento, mediante disegno, alla protagonista di Medeaè per molti versi identico a quello che conduce Ejzenstejn all'individuazione, attraverso la pratica del disegno di preparazione, del personaggio protagonista di Ivan il Terribile. In Pasolini, l'occhio del disegnatore coincide con l'occhio del regista e, in un certo senso, sembra ignorare eventuali sollecitazioni intermedie, come quelle della fase del set. 
Ancora diverse sono le considerazioni che si possono fare a proposito delle strisce colorate del fumetto pasoliniano per la preparazione dell'episodio La terra vista dalla luna, inserito nel film Le Streghe: l'unico tentativo del regista di scrivere graficamente le inquadrature, le situazioni, le battute di un brano cinematografico; l'unico esempio, in Pasolini, di una intera sceneggiatura pensata in termini figurativi. In questo caso l'approccio è assolutamente - in modo inequivocabile - caricaturale, come si addice a un fumetto. E in effetti il grottesco episodio filmico è realizzato alla maniera di un fumetto. Per quanto apparentemente così distanti, dunque, il diaframma tra le esasperazioni grottesche delle immagini disegnate e la inevitabile plasticità delle grottesche inquadrature filmiche non è poi così spesso come si potrebbe desumere da una prima, approssimativa comparazione. Ancora una volta c'è perfetta coincidenza tra l'occhio del fumettista e quello dell'autore cinematografico. 
Già nel fumetto, conferma De Micheli, «Pasolini vede i suoi personaggi, li segue nei gesti, nei dialoghi, nelle scene. Il suo segno è rapido, vivace e rappresentativo. Patetica e grottesca vi emerge la maschera di Totò (...). Questo gruppo di fogli illumina come meglio  non sarebbe possibile il suo meccanismo creativo, che sa tradurre in una successione mobilissima di immagini l'essenza poetica di un racconto, la sostanza di una parabola letteraria dove i nodi dell'esistenza hanno un riscontro così tragico e dolce». 
La stessa dolce tragicità dell' "Autoritratto cinematografico" di Pasolini che, nei panni di Giotto, nelle ultime inquadrature del suo Decameròn, di fronte all'affresco di una sua Apocalisse, commenta scuotendo il capo: «Perché realizzare un'opera, quando è così bello sognarla soltanto?».

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Wagenbach: “L’Italia corsara insegna l’umiltà alla Germania”

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LA SAGGISTICA - LIBRI
Klaus Wagenbach

Wagenbach: “L’Italia corsara insegna
l’umiltà alla Germania”
Klaus Wagenbach
Un catalogo da Pasolini a Bobbio alla Murgia: tra odi e amori
l’editore berlinese ha fatto scoprire la nostra letteratura ai tedeschi 
Tonia Mastrobuoni

Sepolti gli economisti e i colleghi «idioti» che hanno sempre deriso le sue scelte, Klaus Wagenbach si avvia a festeggiare l’anno prossimo il cinquantenario della sua leggendaria casa editrice, sopravvissuta egregiamente a mille intemperie, finanche alle fusioni, incorporazioni e ai fallimenti dei rivali. Tanto è vero che tre anni fa l’amica Inge Feltrinelli lo ha definito ironicamente «un sopravvissuto».
Grande studioso di Kafka, raffinato scopritore di talenti, figura di riferimento della sinistra extraparlamentare degli Anni '60 e '70, Wagenbach è anche l’«editore vivente più pregiudicato della Germania», ride con voce cavernosa. Frequenti, negli anni difficili del terrorismo, in cui era uno dei pochi a pubblicare gli scritti della Raf, le perquisizioni e i processi. Classe 1930, il berlinese si autodefinisce da sempre «anarchico, edonista e cultore della Storia». Caratteristiche «essenziali, per un curatore tedesco di libri. Certo, se fossi italiano, preferirei un po’ più di ordine».
Esce in questi giorni una bella raccolta di scritti e memorie, La libertà dell’editore in cui Wagenbach rievoca l’inizio della sua passione per l’Italia, quando nel 1951 arrivò da studente di Storia dell’Arte in Alto Adige, «una regione istituita per assuefare un po’ alla volta i barbari nordici ai costumi italiani», girando in bicicletta e dormendo sul fieno. Da allora ha sviluppato una passione talmente grande per il nostro Paese da pubblicare in patria alcuni dei maggiori intellettuali degli ultimi decenni, da Pasolini a Bobbio, da Celati a Michela Murgia. Con Pasolini, in particolare, «fu amore a prima vista. Appena lessi gli Scritti corsari chiamai la Garzanti. Mi dissero che ero il sesto editore tedesco ad aver chiesto l’opzione sui diritti. Morale della favola: quando gli altri lessero quegli articoli, antiborghesi, anticattolici, anticomunisti, si ritirarono uno ad uno. E pubblicai quella meravigliosa testa pazza di Pasolini»
La prima edizione tedesca fu un successo clamoroso, ma «ci lavorai un anno intero, eliminando ridondanze e ripetizioni, adattandolo con una ricchissima postfazione ai lettori tedeschi, spiegando per esempio chi era Emma Bonino, all’epoca una semplice militante radicale... Naturalmente gli intellettuali tedeschi, che si sentivano gli unici depositari del pensiero dei loro connazionali Marx ed Engels, si offesero moltissimo. Improvvisamente c’era un oscuro regista e scrittore italiano che spiegava loro in modo straordinario il tramonto della cultura contadina. Erano scandalizzati e io pubblicai gli Scritti corsari con tutte quelle note proprio per punire la loro tracotanza». 
Durante il suo girovagare degli inizi, a Wagenbach capitò di dormire a casa di una fornaia di Cortona che aveva appese in casa due gigantografie: una di Mussolini, l’altra di Stalin. E quando le vide lì, spudoratamente una accanto all’altra, il giovane studente di arte capì una cosa essenziale: «L’italiano è politicamente versatile». Wagenbach è uno dei rari tedeschi che non amano solo il sole, il vino, la cucina, l’arte e la Toscana (dove ha una casa, peraltro), ma anche la politica italiana. «Quando vidi quei due appesi al muro, e il figlio della fornaia, raggiante, che li chiamava i suoi «grandi amici», mi venne in mente un episodio narrato da Goethe nel Viaggio in Italia, quando era più o meno nella stessa zona. Mentre andava da Arezzo ad Assisi, un bolognese che era in carrozza con lui e che Goethe considerava un “vero rappresentante del popolo italiano”, disse che “non bisogna mai attaccare la propria testa ad un’idea sola; la testa ha bisogno di confusione”. E questa è una delle cose più affascinanti dell’Italia: la confusione». 
Una confusione che regna sovrana anche ora. «Vede, tempo fa un mio amico toscano comunista ha visto che leggevo un libro di Beppe Grillo e mi ha detto “leggi quelle schifezze?”. Non pubblicherei mai un libro di Grillo, non mi interessa, ma è sbagliato trattarlo con disprezzo, o, come fanno in Germania, come un “clown”. Mi interessano molto, invece, i desideri del suo elettorato. Non sono mica degli idioti!».
Wagenbach si è anche dilettato con pubblicazioni un po’ atipiche. «Una volta mi sono messo a pensare: a un tedesco in fila al Brennero, cosa gli dai da leggere per due ore? E mi venne un’idea. Un libro che spiegasse le buone maniere in Italia. Come il fatto che quando entri in un ristorante, non ti siedi al tavolo ma aspetti che sia il cameriere a indicartelo». In quel libro famoso, Nach Italien, («Verso l’Italia») c’è anche uno strepitoso vademecum del gesticolare italiano. «Se prendi due italiani sulle sponde opposte di una strada trafficatissima, osserverai che sanno perfettamente comunicare tra di loro, a gesti. Cose come «ciao come stai, hai 5 minuti per un caffè?» o «quella trattoria laggiù è buonissima» o «ci sentiamo dopo al telefono, ti chiamo io». E io ho cercato di insegnarlo ai tedeschi. Noi cerchiamo costantemente filoni d’oro, nella confusione italiana. E a volte li troviamo». 
Poi c’è il discorso del suo rapporto con i circoli degli intellettuali più famosi. Wagenbach è noto per essere stato vicino al Gruppo 63 italiano, ma anche per essersi letteralmente imbucato nel Gruppe 47 tedesco dal quale scaturirono alcuni dei maggiori talenti del dopoguerra come Alfred Andersch, Ingeborg Bachmann, Paul Celan o Günter Grass. Tra l’altro, sull’autore del Tamburo di latta Wagenbach racconta nelle memorie che negli Anni '60 aveva raccolto molte chiacchierate con lui per una monografia che non scrisse mai. E in quegli appunti c’era l’ammissione chiara che Grass fosse stato nei carristi, insomma nella Wehrmacht. «E di certo - scrive - non si trattò di una dichiarazione che Grass fece soltanto privatamente a me (le interviste erano comunque destinate alla pubblicazione) (…) e quei sicofanti di oggi, evidentemente, non sono andati a verificare».
Tornando alla Gruppe 47, il primo dettaglio interessante è come fece a imbucarsi in un circolo che era notoriamente chiuso e funzionava rigorosamente a inviti. «Come ho fatto a imbucarmi? Semplice: un’arte sublime imparata in Italia! Poi, quando andai per la prima volta a una riunione del Gruppo 63 italiano, raccontai loro come funzionava il Gruppe 47. Dissi che stavano tutti zitti e che c’era uno con un campanaccio per le mucche che apriva la lettura. E dopo, l’autore del libro o della poesia doveva stare in silenzio ad ascoltare tutte le critiche. Gli italiani risero tutti a crepapelle e dissero “ma che idioti questi tedeschi, tutti zitti mentre li criticano!” Il fatto è che in Italia ognuno pretende di dire la propria posizione. Il problema è che le posizioni sono tante e il dibattito non nasce mai. Dopo che ognuno ha detto la sua, si va tutti a mangiare. Certo, per chi ascolta è molto interessante e democratico. Ma il problema è che sono pochi quelli che ascoltano».

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Pasolini, la Sicilia e i sud del mondo - Cineteca Nazionale, programmazione al cinema Trevi di Roma

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LE NOTIZIE
Siracusa, Santuario Madonna delle Lacrime

Pasolini, la Sicilia e i sud del mondo
Cineteca Nazionale  - Programmazione al cinema Trevi
30 maggio 2013

"Reggio, Catania, Siracusa. Non c’è dubbio, non c'è il minimo dubbio
che vorrei vivere qui: vivere e morirci, non di pace,
come con Lawrence a Ravello, ma di gioia" 
(PPP)

«Avevo sempre pensato e detto che la città dove preferisco vivere è Roma, seguita da Ferrara e Livorno. Ma non avevo visto ancora, e conosciuto bene, Reggio, Catania, Siracusa. Non c'è dubbio, non c'è il minimo dubbio che vorrei vivere qui: vivere e morirci, non di pace, come con Lawrence a Ravello, ma di gioia»: le parole di Pier Paolo Pasolini non sorprendono, alla luce della sua passione per il sud, per i sud del mondo.
Massimiliano Perrotta, drammaturgo e regista siciliano, nel suo documentario ripercorre oggi il viaggio di Pasolini per il reportage giornalistico La lunga strada di sabbia del 1959, raccontando un'isola sospesa tra mito e trasformazione. Sicilia di sabbia, infatti, racconta attraverso alcuni esempi emblematici in che modo la modernità ha modificato l'isola e quanto non è riuscita a farlo. Un balzo continuo tra passato e presente, in cui Roberto Pensa compie il viaggio odierno, mentre Stefano Benassi evoca visivamente la figura di Pasolini.
La giornata si apre con alcuni lavori pasoliniani dedicati ai sud del mondo, prosegue con Nerolio di Aurelio Grimaldi (altro film che indaga i rapporti tra Pasolini e la Sicilia) e si conclude con Sicilia di sabbia di Perrotta.

Cinema Trevi, vicolo del Puttarello 25 - Roma 
30 maggio 2013, ore 17.00 
Sopralluoghi in Palestina (1964)

Regia: Pier Paolo Pasolini; commento: P. P. Pasolini; interventi: P P. Pasolini e don Andrea Carraro; musica a cura di P.P. Pasolini; origine: Italia; produzione Arco Film; durata: 54'
«Nel periodo che va dal 27 giugno all'11 luglio del 1963, in una pausa di lavorazione del film-inchiesta Comizi d'amore, Pasolini visita alcuni Luoghi Santi nelle terre di Galilea, Giordania e Siria: il lago di Tiberiade, il monte Tabor, Nazareth, Cafarnao, Baram, Gerusalemme, il Giordano, Bersabea, Betlemme, Damasco. È in compagnia di don Andrea Carraro e del dottor Lucio Settimio Caruso della Pro Civitate Christiana di Assisi, di Walter Cantatore dell'Arco film (la società di produzione di Alfredo Bini) e di un operatore alla macchina da presa, Aldo Pennelli. Alle riprese dei paesaggi e degli abitanti si alternano quelle in cui Pasolini espone in presa diretta le sue riflessioni, i suoi appunti di viaggio, oppure dialoga ora con don Andrea ora con i membri di un kibbutz. Da questo materiale di base prende forma Sopralluoghi in Palestina, dopo un montaggio frettoloso e un commento in over-sound di un Pasolini che parla a braccio. […] L'intento più immediato, più concreto del documentario è quello di verificare l'adattabilità di quei territori visitati alle esigenze di un film da farsi, Il Vangelo secondo Matteo appunto. Fin da prima di recarsi in Terrasanta, però, Pasolini è convinto dell'opportunità di ricreare l'ambientazione de Il Vangelo non nei suoi luoghi originari, bensì nell'Italia meridionale, "per analogia". "L'avevo deciso - afferma il poeta-regista - già prima di andare in Palestina, cosa che ho fatto solo per mettermi in pace la coscienza"» (Loris Lepri).

30 maggio 2013, a seguire
La terra vista dalla luna (episodio de Le streghe, 1966)

Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto e sceneggiatura: P.P. Pasolini; fotografia Giuseppe Rotunno; scenografia Mario Garbuglia, Piero Poletto; costumi Piero Tosi; musica: Ennio Morricone; montaggio Nino Baragli; sculture Pino Zac; interpreti: Totò, Ninetto Davoli, Silvana Mangano, Mario Cipriani, Laura Betti, Luigi Leoni; origine: Italia/Francia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, Les Productions Artistes Associés; durata: 31'
«Nel film sono narrate le avventure donchisciottesche di un padre e un figlio (Ciancicato Miao e Baciù) che, dopo aver pianto la morte della moglie-madre Crisantema, deceduta per avere ingerito funghi avvelenati, partono alla ricerca di una Donna ideale, che possa diventare l'anima femminile della loro baracca, sperduta in una radura piena di altre catapecchie. I due incontrano dapprima una vedova isterica che li prende a ombrellate, poi una prostituta; a un certo punto pare che, infine, dopo tanto girovagare, abbiano trovato la donna perfetta, ma si accorgono che si tratta solo di un manichino. Disperati, padre e figlio continuano un viaggio senza più alcun senso, finché incontrano una donna bellissima (Assurdina Caì, nel film interpretata da Silvana Mangano) che appare ai due come una vera e propria dea. La donna non risponde ad alcuna domanda e Ciancicato pensa che sia sordomuta» (www.pasolini.net). «La morale del film, che l'autore ci dice essere tratta dalla filosofia indiana, non è, come parte delle critica militante fu portata a scrivere, "rinunciataria o nichilistica", poiché non c'è nessun accenno di pessimistico consenso con quella affermazione: semmai, con fin troppa ironia, vi si ritrova un malcelato invito a non accettare la logica imperante, ad essere lunari quel tanto che basta per prendere le distanze dai tentacoli mostruosi del nonsenso sociale e dei suoi schematismi da marionette. La forma fiabesca stigmatizza dunque la falsità della vita, una vita perduta, sepolta in un mare di grotteschi comportamenti e necessità secondarie» (Murri).

30 maggio 2013, a seguire
Le mure di Sana'a di Pier Paolo Pasolini (1970)

Regia: Pier Paolo Pasolini; commento: P.P. Pasolini; fotografia Tonino Delli Colli; montaggio Tatiana Casini Morigi; origine: Italia; produzione: Rosima Amstalt; durata 13'
«Era l'ultima domenica che passavamo a Sana'a, capitale dello Yemen del Nord. Avevo un po' di pellicola avanzata dalle riprese del film [Il Decameron, n.d.r.]. Teoricamente non avrei dovuto possedere l'energia per mettermi a fare anche questo documentario; e neanche la forza fisica, che è il requisito minimo. Invece energia e forza fisica mi son bastate, o perlomeno le ho fatte bastare. Ci tenevo troppo a girare questo documento. Si tratterà forse di una deformazione professionale, ma i problemi di Sana'a li sentivo come problemi miei. La deturpazione che come una lebbra la sta invadendo, mi feriva come un dolore, una rabbia, un senso di impotenza e nel tempo stesso un febbrile desiderio di far qualcosa, da cui sono stato perentoriamente costretto a filmare [...] È uno dei miei sogni occuparmi di salvare Sana'a ed altre città, i loro centri storici: per questo sogno mi batterò, cercherò che intervenga l'Unesco» (Pasolini).

30 maggio 2013, ore 19.00
Nerolio - Sputerò su mio padre (1996)

Regia: Aurelio Grimaldi; soggetto e sceneggiatura: A. Grimaldi; fotografia: Maurizio Calvesi; musica: Maria Soldatini; montaggio: Mauro Bonanni; interpreti: Marco Cavicchioli, Vincenzo Crivello, Piera Degli Esposti, Lucia Sardo, Franco Mirabella, Salvatore Lazzaro; origine: Italia; produzione: Arancia Film; durata: 90'
«Diviso in 3 capitoli, è il ritratto di Pier Paolo Pasolini che, però, non è mai nominato e al quale, senza far danni, presta voce e corpo M. Cavicchioli. Con un titolo che è parafrasi di Petrolio, è un film a tesi: partendo dalla premessa che l'omosessualità fu un elemento centrale nella vita e nell'opera di P.P.P., intende dimostrare che la sua unicità e grandezza di artista deriva dalla capacità di rappresentare, dopo averli vissuti, "gli abissi del genere umano" […]. È un film povero di mezzi […] con qualche momento di sincerità espressiva nella parte centrale, specialmente quando descrive i rapporti tra l'innominato poeta e sua madre (l'ottima P. Degli Esposti)» (Morandini).

30 maggio 2013, ore 20.45
Incontro moderato da Italo Moscati con Aurelio Grimaldi, Massimiliano Perrotta, Bruno Roberti. Saranno presenti Stefano Benassi, Francesco Paolo Montini, Roberto Pensa

30 maggio 2013, a seguire
Sicilia di sabbia (2011)

Regia: Massimiliano Perrotta; soggetto e sceneggiatura: M. Perrotta; con Roberto Pensa, Stefano Benassi, Manlio Sgalambro, Domenico Trischitta; fotografia: Irma Vecchio; musica Emanuele Senzacqua; montaggio Antonio Meucci; origine: Italia; produzione Francesco Paolo Montini per Movie Factory, in collaborazione con Film Commission Regione Siciliana/Sicilia Film Commission; durata: 36'
La Sicilia tra mito e trasformazione. Sono cinque le località protagoniste di questo "racconto": Taormina, con il suo splendore incontaminabile; Catania e la zona incompiuta del corso Sicilia; Priolo Gargallo e il polo petrolchimico che la sovrasta; Siracusa, con il Santuario della Madonna delle Lacrime; e il piccolo paradiso terrestre di Portopalo di Capo Passero. Un balzo continuo tra passato e presente, in cui due personaggi si alternano: Roberto Pensa, nel ruolo di colui che si trova a compiere il viaggio oggi, mentre Stefano Benassi evoca visivamente la figura di Pier Paolo Pasolini. Tra le numerose testimonianze spiccano quelle del filosofo Manlio Sgalambro e dello scrittore Domenico Trischitta.
Massimiliano Perrotta in precedenza aveva realizzato Expo (2001), Bonaviri ritratto (2007) e Mineo (2007). Ha scritto e diretto gli spettacoli Gli specchi (2006), Hammamet (2008), Filosofi da bar (2010), La bussola (2012). 
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Barile, il 18 maggio premio letterario "Le cantine di Pasolini"

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"Pagine corsare"
LE NOTIZIE
Il Parco Urbano delle Cantine di Barile

Barile, il 18 maggio premio letterario
'Le cantine di Pasolini'

Si è svolta il 18 maggio prossimo la cerimonia di premiazione delle opere vincitrici della IV edizione del Premio Letterario “Le cantine di Pasolini”. Scenario della manifestazione di quest’anno, a Barile, ‘La Locanda del Palazzo’, proprio in quel recuperato Parco urbano delle Cantine dove Pasolini girò, nella primavera del 1964, alcune scene de “Il Vangelo secondo Matteo”.
L’evento, con inizio previsto per le 17.30, è stato come sempre organizzato dall’Associazione Culturale Sisma, in collaborazione col Centro Studi Pasolini di Casarsa Della Delizia e l’Associazione Culturale Pier Paolo Pasolini di Matera.
Alla Quarta edizione del Premio, articolato quest’anno in due sezioni dedicate ai generi letterari della “Poesia” e del “Racconto”, hanno partecipato, oltre ad nutrito numero di scrittori lucani, autori provenienti da molti centri d’Italia e dall’estero. Sessantotto in totale i contributi, suddivisi in 23 testi nella sezione “Racconti” e 45 nella sezione dedicata alla “Poesia”.
“Questo premio intitolato a Pier Paolo Pasolini - spiega la presidente dell’associazione Sisma Cristina Acucella - oltre ad essere un omaggio ad un intellettuale il cui pensiero risulta ancora oggi d’estrema attualità e lungimiranza, vuole essere una occasione per fare un discorso serio sul Sud, sul futuro del nostro Paese e del territorio che abitiamo”.

Premio PPP al casarsese Fabio Muccin

C’è anche il casarsese Fabio Muccin  nella terna degli scrittori finalisti per la  quarta edizione del Premio Letterario,  sezione narrativa,   “Le cantine di Pasolini” organizzato a Barile, un paesino del potentino di nemmeno 3.000 anime. Il concorso è promosso dai giovani della locale Associazione Sisma, in stretta collaborazione con il Centro Studi di Casarsa e l’Associazione Pasolini di Matera, oltre che con l’avallo degli Enti pubblici lucani.
Un ideale ponte Nord-Sud, insomma, nel nome del poeta friulano, che è caro anche alla Basilicata, set atavico di sacralità contadina dove il cineasta Pier Paolo girò nel 1964 gran parte delle riprese del capolavoro filmico “Il Vangelo secondo Matteo”:  a Matera e appunto, per i quadri iniziali della Natività, nelle antiche grotte di Barile usate per la conservazione del vino.
Proprio nel recuperato Parco urbano delle Cantine, nella “località del Palazzo”, si è tenuta nel pomeriggio di sabato 18 maggio la cerimonia della premiazione alla presenza della giuria, presieduta dal  grande fotografo Domenico Mimì Notarangelo e composta dalla studiosa Maura Locantore, dal poeta Antonio Avenoso, dal critico letterario Sabine Schild-Vitale, dalla responsabile del sito “Libri.tempoxme” Giuditta Casale, dallo scrittore Raffaele Irenze, dal ricercatore pisano Luca Cristiano, dalla poetessa Anna Santoliquido e da  Angela Felice, direttore del Centro Studi. Sarà proprio quest’ultima a ritirare il premio dello scrittore Muccin, nonché vicepreside all’Istituto Onnicomprensivo di San Vito, che l’ha spuntata su un corposo numero di concorrenti, provenienti da tutta Italia, con il racconto “Graffiti”, una cruda parabola sul destino di solitudine dei giovani d’oggi, quasi epigoni a rovescio degli emarginati, ma vitalissimi, ragazzi di vita pasoliniani.

"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi
Nel sito, negli archivi e nei sommari potrai trovare gli ipertesti, gli interventi,
le notizie contenuti in oltre dodicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini.
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Presentazione dei contenuti di "Pasolini Roma", Mostra a Barcellona, 23 maggio-15 settembre 2013

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"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA - MOSTRE
Pasolini Roma
Mostra a Barcellona
23 maggio-15 settembre 2013
Inaugurazione 22 maggio 2013 ore 19,30

PRESENTAZIONE
IN SPAGNOLO E IN ITALIANO

Le fotografie incluse nel testo seguente sono tutte di Giulia Moja,
che le ha realizzate durante la visita alla Mostra di Barcellona. Un grazie di cuore


EN ESPAÑOL


Pier Paolo Pasolini a Roma nella casa di via Fonteiana (1954)
Pocas ciudades expresan tan bien como Romael vinculo esencial entre cultura, sociedad y hecho urbano, que es el motivo inspirador de la tarea de reflexión y difusión del Centro de Cultura Contemporànea de Barcelona (CCCB). Con una historia bimilenaria a sus espaldas, Roma ha sido, de hecho, diferentes ciudades a lo largo de su trayectoria, en la medida en que las vicisitudes sociales y politicas la han ido transformando, alternando momentos de decadencia con otros de renacimiento, pero manteniendo siempre un hilo continuado en el tiempo.
En apenas tres lustros y a lo largo de una veintena de peliculas, el cineasta Pier Paolo Pasolini consiguió crear un universo filmico poderosamente perso­nal y profundamente innovador. Y este universo tenia como principal escena­rio la ciudad de Roma, sus espacios y  su gente, mostrados y explorados con una visión radical y profunda, animada a partes iguales por un sentimiento critico y por un fuerte amor hacia todo lo que representaba la ciudad. En este sentido, podriamos decir que Pasolini contribuyó a modelar también el imaginario de Roma, del que pasó a formar parte, siendo a la vez su retratista y una de sus fìguras destacadas.
Por ello, abordar una exposición que busca profundizar en el conocimiento de esta relación intima y visceral entre el artista y la ciudad supone un evento relevante en el àmbito cultura!. Para el CCCB, ademàs, implica añadir un nuevo hito en la serie de exposiciones que, a lo largo de su historia, han presentado la obra de diferentes creadores enmarcada y arraigada en una capital de referencia. En el caso de Pasolini, cabe señalar que, ademàs, su vinculación radical con Roma se da no solo a través del lenguaje cinematogràfico, sino que también se expresa literariamente, ya que cultivó a fondo la poesia, el ensayo y la escritura periodistica.
Pasolini con Mauro Bolognini per cui ha scritto la sceneggiatura de La notte brava

Al igual que en ocasiones recientes, la exposición «Pasolini Roma» es un proyecto del CCCB concebido y producido en colaboración con otros prestigiosos centros culturales europeos, en este caso, La Cinémathèque française de Paris, el Palazzo delle Esposizioni de Roma y el Martin-Gropius-Bau de Berlin. El hecho de asociarse para poner en marcha està importante exposición no solo responde al objetivo de optimizar recursos en tiempos dificiles para la cultura, sino que se explica, sobre todo, por la conveniencia de congregar capacidades y conocimientos que, una vez reunidos, llevan a definir perspectivas mas amplias e inteligibles para el pùblico. Hemos de celebrar, pues, que està labor conjunta nos abra las puertas de la obra de Pasolini para adentrarnos en ella -y en la ciudad de Roma- con estimulos renovados y reveladores.
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Salvador Esteve
Presidente de la Diputación de Barcelona
Y del Coinsorcio del CCCB


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Como ya hizo en 2011 con Magris y habia hecho anteriormente con Pessoa, Joyce, Kafka y Borges, el Centro de Cultura Contemporànea de Barcelona ha abordado de nuevo las mùltiples facetas de una gran personalidad a través de su universo real e imaginario. Tanto desde la admiración como desde la discrepancia radi­cal se acepta que Pier Paolo Pasolini fue una de las voces mas severamente crìticas y lùcidas de la segunda mitad del siglo xx. Se le ha considerado un intelectual europeo en el sentido fuerte del termino, porque Pasolini pensò y habló muy a menudo en términos de cultura europea, desde una conciencia clara y una innegable sensibilidad por las cuestiones a debate en un mundo que apenas acababa de salir de la peor confrontación bélica imaginable.
A quattro calci a un pallone da foot-ball non si rinuncia mai...
In questo caso si tratta di una pausa del film Accattone

Reconocido por su poesía -que escribió en friulano e italiano-, ensayista, narrador, crítico y activista poli­tico y social, se ha dicho que Pasolini no dejó de ser todo eso cuando se puso detràs de la cámara, desde donde ejerció el magisterio por el que mas se le ha conocido. Fue capaz de explicarse y de configurar una estètica propia uti­lizando todos los códigos de lenguaje que tenía a su disposición, entre ellos también el cinematogràfico.
Pasolini fue, en efecto, una per­sona dominada por las convicciones y el pensamiento. Pasión y pensamiento vividos, elaborados y servidos desde una indòmita e irrenunciable afìrmación de libertad, sin que ningùn tipo de freno velase o matizase su intensidad y pureza, aun cuando provoca sen escàndalo, aunque pusiesen en
cuestión los dogmas del comunismo o de la fé cristiana, aunque supusiesen para él la reprobación y le abocasen al exilio interior.
Pier Paolo Pasolini saluta Anne Wiazemsky (lavorerà con lui nel
1968 in
Teorema e Porcile) e Jean-Luc Godard,
marito dell'attrice fino al 1979
La pasión convirtió a Pasolini en un arquitecto estètico que construyó su obra en tensión con la moral, la politica, la ideologia, la estètica y la sociedad... Todo eso lo encontró y lo aprendió en la Roma de los anos cincuenta, donde vivió y de donde extrajo la poètica contenida en los hombres, las mujeres y los niños de aquellos suburbios, de aquella desesperación social y moral de la Italia posfascista. Pasolini consideraba a los habitantes de los márgenes, los humildes, los pobres, sus verdaderos compatriotas.
Todo este mundo que condensa y contiene tres décadas de una intensidad resplandeciente es el que quiere presentar la exposición «Pasolini Roma». Un proyecto que no habría sido posible sin las alianzas tejidas, tiempo atràs, con La Cinémathèque française de Paris, el Palazzo delle Esposizioni de Roma y el Martin-Gropius-Bau de Berlin. Està alianza internacional también ha sido determinante para obtener el apoyo de la Union Europea al proyecto.
Decía Goethe que «quien quiera entender al poeta ha de ir a la tierra del poeta». Està exposición pretende, como el CCCB ha hecho en ocasiones anteriores, dar nuevas pistas para entender a Pasolini como un personaje de una sensibilidad excepcional por su fuerza creativa, por su vitalidad increible y por la pasión que imprimía en todo lo que hacia. Y pretendemos ayudar a redescubrir «su» Roma, empezando por aquella ciudad suburbial y fronteriza que tan magnificamente retrató con palabras e imàgenes. Un fragmento de vida romana para comprender y conocer un poco mejor que y quién fue Pier Paolo Pasolini.
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Pasolini y Roma en el CCCB
Larçal Sintes
Director del CCCB

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Acercarse a Pasolini en sus relaciones con la ciudad de Romaes entrar de lleno en todo lo que lo constituye y lo defìne: la poesia, la politica, el sexo, la amistad, el cine.
Para él, que pasó su juventud en el Friul y en Bolonia, Roma nunca sera un simple decorado, ni tampoco un simple lugar de residencia. Para el hombre y para el poeta, Roma tuvo una existencia fisica, carnal, pasional. Con ella conoció una gran historia de amor, con todas sus etapas: el lirismo y la angustia del encuentro, las decepciones, las traiciones, los sentimientos de odio y de pasión mezclados, las fases de atracción y de rechazo, las fases de alejamiento y de retorno.
Roma también fue, para el Pasolini polemista, analista de la evolución de la situación italiana, el tema principal de observación, su campo permanente de estudio y de reflexión.
Pero sobre todo hay una Roma de antes y después de Pasolini. Sus escritos y sus peliculas crearon un nuevo imaginario de la capital italiana. Paso­lini no se limitò a incorporar la ciu­dad de Roma como telón de fondo de sus novelas y de sus fìlmes, sino que «refundó» Roma para la literatura y el cine.
Pier Paolo Pasolini e Franco Citti sul set di Accattone

Confinò una existencia y una dignidad literaria al lenguaje romanesco, que entrò gracias a él en la gran cul­tura italiana. Pasolini rodò sus primeros fìlmes en Roma, pero los decorados de Accattone y Mamma Roma son en primer lugar los de las barriadas populares en las que vivió y trabajó cuando (legò a la capital, donde viven los pobres, los marginados, los ùltimos «inocentes», el subproletariado solar: un espacio urbano precario, destartalado, despreciado por los arquitectos y por los urbanistas, al que Pasolini quiso insuflar grandeza y lirismo a través de una fìlmación sacralizante inspirada en los modelos fìgurativos del primer Renacimiento.
Sus obras literarias y filmicas provocaron infìnidad de polémicas, contestaciones, agresiones y denuncias, que sin embargo nada pudieron frente a la extraordinaria novedad estilistica y la gran fuerza expresiva de su arte. Puesto que la acusación de homosexualidad se convirtió en banal y previsible, se afiadieron las de blasfemia, pornografia, ultraje a la religión, e incluso inducción al delito, encubrimiento y robo a mano armada! Acusaciones absurdas que no tardan en disiparse, aunque muchas veces obligarán al artista a someterse a procesos grotescos y mas que humillantes.
En la primavera de 1964 Pasolini publicó una importante colección de poemas, Poesía en forma de rosa (Poesia in forma di rosa). El tono dominante es cada vez mas el de la profecia, a menudo oscura, rabiosa, doliente, y también el de la abjuración («me he equivocalo en todo», «abjuro de està decada ridicula»), provocada principalmente por la «decepción de la Historia». Uno de los momentos más logrados de esta abjuración es Pajaritos y pajarracos (Uccellacci e uccellini) una fábula o más bien un «fìlme ideo-cómico», como lo definió él mismo. Interpretado por una insòlita pareja (Totò y Ninetto Davoli), fue uno de los testimonios mas lùcidos del cambio de època que Roma e Italia estaban atravesando a mediados de los años 1960. Pajaritos y pajarracos, en forma metafórica, aborda el tema de la crisis de las ideologias. Y narra el encuentro ya inevitable entre la cultura occidental y el Tercer Mundo. No se trata de una huida ni de algún tipo de «tercermundismo», sino, por el contrario, de una lùcida previsión, hoy sabemos cuàn justa y fecunda. El poeta insiste en señalar que no cree que el marxismo esté en crisis, siempre y cuando «sepa aceptar muchas nuevas realidades».
Pier Paolo Pasolini nella sua casa di via Carini
Por otra parte, ya a principios de los años sesenta Pasolini habia demostrado ser tal vez el único intelectual italiano capaz de comprender el sentido y el alcance de las transformaciones que se estaban produciendo y de percibir los peligros inherentes al neoca­pitalismo italiano: un «modelo de desarrollo» basado en la cantidad mas que en la calidad, en la acumulación de bienes superfluos mas que en un progreso cultural y moral. El resultado era la destrucción de culturas, estilos de vida, lenguajes, en provecho de un nuevo y uniforme modelo humano de referencia, el pequeñoburgués.
Aunque le gustaban, Pasolini se apartó de los estilemas fìgurativos y representativos del  neorrealismo, que denunciaban la miseria como condición material. Su denuncia, en cambio, se dirigía por encima de todo a la miseria espi­ritual, moral, fruto de la modernización acelerada y de la destrucción antropològica. Las nuevas formas de malestar social que acompañaban a la revolución estudiantil del 68 también eran, para Pasolini, fruto de està modernización impuesta desde arriba. Pasolini intuyó que el 68 italiano era en realidad una revolución de las clases medias, en la que la burguesia se rebelaba contra si misma y ya no consideraba necesarios ni la relación con los intelectuales ni el respeto por la ciencia, sino solo la destrucción y la violencia, en virtud de un fantasmal acceso a la modernidad desligado de cualquier ambición de desarrollo real. En los Escritos corsaroos, en su ùltimo filme, Salo, inspirado en Sade, y en la novela póstuma Petróleo, el poeta va todavia mas lejos en su análisis del «modelo italiano». Denuncia el racismo del hedonismo interclasista, cuyo ùnico modelo aceptado es el de la normalidad pequeñoburguesa (perfectamente vehiculada por la televisión y la publicidad), y muestra que el resultado de todo ello es paté­tico, porque un joven pobre de Roma nunca podrá adaptarse a estos modelos. Por este motivo Pasolini no solo se distanció del neorrea­lismo, sino que se mantuvo apartado de cual­quier concepción que entendiera la igualdad como nivelación, espiritual mas que material, y que identifìcara el progreso con el desarrollo.
Poeta antropòlogo «sobre el terreno», Pasolini siempre estuvo en contacto con personas y situaciones reales y, por encima de todo, con los cambios imprevistos y violentos (una verdadera «mutación genética») que, entre fìnes de los sesenta y comienzos de los setenta, sacudieron Roma, su ciudad de elección, su metáfora artistica y humana, y que, en cierto modo, también fueron el preludio de su propio final, igual de imprevisto y tràgico.

Pasolini Roma
Gianni Borgna, Alain Bergala,  Jordi Balló

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Pier Paolo Pasolini al lavoro nella sua abitazione di via Carini
Para establecer esrte itinerario hemos partido de la palabra poética de Pasolini tal como la hallamos en los textos de los archivos: cartas, poemas, articulos, fragmentos de guiones, etc. Muchos de ellos están publicados; otros eran inéditos hasta ahora, y si fìguran en nuestra selección es porque su cariz literario es fácil­mente reconocible y porque nos informan directamente sobre los aspectos esenciales de su pensamiento y de su actitud ante la vida. Los documentos nos narran sus vicisitudes desde su llegada a Roma hasta los dias anteriores a su asesinato. A partir del principio del montaje, hemos encadenado estos textos tratando siempre de preservar su autonomia, asi como su capacidad paradójica. La continuidad que se crea entre todos ellos permite ofrecer una visión fragmentada, pero pensamos que fìel y completa, de las grandes aportaciones que hacen de Pasolini un referente contemporáneo: la defensa de la diversidad, de las minorias lingúisticas, de su cultura y de las libertades individuales; la critica al rol de la religión y el legado del cristianismo, la denuncia de las nuevas for­mas de violencia y de abuso de poder; la puesta en evidencia de la persistencia del dogmatismo y el fascismo, de la homologación fruto de la sociedad de consumo, de la manipulación de los medios de comunicación de masas; el valor inestimable del rostro anónimo y, finalmente, la belleza revolucionaria de los márgenes. Son aportaciones que conectan con las inquietudes de las nuevas generaciones. Cómo se opera el tránsito del ámbito intelectual o artistico al de lo social y politico? Esta exposición avanza algunas de las respuestas a està pregunta y examina los motivos de su gran actualidad.

IN ITALIANO


Poche città come Roma esprimono il legame essenziale tra la cultura, la società e la città, che è il motivo ispiratore del dibattito stimolante in corso in queste settimane al Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona (CCCB). Con una storia bi-millenaria alle spalle, Roma “è stata” di fatto diverse città lungo la sua storia, nella misura in cui le vicende sociali e politiche sono state trasformate, alternando momenti di decadenza ad altri di rinascita pur mantenendo un filo conduttore sempre costante nel tempo.
In soli tre lustri e in una ventina di film, il regista Pier Paolo Pasolini è riuscito a creare un universo cinematografico potente e personale profondamente innovativo. E questo universo aveva come scenario principale la città di Roma, i suoi spazi e la sua gente, visualizzati ed esplorati con una visione radicale e profonda, animata in egual misura da senso critico e da forte amore per tutto ciò che ha rappresentato la città. In questo senso, si può dire che Pasolini ha anche aiutato a plasmare l'immaginario di Roma, che diventò per lui parte integrante, poiché era sia il suo ritratto sia uno dei suoi protagonisti.
Perciò riferendoci a una mostra che cerca di approfondire la conoscenza di questo viscerale, intimo rapporto tra l'artista e la città, occorre affermare che è un evento importante nel campo della cultura. Per il CCCB inoltre comporta l'aggiunta di una nuova pietra miliare nella serie di mostre con cui nel corso della sua storia ha presentato il lavoro di diversi artisti. Per quanto riguarda Pasolini, è opportuno anche segnalare che il suo rapporto radicale con Roma avviene non solo attraverso il linguaggio del cinema, ma anche letterariamente, poiché ha accuratamente coltivato la poesia, la saggistica e la scrittura giornalistica. 
Come in altre occasioni recenti, la mostra "Pasolini Roma" è un progetto CCCB ideato e prodotto in collaborazione con altri prestigiosi centri culturali europei, in questo caso, La Cinémathèque Française di Parigi, il Palazzo delle Esposizioni di Roma e il Martin-Gropius-Bau di Berlino. Il fatto di avere partnership per lanciare un'importante mostra è attuato non solo con l'obiettivo di ottimizzare le risorse in tempi difficili per la cultura, ma si spiega principalmente con la comodità di accedere a competenze in grado di raccogliere conoscenze che, una volta assemblate, portano a definire le prospettive più ampie e comprensibili al pubblico. Concludiamo, quindi, che il lavoro comune ci apre le porte all'opera di Pasolini per entrare nel suo lavoro e nella città di Roma con stimoli rinnovati e rivelatori.

Salvador Esteve
Presidente de la Diputación de Barcelona
Y del Coinsorcio del CCCB

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Come ha fatto nel 2011 con Magris e aveva fatto in precedenza con Pessoa, Joyce, Kafka e Borges, il Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona ha nuovamente affrontato le molteplici sfaccettature di una personalità attraverso il loro universo reale e immaginario. E' comunemente accettato sia da chi l'ammira sia da chi è in totale disaccordo con il suo pensiero, che Pier Paolo Pasolini sia stato una delle voci più severamente critiche e lucide nella seconda metà del XX secolo. E 'stato considerato un intellettuale europeo nel senso più forte del termine, perché Pasolini pensava e parlava spesso in termini di cultura europea con una coscienza e una sensibilità innegabili per le questioni discusse in un mondo che era appena uscito dal peggiore scontro militare che si possa immaginare, quello della seconda guerra mondiale.
Riconosciuto per la sua poesia - che ha scritto in friulano e italiano -, saggista, romanziere, critico e attivista politico e sociale, si è detto che a Pasolini non fu sufficiente essere tutto ciò finché non arrivò dietro a una macchina da presa, dove esercitò l'attività che è quella per cui è maggiormente conosciuto. Egli fu in grado di spiegare e di impostare una propria estetica utilizzando tutti i codici linguistici a sua disposizione, tra i quali il cinema.
Pasolini era, in effetti, una persona dominata dalle convinzioni e dal pensiero. Passione e pensiero vividi, preparati e serviti da una fortissima e innegabile affermazione di libertà, perché non vi fosse freno per qualificare la sua intensità e la sua purezza, anche quando provocava scandalo, anche se metteva in discussione i principi del comunismo o della fede cristiana, anche se lo disapprovavano e lo condannavano ad un esilio interiore.
La passione di Pasolini è diventata come un architetto che abbia costruito la sua opera esteticamente tesa con la morale, la politica, l'ideologia, l'estetica e la società ... Tutto ciò l'ha incontrato, trovato e appreso nella Roma degli anni Cinquanta, dove ha vissuto e dove ha saputo estrarre la poetica contenuta in uomini, donne e bambini di quelle periferie, di quella disperazione sociale e morale della Italia post-fascista. Pasolini considerava gli abitanti ai margini, gli umili, i poveri, i suoi veri compatrioti.
Tutto questo mondo che condensa e contiene tre decenni di intensità luminosa è ciò che vuole presentare la mostra "Pasolini Roma." Un progetto che non sarebbe stato possibile senza le alleanze di vecchia data e già ricordate con la Cinémathèque Française di Parigi, il Palazzo delle Esposizioni di Roma e il Martin-Gropius-Bau di Berlino. Questa partnership internazionale è stato anche uno strumento per ottenere il sostegno dell'Unione europea al progetto.
Goethe ha detto che "chi vuole capire il poeta deve andare nella terra del poeta." Questa mostra si propone dunque, come il CCCB ha fatto in passato, di fornire nuovi indizi per comprendere Pasolini come un personaggio di eccezionale sensibilità per la sua forza creativa, per la sua vitalità sorprendente e per la passione che si rivela in tutto ciò che faceva. Noi vogliamo contribuire a riscoprire la "sua" Roma, a partire da quella città di periferia magnificamente ritratta in parole e immagini. Un frammento di vita romana per capire e conoscere un po' meglio Pier Paolo Pasolini.
 Pasolini y Roma en el CCCB 
Larçal Sintes 
Director del CCCB

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Accostarsi a Pasolini nelle sue relazioni con la città di Romaè entrare in pieno in ciò che lo costituisce e definisce: poesia, politica, sesso, amicizia, film.
Per lui, che ha trascorso la sua giovinezza in Friuli e a Bologna, Roma non avrebbe mai potuto essere puramente decorativa, né un semplice luogo di residenza. Per l'uomo e il poeta, Roma ha avuto un'esistenza fisica, una passione carnale. Vi ha incontrato una grande storia d'amore, con tutte le sue fasi: il lirismo e l'angoscia dell'unione, le delusioni, i tradimenti, i sentimenti di odio e di passione, le fasi miste di attrazione e di rifiuto, le fasi di ritiro e di rientro.
Roma è stata anche per il polemista Pasolini, analista dell'evoluzione della situazione italiana, il focus di osservazione, il suo campo permanente di studio e di riflessione.
Ma soprattutto c'è Roma prima e dopo Pasolini. I suoi scritti e i suoi film creano un nuovo immaginario della capitale italiana. Pasolini non si limitò a incorporare la città di Roma come sfondo per i suoi romanzi e i suoi film, ma "rifondò" Roma per la letteratura e il cinema.

Dando dignità di lingua letteraria al dialetto romanesco, che è confluito grazie a lui nella grande cultura italiana, Pasolini ha girato i suoi primi film a Roma, ma i set di Accattone e Mamma Roma sono in primo luogo quelli dei quartieri popolari in cui visse e lavorò, quando lasciò alla capitale, dove vivono i poveri, gli emarginati, gli ultimi "innocenti "sottoproletari solari uno spazio urbano precario, fatiscente, disprezzato da architetti e urbanisti, di cui Pasolini riscontrava la  grandezza e il lirismo attraverso film ispirati a sacralizzare modelli figurativi del primo Rinascimento.


Le sue opere letterarie e filmiche causarono innumerevoli polemiche, difese, attacchi, aggressioni e denunce, ma non è possibile ignorare la straordinaria novità stilistica e altamente espressiva della sua arte. Dal momento che l'accusa di omosessualità era banale e prevedibile, si attaccarono alla bestemmia, alla pornografia, a ciò che era ritenuto offensivo per la religione, e anche all'induzione al reato, all'occultamento e alla rapina a mano armata! Accuse assurde presto dissipate, anche se spesso hanno costretto l'artista a subire processi grotteschi e umilianti.
Nella primavera del 1964 Pasolini pubblicò un importante raccolta di poesie, Poesia en forma de rosa (Poesia in forma di rosa). Il tono dominante è sempre quello della profezia, spesso oscura, arrabbiata, luttuosa, e anche quella dell'abiura ("Mi hanno equivocato di continuo, abiuro da questo decennio ridicolo”), causata principalmente dalla “delusione della Storia." Uno dei punti forti di questa rinuncia è fatta in Pajaritos y Pajarracos (Uccellacci e uccellini), una favola, o meglio un "film ideo-comico", come ha definito lui stesso. Interpretato da una coppia insolita (Totò e Ninetto Davoli), è stato una delle più lucide testimonianze di ciò che Roma e l'Italia stavano attraversando a metà degli anni sessanta. Uccellacci e uccellini metaforicamente affronta il tema della crisi delle ideologie. E inevitabilmente narra l'incontro tra la cultura occidentale e del Terzo Mondo. Non è una fuga o una sorta di "terzo mondo", ma, al contrario, di una lucida lungimiranza, ora sappiamo leale e proficua. Il poeta insiste a segnalare che lui non crede che il marxismo sia in crisi, a patto che "si sappiano accettare molte nuove realtà."
Inoltre, a partire dai primi anni sessanta Pasolini aveva dimostrato di essere forse l'intellettuale in grado di comprendere il significato e la portata dei cambiamenti che stavano avvenendo e di percepire i pericoli insiti nel neocapitalismo italiano: un "modello di sviluppo" basato sulla quantità più che sulla qualità, l'accumulo di beni superflui piuttosto che sul progresso culturale e morale. Il risultato è stato la distruzione delle culture, degli stili di vita, dei linguaggi, in favore di un nuovo modello umano di riferimento, il piccolo-borghese.
Anche se gli piacevano, Pasolini si allontanò dai modelli stilistici figurativi e rappresentativi del neorealismo, che denuncia la povertà e la condizione materiale. La sua denuncia è stata invece diretta soprattutto alla povertà spirituale, risultato di una modernizzazione accelerata e di una distruzione antropologica. Le nuove forme di disordini sociali che hanno accompagnato la rivoluzione degli studenti nel '68, per Pasolini sono stati anche frutto della modernizzazione imposta dall'alto. Pasolini immaginò che il '68 in Italia fosse in realtà una rivoluzione della classe media, che si ribellava contro la borghesia stessa e non fosse più considerato necessario stare né con gli intellettuali, né avere rispetto per la scienza, solo distruzione e violenza, sotto un accesso spettrale alla modernità distaccato da qualsiasi reale ambizione di sviluppo.
Negli Scritti corsari, nel suo ultimo film, Salò, ispirato da Sade, e nel romanzo postumo Petrolio, il poeta va ancora oltre nella sua analisi del "modello italiano". Denuncia il razzismo dell'edonismo interclassista, il cui unico modello accettato è quello della normalità piccolo-borghese (perfettamente veicolata da televisione e pubblicità), e dimostra che il risultato di tutto questo è patetico, perché un povero giovane di Roma non può mai adattarsi a questi modelli. Per questo motivo non solo Pasolini prende le distanze dal neorealismo, ma rimane lontano da ogni concezione di uguaglianza intesa come livellamento, più spirituale che materiale, e da ogni assimilazione del progresso con lo sviluppo.
Poeta antropologo “sul campo” Pasolini era sempre in contatto con persone e situazioni reali e, soprattutto, con cambiamenti imprevisti e violenti (una vera e propria "mutazione genetica") che, negli anni sessanta e l'inizio dei settanta, scosse Roma, la città che aveva scelto, la sua metafora artistica e umana, e, in un certo senso, rappresentavano anche il preludio alla sua fine, altrettanto inaspettata e tragica.

Pasolini Roma
Gianni Borgna, Alain Bergala, Jordi Balló

* * *
Per impostare il percorso della mostra siamo partiti dalla parola poetica di Pasolini così come la troviamo nei testi di archivio: lettere, poesie, articoli, estratti da scritti, ecc. Molti di essi sono pubblicati, altri sono stati pubblicati in precedenza, e se inseriti nella selezione è perché il loro aspetto letterario è facilmente riconoscibile perché si riferiscono direttamente agli elementi essenziali del suo pensiero e del suo atteggiamento verso la vita. I documenti ci raccontano le vicende dal suo arrivo a Roma qualche giorno prima del suo assassinio. Fin dall'inizio del montaggio, abbiamo interconnesso questi testi cercando di preservare la loro autonomia e la loro capacità paradossale. La continuità che si crea tra loro permette di offrire una visione frammentaria, ma pensiamo fedele e completa, per i grandi contributi che fanno di Pasolini un referente contemporaneo: la difesa della diversità, delle minoranze linguistiche, la loro cultura e la libertà individuali, la critica del ruolo della religione e l'eredità del cristianesimo, la denuncia delle nuove forme di violenza e di abuso di potere, la dimostrazione della persistenza di dogmatismo e il fascismo, l'omologazione frutto della società dei consumi, la manipolazione dei mass media, il valore inestimabile del volto anonimo e, finalmente, la bellezza rivoluzionaria degli emarginati. Si tratta di contributi che collegano le preoccupazioni delle generazione più giovani. Come si opera il passaggio tra il campo intellettuale o artistico e quello dello politico e sociale? In questsa mostra avanziamo alcune risposte a questa domanda ed esaminiamo le ragioni della sua grande attualità.
[Traduzione italiana a.m.]
Pier Paolo Pasolini e Ninetto Davoli
LA MOSTRA E' ARTICOLATA IN SEI "CAPITOLI":

Capitulo I  - Pasolini arriva alla stazione di Roma con sua madre il 28 gennaio di 1950. Il giovane militante e poeta è stato espulso dall'insegnamento pubblico e dal partito comunista dopo essere stato denunciato...
Capitulo IICon la pubblicazione di Ragazzi di vita, nel 1955, Pasolini irrompe con forza nel circolo della vita intellettuale...
Capitulo IIICon Accattone (1961) Pasolini uomo di lettere, entra nel cinema...
Capitulo IVOra Pasolini dispone di mezzi per comprarsi un grande appartamento, del quale scrive che sarà "la casa del suo funerale"...
Capitulo VUna notte di marzo di 1966, in un ristorante, crolla in una pozza di sangue dovuto ad un'emorragia causata da un'ulcera...
Capitulo VINel 1971 Ninetto Davoli gli annuncia che si sposa: ciò causa a Pasolini una profonda depressione
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1. Mostra "Pasolini Roma" a Barcellona, 23 maggio-15 settembre 2013

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"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA - MOSTRE
Cortile del CCCB (Consorcio del Centre de Cultura contemporània de Barcelona

Pasolini Roma
Mostra a Barcellona
23 maggio-15 settembre 2013
Inaugurazione 22 maggio 2013 ore 19,30

IN SPAGNOLO E IN ITALIANO

1/6


Pier Paolo Pasolini, Autoritratto, 1946
Capitolo Primo - Pasolini arriva alla stazione di Roma con sua madre il 28 gennaio del 1950. Il giovane militante e poeta è stato espulso dall'insegnamento pubblico e dal partito comunista dopo essere stato denunciato per essersi intrattenuto con adolescenti (corruzione di minorenni) durante una festa popolare a Ramuscello. Più tardi sarà assolto da questa accusa.
Hanno abbandonato la casa di Casarsa e il padre, che ancora dormiva. Al principio la madre trovò lavoro come governante. Poi i Pasolini (nel frattempo il padre li aveva raggiunti) si trasferirono in un rione di periferia a Ponte Mammolo, presso il carcere di Rebibbia.
Occorrevano tre ore al giovane Pasolini per raggiungere la scuola media privata di Ciampino dove finalmente aveva trovato lavoro come professore con un magro compenso. Tra i suoi allievi Vincenzo Cerami attrae la sua attenzione e simpatia: sarà scrittore e giornalista, e collaborerà come aiuto regista di Pasolini in Uccellacci e uccellini.
Questo periodo di miseria è illuminato però dal sentimento che “Roma è divina”. E a Roma scopre il sottoproletariato delle periferie, il suo linguaggio, la sua cultura e la sua vitalità.
Un giovane imbianchino, Sergio Citti, sarà il suo “dizionario ambulante” di dialetto romanesco. Questo mondo sconosciuto diventerà per alcuni anni la sua fonte principale di ispirazione letteraria e cinematografica.
Dopo i precari amori furtivi friulani scopre la sessualità libera e immediata con i ragazzi di Roma. Insieme a Sandro Penna, scrittore delle emozioni amorose con giovani ragazzi frequenta le sponde del Tevere, fiume che diventa uno dei suoi referenti simbolici e poetici. La sua fede nella scrittura si rafforza e vince alcuni premi di poesia che lo confermano nella sua convinzione che il lavoro letterario lo salverà. Inizia a frequentare gli scrittori che fino ad allora aveva conosciuto da lontano: Ungaretti, Gadda, Giorgio Cproni, Giorgio Bassani… [Traduzione italiana di a.m.]

Di assoluto rilievo scientifico e di espansione  internazionale la partecipazione del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa, in stretta sinergia con la Soprintendenza Archivistica per il Friuli Venezia Giulia e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alla mostra “Pasolini Roma”, inaugurata il 22 maggio 2013 a Barcellona  nel Centro di Cultura Contemporanea (CCCB), anche con la presenza friulana del presidente Teresa Tassan Viol e del direttore Angela Felice. La prestigiosa iniziativa, curata da Jordi Balló, Alain Bergala e Gianni Borgna, con il prezioso contributo di Graziella Chiarcossi, nasce dal lungo lavoro progettuale  e dall’entusiasmo di quattro importanti istituzioni museali europee, che appunto, accanto al Centro spagnolo con la prima tappa espositiva (chiusura il 14 settembre), saranno le sedi di tre successivi riallestimenti: la Cinémathèque française di Parigi (ottobre 2013-gennaio 2014), il Palazzo delle Esposizioni di Roma (3 marzo –   8 giugno 2014) e infine il  Martin Gropius Bau di Berlino (11 settembre 2014 – 5 gennaio 2015). Cuore e senso della mostra, organizzata come percorso cronologico snodato tra il 1950 e il 1975, con un prologo, sei sezioni e un epilogo, è la perlustrazione articolata e dinamica del legame tra Pasolini, uomo e artista poliedrico, e la città di Roma, da lui vissuta –spiegano i curatori – come la geografia di “una grande storia d’amore, fatta di delusioni, tradimenti, sentimenti di passione e di odio, momenti di attrazione e di rifiuto, fasi di allontanamento e di ricongiunzione”. Una città che poi, per il polemista, fu un “campo permanente di studio, di riflessione e di lotta”, come un laboratorio urbano a cielo aperto in cui verificare con crescente angoscia anche i cambiamenti dell’Italia e degli italiani tra gli anni Sessanta e Settanta. Quel fondale, dunque, non fu per Pasolini solo un luogo in cui ambientare romanzi e pellicole, ma soprattutto un crocevia spaziale di esperienze e di ricreazione artistica, al punto che ne derivò la trasfigurazione  in un nuovo immaginario e in un nuovo mito della capitale, dei suoi quartieri e dei suoi abitanti, fino all’ultima grande opera incompiuta di Petrolio, capitolo finale pasoliniano di una straordinaria narrazione fantastica ed esistenziale.
DAL DIARIO 1943-1953
"Roma 1950 - Diario" e "Ritmo romano"

IMMAGINI SUL SET DI ACCATTONE (1961)
ALTRE FOTOGRAFIE
Con Bernardo Bertolucci (La commare secca, 1962);
con il poeta Sandro Penna;
con Ninetto Davoli.
DEDICATO A JOSÉ AGUSTÍN GOYTISOLO
[Goytisolo è stato anche traduttore in spagnolo
di molte composizioni poetiche di Pier Paolo Pasolini]
José Agustín Goytisolo (Barcelona, 1928-1999), laureato in legge nel 1950, fa il suo esordio nel 1955 con El retorno, che ottiene il premio Adonais e registra l’avvento di un rappresentante di spicco della poesia antifranchista, sempre in aperto dialogo con la sua opera come a volerla preservare dall’usura del tempo e dall’oblìo. Sono una ventina i libri che Goytisolo pubblica in cinquant’anni di poesia, spazio temporale dove l’autore insiste sul dramma della morte della madre in seguito a un bombardamento durante la guerra civile. Nel 1956, con Salmos al viento, si aggiudica il Boscán con una raccolta dall’evidente tono satirico che ne evidenzia la capacità di affermare lo strumento ironico. L’autore, attraverso la parodia dei testi biblici, opera anche una critica nei confronti del “gemellaggio” franchista tra stato e chiesa. L’appartenenza al partito comunista vede un poeta compromesso col suo tempo che nel libro del 1960, Claridad, assume i caratteri dell’autore sociale. Questa trilogia viene raccolta in un volume del 1961 dal titolo Años decisivos. In seguito Goytisolo, già attivissimo traduttore (Quasimodo, Pavese, Pasolini, Esenin) e divulgatore della poesia catalana, pubblica Algo sucede (1968), aprendo la via della poesia che José Hierro ebbe a definire industriale: da intendersi legata al quotidiano-metropolitano, dove l’esperienza urbana si fonde con quella interiore del poeta. Ma anche in Bajo tolerancia (1974) la realtà spagnola dell’epoca è ben scandagliata da Goytisolo che si serve, di nuovo, dell’ironia, questa volta giostrata in tono colloquiale dall’io poetico. Prima delle poesie rurali col ritorno alla canzone tradizionale di Los pasos del cazador (1980), pubblica Taller de arquitectura (1977), Del tiempo y del olvido (1977) e Palabras para Julia (1980). Nel 1981 è il tema amoroso a essere trattato in A veces gran amor, cui seguono Sobre las ircunstancias circunstancias (1983) e Final de un adiós (1984) col quale l’autore chiude il ciclo elegiaco dedicato alla madre. Con El rey mendigo (1988) si completano gli anni Ottanta. Nella decade successiva Goytisolo dà alle stampe una serie di titoli che confermano e rinfrescano i motivi di sempre (l’amore, la città, l’infanzia, la madre). Muore nel 1999, lasciando un vuoto incolmabile nella poesia spagnola del Novecento.

“Nessuno è solo”     
di José Agustín Goytisolo

In questo stesso istante
c’è un uomo che soffre,
un uomo torturato
solo perché ama
la libertà.
Ignoro
dove vive, che lingua
parla, di che colore
ha la pelle, come
si chiama, ma
in questo stesso istante,
quando i tuoi occhi leggono
la mia piccola poesia,
quell’uomo esiste, grida,
si può sentire il suo pianto
di animale perseguitato
mentre si morde le labbra
per non denunciare
i suoi amici. Lo senti?
Un uomo solo
grida ammanettato, esiste
in qualche posto.
Ho detto solo?
Non senti, come me,
il dolore del suo corpo
ripetuto nel tuo?
Non ti sgorga il sangue
Sotto i colpi ciechi?
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2. Mostra "Pasolini Roma" a Barcellona, 23 maggio-15 settembre 2013

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LA SAGGISTICA - MOSTRE
CCCB (Consorcio del Centre de Cultura contemporània de Barcelona

Pasolini Roma
Mostra a Barcellona
23 maggio-15 settembre 2013
Inaugurazione 22 maggio 2013 ore 19,30

IN SPAGNOLO E IN ITALIANO

2/6


Pier Paolo Pasolini, Narciso
Capitolo secondoCon la pubblicazione di Ragazzi di vita, nel 1955, Pasolini irrompe con forza nel circolo della vita intellettuale e artistica romana. Fa entrare nella letteratura italiana il gergo dei ladruncoli e delle prostitute delle periferie e il dialetto romanesco. Il libro è motivo di scandalo, ma i suoi amici scrittori lo difendono.
In questo periodo inizia a lavorare scrivendo sceneggiature per Soldati, Fellini, Bolognini e altri. I cineasti sperano nella sua scrittura e nella sua conoscenza della forma di vita e di linguaggio del sottoproletariato romano, anche se l’azione della prima sceneggiatura - La donna del fiume di Mario Soldati, 1954 - non si svolge a Roma.
Pasolini stabilisce relazioni con quelli che saranno i suoi migliori amici, Alberto Moravia e Elsa Morante, conosce una giovane cantante e attrice, Laura Betti, che lo accompagnerà per tutta la vita, apparirà nei suoi film e nel suo teatro, e rappresenterà l’asse centrale della sua vita sociale romana. Più tardi, parlerà di lei a Godard come della sua “sposa non carnale”.
Le sue possibilità gli permettono ora di acquistare la sua prima auto, una Fiat 600, e di abbandonare la lontana periferia di Rebibbia per il quartiere di Monteverde, in cui andrà ad abitare nel 1954, in via Fonteiana, con sua madre e suo padre. Cinque anni dopo non cambia quartiere però si trasferisce in via Carini, in un palazzo dove abitano Attilio Bertolucci - poeta che ammira - e la sua famiglia. Il giovane Bernardo si converte in suo allievo e diventa suo aiutante in Accattone, prima di dirigere la sua prima pellicola a ventun’anni a partire da una sceneggiatura scritta per se stesso da Pasolini, La commare secca.
Frequenta l’animato centro di Roma, piazza Navona, piazza del Popolo e Campo de’ Fiori, dove vivono i suoi nuovi amici Alberto Moravia, Elsa Morante, Giorgio Bassani, Federico Fellini, Laura Betti. Visita in loro compagnia i caffè e i ristoranti della vita intellettuale romana.
Roma, in cui arrivò con sua madre nell’Anno Santo1950, è anche la città in cui c’è il Vaticano. Papa Pio XII muore in ottobre 1958, dopo 19 anni di potere pontificio. Pasolini pubblica poco dopo una poesia intitolata “A un papa” in cui lo accusa di colpevole passività davanti all'ingiustizia della sfortuna dei poveri. La poesia è causa di scandalo e mette fine alla pubblicazione della rivista “Officina” creata nel 1955 da Pasolini, Francesco Leonetti e Roberto Roversi.
La sua vita sociale si svolge nel centro di Roma, dove lavora tutto il giorno, però la notte - scriverà nel 1960 - “la maggior parte della mia vita la passo oltre i confini della città, aldilà dei capolinea […] Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non può farmi bene: voglio dire i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la gioventù; è un vizio peggiore di quello per la cocaina, non mi basta mai e ce n’è un’abbondanza infinita, senza limiti: e io divoro, divoro. Come finirà non lo so…” [Traduzione italiana di a.m.]

DISEGNI E DIPINTI DI P.P.PASOLINI
Pier Paolo Pasolini, Due giovani
Pier Paolo Pasolini, Autoritratto in veste di pittore
Pier Paolo Pasolini, Ninetto e Laura
Pier Paolo Pasolini, Autoritratti (1946 e 1947)

Ricchissima e multiforme la documentazione che articolA questa retrospettiva, pensata come un ideale viaggio di vita e d’arte a cui lo stesso Pasolini faccia idealmente da Virgilio attraverso la testimonianza delle sue parole scritte o dette, alle espressioni della sua opera filmica e pittorica e all’incredibile quantità di fotografie che, al lavoro o nel privato, ne hanno immortalato il corpo e l’inconfondibile volto-icona. E inoltre, data la sensibilità estetica di Pasolini e la sua competente passione per l’arte figurativa, non mancherà il cammeo di due sezioni speciali dedicate ai pittori amati: De Pisis, De Chirico, Mafai, Guttuso, Rosai e naturalmente Zigaina. In questa incredibile galleria di materiali, provenienti dai più importanti archivi italiani (tra gli altri, il Gabinetto Vieusseux, la Cineteca di Bologna, l’Archivio Fotografico di Cinemazero), anche il Centro casarsese sarà presente con una parte del suo tesoro documentale di carte pasoliniane autografe, custodite nel Fondo Pasolini già dichiarato nel 2010 “bene di interesse culturale” e attualmente in fase avanzata di catalogazione scientifica. Accanto a due rare lettere a Ennio Flaiano del 1963 e a Jean-Luc Godard del 1967, saranno infatti esposte tre lettere dei primi anni Cinquanta alla madre Susanna Colussi, l’adorata “pitinicia” nel lessico familiare di Pier Paolo, e soprattutto il fascicolo n.2 della serie dei celebri  “Quaderni Rossi”, in parte editi nei romanzi postumi  Amado mio  e  Atti impuri.  Il libretto sarà aperto alle pagine datate 19 agosto 1947, in cui il giovane Pasolini confidava al suo  journal intime la dolorosa scoperta che il padre Carlo Alberto aveva compiuto nei suoi confronti “la più incivile delle indiscrezioni”, frugando tra i suoi diari segreti e venendo così a conoscenza del tormento omosessuale del figlio.
Pier Paolo Pasolini, Autoritratto, 1965
Pier Paolo Pasolini, Roberto Longhi, 1975
Pier Paolo Pasolini, Ninetto, 1970
Pier Paolo Pasolini, Ragazzo che dorme
Pier Paolo Pasolini, Ragazzo che legge
Pier Paolo Pasolini, Donna che dorme
Pier Paolo Pasolini, Donna con fiore azzurro, 1947 e Uomo che si lava, 1947 
Pier Paolo Pasolini, Nudo femminile
Pier Paolo Pasolini, Casarsa, Chiesa di Santa Croce
Pier Paolo Pasolini, Donna allo specchio, 1943
Pier Paolo Pasolini, Donna alla toeletta, 1943
segue
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3. Mostra "Pasolini Roma" a Barcellona, 23 maggio-15 settembre 2013

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Pasolini Roma
Mostra a Barcellona
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3/6

Capitolo IIICon Accattone (1961) Pasolini, uomo di lettere, entra nel mondo del cinema. Lo fa con grande entusiasmo per questo nuovo linguaggio che a suo parere è “la lingua scritta della realtà”, quella realtà che lui ama avidamente e che feticizza e sacralizza.
Ha difficoltà a produrre questo primo film dopo un parere negativo di Fellini che non è convinto dalle riprese filmate di prova che ha fatto effettuare. Ferito, Pasolini viaggia in India e in Africa prima di trovare un altro produttore che gli permetta di cominciare le sue riprese nella primavera del 1961. Quel viaggio sarà cruciale per il suo amore per il Terzo Mondo, che crescerà col tempo.
Quando inizia a filmare non conosce la tecnica cinematografica, però ha un’idea molto precisa del linguaggio e dello stile che dovrà adottare nel suo film. Inventa il “suo” cinema, che si differenzia tanto dal Neorealismo quanto dalla Nouvelle Vague.
La sua trilogia romana, Accattone, Mamma Roma, La ricotta, nasce dal suo amore per i personaggi del sottoproletariato, quelli descritti da lui e di cui parla nel suo primo romanzo.
Le borgate del Testaccio, del Pigneto, del Tuscolano e del Parco degli Acquedotti rispondono alla sua entrata poetica nel cinema italiano.
La protagonista del suo secondo film, Mamma Roma (1961), sarà Anna Magnani, “la romana” per antonomasia del cinema italiano, con un passato rosselliniano. Nel film, il suo personaggio (una prostituta con un grande cuore di madre) abbandona la sua borgata popolare di Casal Bertone per affidarsi alla nuova “borgata INA-Casa” del Tuscolano, costruito nel 1961 grazie alla legge Fanfani. Questo desiderio materno di inborghesimento non salverà però suo figlio dal suo destino.
La ricotta, girato alla fine del 1962, è oggetto di un processo clamoroso per blasfemia. A partire dal quel momento e fino al suo assassinio, Roma sarà per Pasolini una costante, quella dei tribunali, che lo coinvolgeranno in una serie di processi, trentatré in totale, con i quali si tenterà anzitutto di far tacere questa voce critica, incessantemente polemica, questa coscienza vigilante e tenace che inquisisce su tutto ciò che lo indigna in Italia.
Mentre gira La ricotta, conosce un ragazzo di borgata, Ninetto Davoli, apprendista falegname, che sarà il grande amore della sua vita. Ninetto gli darà nove anni di grande felicità e allegria, acccompagnandolo nei suoi viaggi e nel suoi film, dove interpreta la parte dell’angelo innocente dai capelli ricci.

Alla Filmoteca de Catalunya restrospettiva completa dei film 
Mercoledì 22 maggio si è inaugurata al CCCB di Barcellona la mostra “Pasolini Roma” curata da Alain Bergala, Jordi Ballo e Gianni Borgna per il Centro de Cultura Contemporánia di Barcellona, che l'ha organizzata in collaborazione con la Cinémathèque Française, l'Azienda Palaexpo-Palazzo delle Esposizioni di Roma e il Martin-Gropius-Bau di Berlino. La mostra è suddivisa in sei sezioni: si apre con il suo arrivo a Roma il 28 gennaio 1950 e si chiude il 2 novembre del 1975, quando fu assassinato in circostanze rimaste ancora oscure.
Sono in mostra manoscritti originali di poesie, romanzi, saggi e articoli, lettere, sceneggiature, storyboard, disegni e dipinti, sequenze tratte dai suoi film, interviste e documentari, fotografie, mappe di Roma e installazioni. E opere di importanti artisti italiani, tra cui Mario Mafai, Giorgio Morandi, Ottone Rosai, Giuseppe Zigaina, Renato Guttuso, Filippo De Pisis. Il Centro Studi - Archivio Pier Paolo Pasolini presso la Cineteca di Bologna ha contribuito all'esposizione con il prestito di lettere, documenti e fotografie, in particolare le immagini di Angelo Novi, il grande fotografo che documentò i set di Pasolini da Mamma Roma (1962) a Teorema (1968).
In concomitanza con l'inaugurazione della mostra, è iniziata anche una retrospettiva integrale del cinema di Pasolini, Pasolini el cinema de poesia, alla Filmoteca de Catalunya, curata in collaborazione con il Centro Studi - Archivio Pasolini e con la Cineteca di Bologna, che hanno organizzato alcune sezioni tematiche come “Pasolini e la critica della modernità”, “Nel laboratorio di Pasolini” e “Pasolini sceneggiatore”. La rassegna è stata aperta da una tavola rotonda nel cui ambito verrà presentato il libro Pier Paolo Pasolini. My Cinema, a cura di Graziella Chiarcossi e Roberto Chiesi, edito dalla Fondazione Cineteca di Bologna.
DAL SET DEI SUOI FILM
ACCATTONE
UCCELLACCI E UCCELLINI
 
LA RICOTTA
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4. Mostra "Pasolini Roma" a Barcellona, 23 maggio-15 settembre 2013

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Pasolini Roma
Mostra a Barcellona
23 maggio-15 settembre 2013
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IN SPAGNOLO E IN ITALIANO


4/6
Roma. Il Palazzo della Civiltà del Lavoro all-EUR

Capitolo Quarto– Pasolini dispone di mezzi per acquistare un grande appartamento, di cui scrive che sarà “la casa del suo funerale”. Lascia il centro chiassoso di Roma per un quartiere tranquillo e residenziale, quello dell’Eur, concepito da Mussolini, in cui compra all’inizio del 1963 un appartamento al numero 9 di via Eufrate. Vi porterà sua madre, che potrà praticare il giardinaggio, e la sua giovane cugina Graziella Chiarcossi, che ora è parte della famiglia. La via Eufrate sbocca da un lato davanti alla chiesa dei santi Pietro e Paolo, di cui si può ammirare la bella architettura alla De Chirico del Palazzo della Civiltà del Lavoro costruito a maggior gloria del fascismo, che attualmente i romani chiamano il Colosseo quadratoDa questo quartiere costruito su una collina si possono vedere, nel 1963, le grandi opere della periferia, le autostrade in costruzione e, in lontananza, quando l’aria è pura e il cielo chiaro, il mare della spiaggia di Ostia. I suoi due personaggi di Uccellacci e uccellini (1965-1966) interpretati da Totò e Ninetto Davoli percorrono questi spazi della periferia scardinati dalla costruzione delle autostrade e di nuove città, allontanandosi ogni volta dal centro per percorrere quello che resta della campagna romana a metà degli anni sessanta.
Roma continua ad essere al centro della vita di Pasolini, che però inizia a prendere le distanze e a rifugiarsi nel sud Italia (che sarà la cornice del Vangelo secondo Matteo, 1964), in India dove era già stato nel 1961 in un lungo viaggio con Moravia, e in Africa. Il Terzo Mondo incomincia a rappresentare per lui un’alternativa alla “piccola Italia” (l’Italietta) che lo opprime, benché Roma continui a essere il luogo di espressione della sua “disperata vitalità” All’inizio del 1963 viaggia nell Yemen, in Kenya, Ghana, Nigeria…
Tra marzo e novembre del 1963 Pasolini gira un documentario su un tema tabù nel paese del Vaticano, Comizi d’amore. Al volante della sua auto, percorre tutta l’Italia, microfono in mano, per intervistare gli italiani sul concetto di sessualità. Questo lavoro lo porta da Milano a Palermo, passando per Modena, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Catanzaro poiché intende dare conto della mentalità profonda delle differenti regioni e dello stato sociale italiano nei confronti del tema del sesso. A Parigi, Michel Foucault pubblicherà nel 1977 un testo in cui manifesterà il suo grande interesse per questa iniziativa del “cinema verità all’italiana” su un tema tabù.
Prima di trovare in Palestina i luoghi per girare, in pochi giorni incontra nel sud Italia, al volante della sua auto, tutte le localizzazioni per Il Vangelo secondo Matteo. Il film, dedicato a papa Giovanni XXIII, provoca controversie al Festival di Venezia, dove ottiene il Premio Speciale della Giuria anziché il Leone d’Ora cui aspirava Pasolini che fu assegnato invece a Deserto rosso di Michelangelo Antonioni.
Il film viene presentato a Notre-Dame di Parigi. In quel periodo la capitale francese si trasforma in un secondo centro di gravità della sua vita intellettuale, come se sentisse la necessità di ampliare il suo dialogo con altri interlocutori che non fossero quelli del proprio paese in cui continuava a polemizzare regolarmente con la stampa. Pasolini scambia le proprie idee e teorie con gli intellettuali francesi più prestigiosi dell’epoca: Jean-Paul Sartre, Roland Barthes, Christian Metz e il suo rivale cinematografico Jean-Luc Godard a cui più tardi chiederà il “prestito” di Anna Wiazemsky e Jean-Pierre Léaud per Teorema e Porcile
PAESI AFRICANI VISITATI
DA P.P.PASOLINI O NEI QUALI IL REGISTA
HA AMBIENTATO QUALCUNO DEI SUOI FILM

COMIZI D'AMORE
In «Pasolini per il cinema», Sceneggiature e trascrizioni,
Appendice a Comizi d'amoreMeridiani Mondadori 2001

[…]
La  gente responde. Un torbellino, un caos.
Una babel de opiniones diferentes.
las más ridiculas, inconcebibles y contradictorias. E ingenuas, infantiles, escandalizadas, «carentemente sensatas, privadas en realidad de qualquier sentido lógico. La gente responde. Está claro que la armazón de la encuesta tendrà que ser muy nitida, casi matemática; pero la realización deberá ser lo mas posible, según el gráfico de las opiniones de la gente sobre los problemas que se plantean.
La encuesta podrà dividirse en dos partes: una primera, en la que prevalecen las
peticiones de opinión al público -un público medio, como el que puebla la sala y que tendrá los ojos puestos en la pantalla, buscando reconocerse en los «tipos» interrogados-; y una segunda parte, mas particularmente dedicada a las opiniones de «los que saben», las opiniones de los hombres de cultura.
Tanto la primera parte como la segunda deberían estar divididas en breves y asimétricos apartados, cada uno con su título (títulos que podrian estar impresos sobre imágenes de animales horrendos, arañas, microbios, amebas, monstruos, serpientes que se devoran...).
El primer apartado podria estar dedicado al lugar que ocupa el sexo en la vida, su peso en los sentimientos, pensamientos e instintos que regulan nuestra existencia cotidiana. El realizador va por la calle, ve a una gruesa ama de casa que vuelve de la compra y le pregunta: «¿Disculpe, qué importancia tiene el sexo en su vida?». Luego ve a un estudiante de secundaria que corre hacia el autobus al salir del instituto, lo detiene y: «¿Qué importancia tiene, o tendrà, el sexo en tu vida?».
Después entra en el despacho de un profesional importante, concentrado en sus papeles bajo un Segantini falso, y de nuevo: «¿Qué importancia tiene el sexo en su vida?».
Probablemente todos negarán que el sexo tenga ninguna importancia en su vida.
Pero en cien o doscientas preguntas que se hagan, seguro que habrá una docena que se puedan seleccionar de manera que se integren recíprocamente; media docena en que precisamente los interpelados se protegerán con hipocresía, alejando de sí la sola idea de que el sexo tenga la menor importancia; y otra media docena, al contrario, en que los interpelados, con humor o con angustia, tendrán el valor de admitir la importancia real del sexo en su vida.
Y en este punto es donde podría intervenir uno de los colaboradores (Moravia, con su barroquismo romano, por ejemplo) sobre el problema: «Sexo: inhibición, hipocresía y convenciones sociales», y su discurso estaría ilustrado tras las primeras frases, por materiales de repertorio (por ejemplo, podrían volver a aparecer las imágenes de los «inhibidos» vistos antes de los titulos de cabecera, los mártires de la represión: anormales, neuróticos, locos, etc.).
Y de esto, que podria ser el tema central de la pelicula -desacralización de los tabúes sexuales, valor de hablar sobre ello, de convertirlo en asunto cientifíco, etc.-, se podrían después derivar los demás apartados de la encuesta, en una barahúnda de preguntas donde los interpelados vendrian a ser prácticamente los mismos espectadores de la pelicula.
Por ejemplo:
«¿Dónde empieza la anormalidad y termina la normalidad en las relaciones sexuales?».
«¿Qué son los sádicos?».
«¿Qué son los masoquistas?».
«¿Qué son los exhibicionistas?».
«¿Qué son los fetichistas?».
«¿Qué son los libertinos?».
«¿Qué relación hay entre alcohol y sexo, entre droga y sexo?».
Dos apartados especialmente importantes podrian estar dedicados a dos problemas muy «populares» en este àmbito: la homosexualidad y la prostitución.
Y luego:
«¿Qué relación hay entre la vida sexual real y la vida matrimonial?».
«¿Qué es el honor sexual?».
«¿Cuàl es la relación histórica entre honor sexual-virginidad, fìdelidad matrimonial y sociedad subdesarrollada?».
«¿En que términos se plantea el problema del divorcio?».
«¿Y el del aborto?».
«¿Y el del contro! de natalidad?».
Toda esta serie de preguntas -con respuestas aberrantes y sintéticas explicaciones de los colaboradores- deberían Ilevarse a cabo bajo el signo de la rapidez y de lo imprevisible. Se podría adoptar para ello la técnica de los realizadores de documentales sensacionalistas -digo la técnica, no los objetivos vulgares y desconsiderados que los presiden-. Las preguntas tendrían que ser fulminantes, duras, sin gracia, lanzadas a bocajarro (se podrían suavizar luego en el doblaje), para arrancar a los interpelados si no la verdad en sentido lógico, al menos su verdad psicológica: una expresión de los ojos, un gesto de escándalo o de rabia, una risa pueden decir mas que un discurso entero. […]
  

[…]
La gente risponde. Un turbinio, un caos, una babilo­nia di opinioni diverse. Le più ridicole, inconcepibili e contraddittorie. E ingenue, infantili, scandalizzate, ap­parentemente sensate, in realtà prive di ogni senso logi­co. La gente risponde. È chiaro che l'intelaiatura dell'in­chiesta dovrà essere nettissima, quasi matematica: ma la realizzazione dovrà necessariamente essere la più ina­spettata, la più imprevista, la più caotica possibile: se­condo il grafico delle opinioni della gente sui problemi che essa pone.
L'inchiesta potrà dividersi in due parti: una prima parte in cui prevalgono le richieste di opinioni del pubblico - del pubblico medio, proprio quello che popola la sala e che sta in questo momento con gli occhi sullo schermo, a riconoscersi nei «tipi» interrogati - e una seconda parte più particolarmente dedicata alle opinioni di «color che sanno», alle opinioni degli uomini di cultura.
Sia la prima parte che la seconda parte dovrebbero essere divise in tanti brevi e asimmetrici paragrafi, ognu­no con un suo titolo (titoli che potrebbero essere stam­pati su immagini di orrendi animali, ragni, microbi, amebe, mostri, serpenti che si divorano...).
Il primo paragrafo potrebbe essere dedicato al posto che occupa il sesso nella vita, il suo peso nei sentimenti, nei pensieri, negli istinti che regolano la nostra esistenza di ogni giorno: il regista va per la strada, vede una grassa massaia che torna dalla spesa, e le chiede: «Scusi, che importanza ha nella sua vita il sesso?». Poi vede uno studentello quindicenne che uscendo dalla scuola corre verso il tram, lo ferma, e: «Che importanza ha, o avrà, nella tua vita il sesso?». Poi entra nello studio di un im­portante professionista, chino sulle carte sotto un falso Segantini, e anche a lui: «Che importanza ha nella sua vita il sesso?».
Probabilmente tutti negheranno che il sesso nella loro vita abbia qualche importanza.
Ma, sulle 100, 200 domande che si faranno, una doz­zina da poter scegliere, in modo che si integrino a vicen­da, ci saranno sicuramente: una mezza dozzina, in cui appunto, secondo ipocrisia, gli interpellati si schermi­ranno, cancellando da sé soltanto l'idea che il sesso pos­sa importare qualcosa; e una mezzadozzina, al contra­rio, in cui gli interpellati avranno, con umorismo o con angoscia, il coraggio di ammettere la reale importanza del sesso nella propria vita.
Ed è a questo punto che potrebbe intervenire uno dei redattori (Moravia, contro il suo barocchetto romano, per esempio) sul problema: «Sesso: inibizione, ipocrisia e convenzioni sociali»: e il suo discorso verrebbe illu­strato, dopo le prime battute, da materiali di repertorio (per esempio: potrebbero ritornare le immagini degli «inibiti» visti prima dei titoli di testa, i martiri della re­pressione: anormali, nevrotici, pazzi ecc.).
E da questo, che potrebbe essere il tema centrale del film: la dissacrazione dei tabù sessuali, il coraggio di par­larne, di farne argomento di scienza ecc. ecc., si potreb­bero poi sgranare tutti gli altri paragrafi dell'inchiesta, in una sarabanda di domande in cui gli interpellati verreb­bero ad essere praticamente gli stessi spettatori del film.
A caso:
«A che punto comincia l'anormalità e finisce la nor­malità nei rapporti sessuali?»
«Che cosa sono i sadici?»
«Che cosa sono i masochisti?»
«Che cosa sono gli esibizionisti?»
«Che cosa sono i feticisti?»
«Che cosa sono i libertini?»
«Che rapporto c'è tra alcol e sesso, tra droga e sesso?»
Due paragrafi particolarmente importanti potrebbero essere dedicati a due problemi molto «popolari», in questo settore: l'omosessualità e la prostituzione.
E poi:
«Che rapporto c'è tra reale vita sessuale e matrimo­niale?»
«Cos'è l'onore sessuale?»
«Qual è il rapporto storico tra onore sessuale-verginità, fedeltà matrimoniale e società sottosviluppate?»
«In quali termini si pone il problema del divorzio?»
«E quello dell'aborto?»
«E quello del controllo delle nascite?»
Tutta questa serie di domande - con relative risposte aberranti e sintetiche spiegazioni dei redattori - dovreb­bero svolgersi sotto il segno della rapidità e dell'impre­visto. Si potrebbe perciò adottare la tecnica dei registi dei cinegiornali scandalistici: dico la tecnica, non certo le ragioni volgari e irrispettose che vi presiedono. Le do­mande dovrebbero essere brucianti, cattive, sgraziate, rivolte a bruciapelo (nel doppiaggio poi si provvederebbe ad addomesticarle), in modo da strappare agli inter­pellati, se non la verità in senso logico, almeno la loro verità psicologica: una espressione degli occhi, un moto di scandalo o di rabbia, una risata, possono dire di più che un intero discorso. […]

IL VANGELO SECONDO MATTEO
segue
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi
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5. Mostra "Pasolini Roma" a Barcellona, 23 maggio-15 settembre 2013

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LA SAGGISTICA - MOSTRE
Pasolini Roma
Mostra a Barcellona
23 maggio-15 settembre 2013
Inaugurazione 22 maggio 2013 ore 19,30

IN SPAGNOLO E IN ITALIANO


5/6

Capitolo V - Una sera del marzo 1966 in un ristorante casca a terra in un lago di sangue dovuto a una emorragia causata da un’ulcera. Viene portato d’urgenza in ospedale e passa un mese di convalescenza nella sua casa, dove scrive i sei pezzi che costituiscono la quasi totalità della sua opera teatrale.
Inizia per Pasolini una fase di disinnamoramento nei confronti di Roma e per come la città si stia mutando, per ciò che dunque ora rappresenta ai suoi occhi. Constata gli effetti devastanti della società dei consumi e della televisione in ciò che aveva tanto amato quando era arrivato in quella città, che ora ha perso ai suoi occhi tutta la sua innocenza. Vede corrompersi la cultura del sottoproletariato romano, a partire dalla quale ha costruito una parte della sua opera narrativa e cinematografica. Tutta l’Italia si è convertita, secondo lui, in piccolo-borghese, con l’eccezione di Napoli che, dice, non cambia. Nel 1967 è molto colpito dalla morte di Totò, che era la fonte della comicità nei suoi cortometraggi e in Uccellacci e uccellini.
Viaggia in Marocco per girare Edipo re a eccezione del prologo che è senza dubbio la sequenza più autobiografica del suo film, girata in Lombardia per evocare la sua infanzia in Friuli.
Arrivano gli avvenimenti del 1968, che in Italia iniziano prima del maggio francese. Pasolini afferma in una sua poesia che crea scandalo, “Il Pci ai giovani!”, che le sue simpatie stanno dalla parte dei poliziotti che sono figli di contadini e non hanno potuto scegliere altro lavoro, e non dalla parte degli studenti, borghesi figli di papà. Con questa tesi provocatrice si confronta con i giovani studenti di Torino, dove ha messo in scena con Laura Betti il suo dramma Orgia.
L’unica luce in questo periodo di disillusione generale è il suo incontro con Maria Callas, alla quale assegna nel 1969 la parte della protagonista nel suo film Medea. Gira il prologo di questo film in Venezia Giulia, e vive con la Callas una relazione unica di intensa e amorosa amicizia. [Trad. it. a.m.]
EDIPO RE
1968 VALLE GIULIA
I PROCESSI A PASOLINI
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6. Mostra "Pasolini Roma" a Barcellona, 23 maggio-15 settembre 2013

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LA SAGGISTICA - MOSTRE
Pasolini Roma
Mostra a Barcellona
23 maggio-15 settembre 2013
Inaugurazione 22 maggio 2013 ore 19,30

IN SPAGNOLO E IN ITALIANO


6/6

Capitolo VI - Nel 1971 Ninetto Davoli gli annuncia che intende sposarsi, cosa che gli causa una profonda depressione. Tra il 1970 e il 1974 si dedica a girare i film della Trilogia della Vita con la speranza dolorosa di ricreare attraverso il cinema in un mondo mitico l’innocenza perduta e pagana dei corpi popolari che amò al suo arrivo a Roma. Va in Inghilterra per girare I racconti di Canterbury, in Egitto, Yemen, India, Iran, Eritrea, Afghanistan e Nepal per Il fiore delle Mille e una notte.
Non appena termina questi film, valuta quanto vi fosse di volontaristico in questo tentativo di fuggire dalla realtà del “genocidio culturale” e abiura solennemente alla Trilogia della vita.
Pasolini prosegue vivendo e lavorando a Roma, però sceglie due località né troppo vicino né troppo lontano dalla città in cui avere due case ideali per l’uomo che è diventato.
La prima, vicino Viterbo, è una casa da scrittore e da pittore. Perché nel frattempo si è messo seriamente a dipingere. Sta addossata alle rovine di una torre medievale, la torre di Chia, che aveva scoperto per caso il giorno in cui girava la scena del battesimo di Gesù nel Vangelo secondo Matteo: una casa che non aveva potuto comprare fino al 1970. E’ una fuga da Roma e da ciò che sta diventando Roma e uno sguardo immaginario al Medioevo e ai suoi anni friulani.
Il soggiorno della casa di Torre di Chia. Pasolini si dedica anche al disegno e alla pittura

La seconda è una casa costruita col suo amico Moravia di fronte al mare sopra le dune di Sabaudia. Sfrutterà poco questa casa in cui non comincia a risiedere fino alla sua ultima estate nel 1975.
La casa di Sabaudia di Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini

Le due grandi opere di questo periodo, che lui non sa essere l’ultimo per lui, sono il libro ambizioso e incompiuto Petrolio e il film Salò.
Nel racconto “totale” Petrolio, Pasolini parla del fascino di Roma e della trasformazione della città durante gli ultimi decenni.
La lavorazione di Salò gli causa minacce di morte, furti dei negativi, pressioni politiche.
Non vedrà l’uscita del suo film poiché la mattina del 2 novembre il suo corpo terribilmente massacrato sarà ritrovato in un pratone dell’idroscalo di Ostia. Ciò che accadde quella notte tuttavia non è stato chiarito: la descrizione dei fatti secondo la confessione di Pelosi attualmente non convince nessuno.

SALO' O LE 120 GIORNATE DI SODOMA

LA TRILOGIA DELLA VITA
DECAMERON

I RACCONTI DI CANTERBURY

IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE


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Una monumentale "lectio magistralis" di Guido Santato su uno dei piu grandi intellettuali italiani del Novecento

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LA SAGGISTICA - LIBRI 
Una monumentale lectio magistralis di Guido Santato
su uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento
Tomáš Matras - 16 aprile 2013

Recensione a: Guido Santato, Pier Paolo Pasolini
L’opera poetica, narrativa, cinematografica, teatrale e saggistica.
Ricostruzione critica.
Carocci editore, Roma, 2012, 592 pp.

[Revisione a.m.]

Guido Santato (* 1946) ha fondato e dirige la rivista internazionale "Studi pasoliniani". E' professore ordinario di letteratura all´Università di Padova ed è l´autore dello primo studio storico critico sull´opera omnia di Pasolini con il titolo “Pier Paolo Pasolini. L´opera” (1980), il quale ha ottenuto il Premio Viareggio per saggistica opera prima. In questa sua prima opera che iniziò a nascere mentre ancora era in vita Pasolini, Santato si oppone alle prepotenti tendenze biografistiche della critica letteraria dell´epoca verso una chiave di lettura teleologica dell´autore. 
Ho in mente soprattutto la morte violenta di Pasolini nel novembre 1975. Nel libro ora esaminato di quasi 600 pagine che apparve sugli scaffali delle librerie italiane alla fine di gennaio di questo 2013, l´autore ha rielaborato completamente e in modo molto ampio il suo primo studio su Pasolini del 1980. Guido Santato in questo libro ha usufruito di diversi approcci critici al tema che generalmente riflettono il progresso della critica letteraria degli ultimi decenni. L´aspetto considerevole è anche l'elaborazione della bibliografia scelta che confluisce organicamente nel testo principale in forma di note a piè di pagina e non forma, com'è d'uso, la propria ampia sezione alla fine del libro. In quanto al materiale esaminato, l'intento di Santato di investigare concisamente l´opera dell´autore lascia da parte veramente solo una parte minore dell´opera di Pasolini.
La ricostruzione critica della maggior parte dell´opera di un autore come Pier Paolo Pasolini non è affatto un'impresa da poco. Anzitutto Pasolini è stato un autore prolifico che ha saputo utilizzare diversi strumenti espressivi e in più la sua opera presenta un osso duro per una comprensione univoca, come conferma lo stesso Santato alla fine della sua opera: «È un'opera che nega al lettore la possibilità di una interpretazione univoca o unilaterale costringendolo al contrario a una tensione critica costante, a una disponibilità intellettuale aperta e irrisolta. Cercare di ridurre a un ordine le contraddizioni di Pasolini privilegiando una chiave di lettura critica che si proponga di risolverle significherebbe ignorare la funzione essenziale che hanno avuto nella sua opera e nella sua vita. L'esperienza dell'antitesi costituisce la più profonda matrice strutturale dell’opera di Pasolini, che al di fuori di essa apparirebbe sostanzialmente incomprensibile. La contraddizione costituisce l´elemento dinamico e tensore che produce l´opera, e che in questa mira non a risolversi ma ad esprimersi.» (pp. 574 – 575). 
Accettare e tollerare questa “contradditorietà di base” dell´opera di Pasolini per una persona che prende posizione in qualità di scienziato accademico, presenta già un passo coraggioso e difficile. Aggiungiamo a questo tutti gli aspetti contraddittori della personalità di Pasolini e del suo ambiente e il lavoro critico può benissimo finire in rovine totali. Però non è il caso del libro recensito. Così come Santato non si è lasciato trascinare dallo sfrenato biografismo, non è caduto neanche nelle trappole poste dall'impossibilità di precisazione univoca dell'interpretazione dell'opera d'autore e non si è lasciato sedurre dalla suggestione dei temi pasoliniani di moda che però riguardano piuttosto la sua influenza sulla società piuttosto che la sua influenza in campo artistico. 
L'autore sviluppa molto accuratamente il suo filone critico sull'opera di Pasolini dai testi scritti e da una loro profonda investigazione filologica. Soprattutto in questo campo i meriti di Santato sono cruciali. E' stato già menzionato che l'approccio dell'autore rifiuta il forsennato agiografismo della maggioranza degli studi pasoliniani emersi soprattutto dopo la morte violenta di Pasolini. Questo non significa però che le informazioni biografiche chiave non siano presenti nel libro, solo si rafforzano laddove è possibile provare che abbiano avuto una oggettiva influenza sull'opera dell´autore. Con tutta la varietà e l´inafferrabilità del magma del corpus scritto di Pasolini è molto interessante osservare il cemento di tutto il lavoro critico di Santato che è formato da un numero piuttosto ridotto delle variabili che costantemente girano intorno alla poetica di Pasolini, una specie di filo rosso che colora significativamente tutta l'opera del Nostro.
Guido Santato è abilissimo a collocare l´opera di Pasolini nel contesto della cultura e critica mondiali, presenta innumerevoli nessi importanti sia all'interno sia all'esterno dell´opera esaminata.  Nel caso della vasta documentazione di Santato sulla vita e opere di Pasolini è molto importante progettare accuratamente l´armonia tra l´estensione dell´opera e la profondità dell´investigazione, insomma l'armonia tra aspetti esaminati, in modo tale da rendere ben leggibile il testo impegnato in maniera multiforme. Si può osservare molto bene questa sottile armonia tra leggibilità e impegno già nella Introduzione, ma ancor più nello stile d'autore implementato nella parte principale del libro ed anche nell'accurata scelta delle note a piè di pagina. Il libro è precisissimo nei termini utilizzati. Qualsiasi sia l'influenza rivelatrice degli aspetti dell'opera pasoliniana per i lettori in Italia, mi permetto di affermare che il suo apporto sia fondamentale soprattutto fuori dall'area accademica italiana.
Con ciò intendo dire ad esempio che la parte più estesa e chiave del libro recensito è costituita dall'opera iniziale a dagli esordi artistici di vario genere, mentre sorprendentemente una parte minore dello studio critico è dedicata ad esempio alla tarda opera saggistica o cinematografica. Una graduale rivelazione del ghiacciaio sommerso che tutta l´opera scritta di Pasolini presenta, soprattutto per un lettore straniero è una esperienza eccitante e intensa. La stessa conoscenza delle basi dell´architettura e della compattezza dell´opera di Pasolini è una importante scoperta. Il fatto più interessante a questo proposito è che, per quanto riguarda il mondo ideale pasoliniano, in un tempo relativamente breve all'inizio della sua carriera artistica Pasolini conobbe e acquisì come suo un gruppo piuttosto esteso di aree tematiche che lo accompagnarono senza interruzione durante tutto il suo percorso creativo. 
Un passaggio più rilevante nei termini della tematica non si trova nelle fasi avanzate della sua opera, come se tutto quello che è importante nella vita artistica dell´autore fosse accaduto nei primi ambienti di forte ispirazione che Pasolini aveva conosciuto: il Friuli rurale e la Roma sottoproletaria. Da questo punto di vista la comprensione del periodo friulano e il trasferimento al periodo romano di Pasolini sembrano aspetti chiave per la comprensione di tutta la sua opera. Nonostante ciò al lettore straniero rimarrà inaccessibile la maggior parte del mistero dell´opera di Pasolini in friulano. Abbiamo però la preziosa opportunità di investigare la relazione umana e artistica di Pasolini con questa lingua, originariamente romanza, che al tempo del suo esordio in friulano con Poesie a Casarsa (1942) non era la lingua di Pasolini e pensando al fatto che a casa sua si parlava l´italiano e sua madre parlava soprattutto il dialetto veneto e il friulano lo usava ben poco. 
Sapremo ad esempio che Pasolini è stato il primo artista in assoluto che ha dato forma scritta alla variante casarsese del friulano, del quale lui fece la sua lingua di poesia autonoma e attuale del “contatto immediato con la realtà.” Questo approccio astorico e attualizzante di un felibrista alla lingua tradizionale e la sua nuova formulazione nella forma più attuale della lingua di poesia purificata con diverse contaminazioni di vari generi rimase tipico nell'opera pasoliniana. Lui stesso sapeva molto bene che simili tendenze pluristilistiche e plurilinguistiche erano state adoperate per la prima volta da Dante Alighieri. Questo fatto gli conferma di gran lunga i propri intenti poetici. Il lettore della monografia di Santato dunque ha bisogno di tenersi in equilibrio in maniera molto accurata come si trattasse di un lettore dei libri di Pasolini stesso. Una dinamica multiforme e selvaggia della poetica di Pasolini non viene in nessun modo abbellita dal lavoro di Santato.
I materiali testuali presentano l'area nella quale Santato si muove con una grande erudizione e cultura. Fortunatamente per noi e per la critica letteraria che si fonda sulla filologia, Pasolini durante tutto il suo percorso creativo non ha mai abbandonato la parola scritta, anche se apprezzava molto anche la lingua orale che volle aggiungere alla dualità sausseriana di langue e parole. La ricerca di una lingua perfetta condusse Pasolini nelle diverse forme in cui si espresse: nella musica, nella pittura, nella poesia, nella prosa, nella saggistica, nelle opere teatrali e soprattutto nel cinema, che lui stesso considerò il “codice dei codici”, “Ur-codice”, “la lingua scritta della realtà”. L'essenza testuale e filologica di Guido Santato si rivela con una certa discrezione anche ad altro oltre che al materiale scritto, soprattutto per una compiutezza dell'investigazione tematica. Possiamo anche immaginare che a proposito di alcune opere di Pasolini vi saranno più informazioni biografiche. D'altro canto non possiamo aspettarci dallo storico letterario del livello di Guido Santato una speculazione sfrenata ad esempio sul tema del “capitolo mancante, Appunto21” dell´ultimo romanzo incompiuto di Pasolini, Petrolio o sul tema della morte violenta dell´autore. Tutti i dati contenuti nel lavoro critico sono documentabili e comprovabili. L´autore ha a sua disposizione una innumerevole quantità di documenti pregiati che sono del tutto inaccessibili al lettore comune. Santato presenta tutte le sue fonti e anche quelle che, a quanto pare, sono meno credibili.
Guido Santato ha eseguito un grande lavoro filologico accuratissimo  Non ci credete neanche dopo aver letto questa recensione? Se vi manca la bibliografia scelta alla fine del libro, potrete cercare di mettere alla prova l'autore. Sfogliate alla fine del libro l´elenco di tutte le persone menzionate nell'opera. Scommetto che tra questi nomi non manca nessuno di quelli importanti per Pasolini e anche tra quelli a prima vista marginali avrete molto da fare per trovare una omissione. A questo proposito cito l'esempio dell'autrice del sito mondiale pasoliniano www.pasolini.net, Angela Molteni, e la sua opera Enigma Pasolini (2010), il quale come e-book circola liberamente su internet. Oppure, si possono investigare in dettaglio i nessi tra le numerose notizie a piè di pagina, le quali creano una certa opera autonoma e parallela al testo principale. La precisa cronologia presentata nel libro e la sua articolazione consentono una nuova visione del corpus testuale pasolinano e il lettore attento dovrebbe essere preparato a sfogliare bene tra le diverse pagine se non dovesse essere in grado di mettere in rilievo tutte le connessioni necessarie del testo. Per coloro cui piace un italiano quasi perfetto ed accurato e non crede che Pasolini debba essere dimenticato, il libro appropriato è questo. Soprattutto l'opera di Guido Santato può aiutare coloro che percepiscono Pasolini solo come un omosessuale eccentrico che provoca lo scandalo. O soltanto come un regista cinematografico in gamba. O, come a volte mi succede personalmente, solo come un acuto e preciso critico della società postmoderna. Questo autore è infatti molto di più anche grazie al libro di Santato. Si consideri soltanto lo sperimentalismo linguistico di Pasolini nei diversi campi artistici, o quanto il suo vivere dall'interno e in modo impegnato il mondo attorno a lui possano essere considerati una importante fonte di ispirazione.
© Tomáš Matras
*   *   *


Guido Santatoè professore ordinario di Letteratura italiana all'Università di Padova e membro associato del Groupe d'Etude et de Recherche sur la Culture Italienne dell'Université Stendhal -Grenoble 3. Si è interessato prevalentemente alla letteratura del Settecento e del Novecento, dedicando particolari indagini a Vittorio Alfieri. Ha pubblicato i volumi Pier Paolo Pasolini. L'opera (1980, Premio Viareggio per la Saggistica Opera prima), Alfieri e Voltaire. Dall'imitazione alla contestazione (1988), II giacobinismo italiano. Utopie e realtà fra Rivoluzione e Restaurazione (1990), Lo stile e l'idea. Elaborazione dei trattati alfieriani (1994), Tra mito e palinodia. Itinerari alfieriani (1999), Letteratura italiana del secondo Settecento. Protagonisti e percorsi (2003), Nuovi itinerari alfieriani (2007). Ha curato l'edizione commentata dell'Esquisse du jugement Universel di Alfieri (2004) e la realizzazione del CD-Rom Vita di Vittorio Alfieri (2005). Ha collaborato a opere collettive di storiografia letteraria. Ha fondato e dirige la rivista internazionale "Studi pasoliniani".

Tomáš Matrasè uno studioso della figura e dell’opera di Pier Paolo Pasolini. Vive e opera nella Repubblica Ceca. Si è laureato nel 2003 alla Facoltà di Filosofia della Univerzity Palackého – con una tesi dal titolo Temi e aspetti del Pasolini corsaro e luterano. Questo suo lavoro costituisce un contributo molto significativo alle tesi socio-politico-antropologiche espresse da Pier Paolo Pasolini nei suoi Scritti corsari e Lettere luterane. Da questi due volumi pasoliniani Tomáš Matras ha tradotto in ceco e pubblicato con l’editore Fra di Praga una scelta di brani in lingua ceca, Pasolini: zuřivý vzdor (Pasolini: una sfida rabbiosa): si tratta di un primo incontro dei lettori del suo Paese con queste opere. Nella sua tesi sono particolarmente interessanti le analisi magistralmente approfondite sulla situazione storica dell'Italia del cosiddetto "miracolo economico", sul consumismo e sull'omologazione culturale sofferte dai cittadini italiani e ripetutamente denunciate da Pasolini. Tuttora Tomáš Matras partecipa nella Repubblica Ceca a convegni e tavole rotonde sulla figura e l’opera di Pier Paolo Pasolini; l’ultima di tali iniziative, promossa dall’Istituto Italiano di Cultura di Praga, l’ha visto tra i relatori. Collabora a riviste letterarie, in particolare alla più importante del suo Paese: “iLiteratura.cz”, http://www.iliteratura.cz/

Link alla tesi di laurea di Tomáš Matras
Link all’iniziativa dell’Istituto Italiano di Cultura di Praga (2012)
Link al libro di di Tomáš Matras Zuřivý vzdor
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Mostra delle foto di Roberto Villa da “Il fiore delle Mille e una notte” - Buenos Aires rende omaggio a Pier Paolo Pasolini

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LE NOTIZIE
Mostra delle foto di Roberto Villa
da “Il fiore delle Mille e una notte”
Buenos Aires rende omaggio a Pier Paolo Pasolini

L’Oriente di Pier Paolo Pasolini. “Il fiore delle Mille e una notte” nelle fotografie di Roberto Villa. È questo il titolo di una mostra, che si terrà a Buenos Aires dal 4 al 30 giugno 2013, organizzata dal consolato generale italiano nella capitale argentina, dalla Cineteca di Bologna, dalla Cinemateca Argentina e dall’Istituto italiano di cultura (Iic) di Buenos Aires. L’obiettivo dell’iniziativa è rendere omaggio al grande intellettuale italiano a 90 anni dalla sua nascita.
“Il fiore delle Mille e una notte”, ultimo film della “Trilogia della vita” di Pasolini, nacque da lunghi viaggi in paesi remoti e arcaici come l’Iran e lo Yemen. Viaggi che ebbero un testimone: Roberto Villa, un fotografo che condivise con il regista e la troupe alcune settimane sul set. Ne derivarono alcune splendide fotografie che restituiscono la magia figurativa e la fisicità popolare del film più visionario di Pasolini e ne arricchiscono la conoscenza con uno sguardo sul mondo arabo che lo ha ispirato.
La mostra raccoglie una serie di 110 fotografie inedite di Villa che mostrano i corpi e i luoghi all'origine dell'immaginario pasoliniano e alcuni ritratti del poeta-regista al lavoro sul set, accompagnate da rare interviste e testi di Pasolini su una concezione antropologica, narrativa ed estetica che si contrapponeva allo “sviluppo senza progresso” del presente. All’evento, peraltro, saranno presenti lo stesso Villa – che terrà anche una serie di conferenze – e sua moglie Rosalba Trebian, curatrice del Fondo intitolato al fotografo.

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La Trilogia della Vita di Pasolini nella Criterion Collection con dossier audiovisivi del Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini della Fondazione Cineteca di Bologna

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"Pagine corsare"
IL CINEMA
La Trilogia della Vita di Pasolini
nella Criterion Collection
Con dossier audiovisivi delCentro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini
della Fondazione Cineteca di Bologna.
Una nuova collaborazione editoriale fra la prestigiosa collana statunitense
e il Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini di Bologna

È in uscita in tutte le librerie e negozi di dvd statunitensi il cofanetto Trilogy of Life, che contiene le edizioni restaurate dei film che compongono la Trilogia della vita di Pier Paolo Pasolini – Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle Mille e una notte (1974).
All'inizio degli anni '70, Pasolini contrappose all'abbrutimento della massificazione consumistica e della Tv, l'esaltazione di un eros 'innocentemente' spregiudicato e scandaloso, in una trilogia che definì “della vita” e che si ispirava ai capolavori di Boccaccio, Chaucer e alla novellistica araba.
Narrati “per il puro piacere di raccontare”, in realtà i tre film sono molto diversi l'uno dall'altro e adombrano, in forme più o meno dissimulate, il rifiuto pasoliniano contro il divenire piccolo-borghese dell'Italia e l'incombere funereo della fine di un mondo e di un “modo di essere uomini”.
L'edizione curata dalla Criterion Collection comprende testi e numerosi documenti audiovisivi e fotografici di grande interesse – fra i quali alcune rare fotografie scattate da Roberto Villa sul set di Il fiore delle Mille e una notte.
Inoltre, dopo il dvd di Salò o le 120 giornate di Sodoma, questa edizione costituisce una nuova collaborazione fra Criterion Collection e il Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini della Fondazione Cineteca di Bologna. Vengono infatti pubblicati per la prima volta due dossier curati dal Centro Studi Pasolini:

Il corpo perduto di Alibech
Il Decameron avrebbe dovuto inanellare dieci racconti: il decimo, Alibech, fu l'unico girato da Pasolini fuori dall'Italia, a Sana'a. Ma, a malincuore, decise di tagliarlo dall'edizione definitiva del film. Il Centro Studi Pasolini ha riunito alcuni materiali inediti sull'episodio perduto - come le fotografie di scena di Mario Tursi - ricostruendone la storia attraverso testimonianze dei collaboratori di Pasolini, la sceneggiatura originale e rari documenti d'archivio.

L'umiliazione segreta di Chaucer
La prima edizione dei Racconti di Canterbury presentata al Festival di Berlino del 1972, (dove vinse l'Orso d'oro), comprendeva venti minuti in più rispetto a quella che conosciamo. I tagli effettuati da Pasolini si riferivano alla cornice narrativa (il viaggio dei pellegrini) e ad un episodio: questo dossier ricostruisce il tormentato montaggio del film, mostrando le foto di scena dei brani tagliati, interviste a Beatrice Banfi, Laura Betti, Mimmo Cattarinich, Nico Naldini, Enzo Ocone e altri rari documenti.

Entrambi i documentari presentano fotografie di scena e set e altro materiale inedito. 

Per i dettagli sull'edizione Criterion della Trilogia della Vita: 
http://www.criterion.com/boxsets/916-trilogy-of-life

L'edizione comprende:
New digital restorations of all three films, with uncompressed monaural soundtracks
New visual essays by film scholars Patrick Rumble and Tony Rayns, on The Decameron and Arabian Nights, respectively
New interviews with production designer Dante Ferretti, composer Ennio Morricone, and film scholar Sam Rohdie
Introduction to Arabian Nights by director Pier Paolo Pasolini
The Lost Body of Alibech, a documentary by Roberto Chiesi about a lost sequence from The Decameron 
The Secret Humiliation of Chaucer, a documentary by Roberto Chiesi about The Canterbury Tales
Via Pasolini (2005), a documentary featuring archival footage of Pasolini discussing his views on language, film, and modern society
Pasolini and the Form of the City (1974), a documentary by Pasolini and Paolo Brunatto about the Italian cities Orte and Sabaudia
Deleted scenes from Arabian Nights
Pasolini-approved English-dubbed track for The Canterbury Tales
Trailers
New English subtitle translations
A booklet featuring essays by critic Colin MacCabe; Pasolini’s 1975 statement Trilogy of Life Rejected; excerpts from Pasolini’s Berlin Film Festival press conference for The Canterbury Tales; and a report from the set of Arabian Nights by critic Gideon Bachmann
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi
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Terracina. Progetto mostra "Pasolini e vicolo Rappini tra pescatori e mare"

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LE NOTIZIE
Progetto mostra “Pasolini e vicolo Rappini
tra pescatori e mare”
www.TerracinaBlog.com, 1° giugno 2013


Pier Paolo Pasolini visse a metà anni Cinquanta proprio nella nostra città e, più precisamente, in vicolo Rappini, il “vicolo dei pescatori” dove ha voluto ambientare il suo racconto inedito “Terracina”.
Quando si trovava a Terracina, Pasolini raggiungeva i pescatori sempre al porto alle prime luci dell’alba quando rientravamo con le lampare, dopo la notte trascorsa in mare aperto: puntualmente lui stava sempre là, e rimaneva ad osservarli mentre sbarcavano e portavano il pesce a terra.
Il racconto inizialmente doveva far parte del romanzo “Ragazzi di Vita”, ma fu scartato dall’autore e trovò spazio nelle “Storie della città di Dio”, raccolta di prose pasoliniane uscita postuma a cura di Walter Siti nel 1995.
“Terracina” racconta di due adolescenti, Luciano e Marcello, che con un sotterfugio si procurano due biciclette per arrivare nella cittadina del sud pontino con una gran voglia di mare. E’ la storia di un idillio marino, che, attraverso un’attenta descrizione degli attrezzi e delle varie procedure, esprime una grande stima per il mestiere del pescatore e rende soprattutto conto della tremenda forza di attrazione del Mare Mediterraneo e dell’incanto che ne prova in primo luogo Luciano, alias Pasolini.
Il racconto fu ritrovato nel giugno 1999 presso il Fondo Pasolini di Roma da un classe dell’Istituto Tecnico Bianchini, guidata dal Prof. Giovanni Iudicone.
Una targa sulla porta della casa di vicolo Rappini, dove ha vissuto lo scrittore, ricorda quest’episodio.
La mostra “Pasolini in Vicolo Rappini tra Mare e Pescatori” promossa dalla FIDAPA di Terracina, è una raccolta di espressioni artistiche di varia natura  ispirate al mare di Terracina e al mondo della pesca e vuole essere un omaggio alla città e all’autore sottolineando allo stesso tempo la sensibilità e competenza artistica di un gruppo di donne legate alla nostra città. Essa si articola in due eventi distinti:
- Mostra delle opere realizzate sul tema mare e pesca a Terracina in Vicolo Rappini. Le opere presentate potranno essere sia di pittura (qualsiasi tecnica), fotografia, ceramica, poesia, musica per un numero massimo di 4 opere .
- Lettura di brani e poesie con sottofondo musicale

MODALITA’  DI SVOLGIMENTO
8 giugno  Apertura della mostra ore 11, con intervento delle autorità e rappresentanze FIDAPA
Dalle 18 alle 20  lettura di poesie e racconti e di brani tratti dal racconto “Terracina“ di Pasolini, con accompagnamento musicale. Ore 24 chiusura della mostra.

PARTECIPANTI
SEZIONE PITTURA – SEZIONE POESIA – SEZIONE CERAMICA –  SEZIONE SCULTURA -
SEZIONE ARTIGIANATO -SEZIONE FOTOGRAFIA
A cura di FIDAPA di Terracina

vedi link:
http://www.pasolini.net/contr_iudicone-targa.htm
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Destra e sinistra nella morte di Pasolini, di Aldo Riccadonna

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LA SAGGISTICA
Destra e sinistra nella morte di Pasolini 
Aldo Riccadonna, 2 giugno 2013


Tanti anni fa è stato ucciso Pasolini. Pino Pelosi, che aveva confessato un omicidio a sfondo sessuale, ha ritrattato ed adesso afferma di essere innocente e che altri hanno ucciso Pasolini: lui era solo presente, è stato minacciato dagli assassini, finora ha taciuto per paura. Si fa di nuovo largo l’ipotesi, subito emersa trentacinque anni fa, di un agguato forse politico, una esecuzione fascista contro un comunista molto presente sulla scena italiana, una voce capace di spaccare l’opinione pubblica e politica.
Sostenere questa ipotesi rende giustizia al poeta?
Nel 1970 Pasolini gira un breve documentario nella capitale dello Yemen del nord, Sana’a, “in nome della grazia dei secoli oscuri, in nome della scan­dalosa forza rivoluzionaria del passato”[1]. Non solo le mura di Sana’a erano in pericolo, bensì lo erano anche un’intera cultura, un intero mondo, una visione del mondo coi suoi valori. Sana’a assurge a simbolo del Passato, ormai unico baluardo rivoluzionario contro il presente trionfante: questa è l’utopia pasoliniana. Egli sente che il Terzo Mondo, come lui lo aveva conosciuto, sta scomparendo irreversibilmente; la configura­zione urbana, il rapporto della città con il circondario: tutto viene distrutto per una specie di snobismo oc­cidentalizzante. Il nuovo spirito non proviene solamente dagli invasori occidentali capitalisti, ma anche da quelli comunisti. Le minoranze rivoluzionarie hanno portato la democrazia in un paese medievale. Per primi sono giunti i cinesi a costruire strade. La loro pre­senza è carismatica e “i loro corpi hanno la natura delle apparizioni”. Con le strade sono giunti i primi beni della civiltà industriale, non importa se capitalista o socialista. “La scelta neocapitalistica o socialista sono interscambiabili. Ambedue i modelli appartengono ad un mondo ugualmente avanzato, che, dall’alto della sua modernità, manda tecnici che sono, in definitiva, ugualmente repressivi […]. I feudatari, i ca­pitribù, ecc. erano certamente più vicini al popolo che non i «benefattori» occidentali o orientali [..] Voglio dire con questo che una condizione umana medioevale o preistorica è migliore di una situazione umana bor­ghese o socialista? Sì, voglio dire questo. […] Da che punto del mondo io contesto disperatamente tutto questo? È chiaro: da un punto del mondo dove urge un desiderio folle di regresso. Ma non c’è progresso senza profondi recuperi nel passato, senza mortali nostalgie per le condizioni di vita an­teriori: dove si era comunque realizzato l’uomo spendendovi interamente quella cosa sacra che è la vita del corpo”[2].
Qui non si parla più di destra e sinistra, di fascismo e comunismo, come di due mondi contrapposti. La contrapposizione è invece tra mondo contadino, preindustriale, umanistico e mondo neocapitalistico, consumistico, tecnocratico. La rivoluzione interna capitalistica, dovuta all’applicazione della scienza, “viene così a porsi come il momento più importante dell’umanità dopo quello della prima seminagione lungo il Nilo dodicimila anni or sono - che, ponendo le basi della civiltà agricola e artigiana, resta il segno dominante di tutta la sto­ria e l’arte umana fino a pochi anni fa”[3]. Questa “nuova era dell’umanità” che relega irreversibilmente nel passato l’altra epoca durata dodicimila anni, è uno dei temi fondamentali di tutta l’opera e il pensiero pasoliniani: “Non siamo più di fronte [...] a «tempi nuovi», ma a una nuova epoca della storia umana: di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche”[4].
La scandalosa forza rivoluzionaria del passato è un’idea che si affaccia anche in altri autori. Certamente in Pasolini è prorompente ed assoluta - ma egli non è voce del deserto. “Mentre il progresso scatenato si rivela come non immediatamente identico al progresso dell’umanità, il suo contrario può rappresentare il suo ultimo rifugio”[5]. Il contrario è ovviamente il regresso. Ma Pasolini non scorge più alcun futuro, se non quello neocapitalistico: “Io sono una forza del Passato. \ Solo nella tradizione è il mio amore”[6]. È la tragedia di un sopravvissuto. Eppure il poeta è più moderno di ogni moderno: il suo privilegio d’anagrafe lo pone nella condizione di esser vissuto nella vecchia era dell’umanità e di aver subìto lo smacco della sua rovina. Pasolini rivendica con orgoglio la comprensione profonda e drammatica del tempo pre­sente, pur essendo egli un sopravvissuto di un’altra epoca, oppure proprio per questo: solo chi è testimone dell’alterità può comprendere, mentre è dubbio che coloro che si sono buttati trionfalmente e ottimisticamente nel nuovo mondo ed hanno dimenticato o non vissuto per nulla l’altro mondo, posseggano un barlume delle differenze abissali tra i due. Per molti Pasolini fu un inattuale, un pre-moderno, un regressivo, un anti-laico, non capì la nuova civiltà industriale e l’illuminismo moderno - eppure pochi come lui ne seppero cogliere i sostrati profondi. Solo chi comprese alle radici l’attualità poté farne una critica così pregnante e densa di significati. “Essa [la filosofia critica] è ad un tempo estranea all’esistente e capace di comprenderlo intimamente”[7].
L’eretico Pasolini, che sta abbandonando la classica dicotomia destra-sinistra, si chiede se le parole «sviluppo» e «progresso» siano sinonimi oppure delineino due cose opposte. Lo «sviluppo» appartiene alla destra, agli industriali che intendono potenziare la produzione ed il consumo. I consumatori di beni superflui sono d’accordo con questo sviluppo, in quanto li affranca dalla povertà con conseguente abiura dai valori antichi. Invece il «progresso» lo vuole la sinistra, che intende bat­tersi idealmente e materialmente per la fine dello sfruttamento. È chiaro che un progresso di tale specie abbi­sogna di uno sviluppo materiale dei beni (ed è ciò che ha fatto l’URSS ai tempi di Lenin e di Stalin). In Italia e nel tempo presente (anni ’70), tuttavia, lo sviluppo è solamente quello consumistico: quindi la sinistra che vuole il progresso deve accettare questo sviluppo ormai consolidato. Questo per Pasolini è contraddittorio: bisogna sempre avere in mente la diversità dell’idea di progresso da quella di questo sviluppo. Dun­que attualmente sviluppo e progresso sono concetti opposti e il ruolo dei comunisti dovrebbe essere quello di fare in modo che coincidano, ovviamente con la realizzazione di un altro sviluppo che sia diverso dall’odierno. Tuttavia anche l’idea di progresso sembra relegata nel passato umanistico, che viene superato, travolto dallo sviluppo, che si presenta come il massimo del benessere assieme al massimo dell’alienazione. A questo sviluppo, secondo Pasolini, bisogna ribellarsi, perché è un errore pensare che sia l’unico possibile.
Il 1973 è l’anno della crisi economica di tutto l’Occidente. Per Pasolini è necessario tornare indietro e ricominciare daccapo: egli precisa di non rifiutare la tecno­logia, bensì questa tecnologia. Tornare alla povertà e andare avanti saltando l’epoca neocapitalistica, che è stata un malaugurato incidente della storia. L’ultimo Pasolini, pur deluso, ha ancora questa speranza utopi­stica ed antistorica: la recessione dimostra che il neocapitalismo non è l’unico sviluppo attuabile, esso ha dimostrato i suoi piedi d’argilla. Allora i comunisti, a cui il poeta instancabilmente si rivolge, non devono più aiutare questo sviluppo, ma opporvisi.
Pasolini dice “di provare una grande nostalgia per la povertà, mia e altrui, e che ci eravamo sbagliati a credere che la povertà fosse un male. Affermazioni reazionarie, che io tuttavia sapevo di fare da una estrema sinistra non ancora definita e non certo facilmente definibile”[8].

“Io pronuncio da qualche tempo proposizioni reazionarie. E sto pensando a un saggio intitolato «Come recuperare alla rivoluzione alcune affermazioni reazionarie?»”[9]
“Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo! La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per venti trent’anni non è più cambiata: non dico i suoi valori - che sono una parola troppo alta e ideologica per quello che voglio semplicemente dire - ma le apparenze parevano dotate del dono dell’eternità: si poteva appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione, ché tanto quella meravigliosa cosa che era la forma della vita, non sarebbe cambiata”[10].

Durante il fascismo, l’Italia era rimasta intatta, nella sua miseria e nella sua cultura «popolare»: il fascismo aveva coinvolto e corrotto alcune centinaia di migliaia di italiani, gli altri quaranta milioni non erano stati «toccati» dal fascismo, perché la repressione fascista era ancora una repressione di tipo ar­caico, che richiedeva sottomissioni, ma non era in grado di trasformare se non superfi­cialmente i vecchi modelli umani.
Il rimpianto del passato è anche rimpianto del fascismo. Qualcuno ha voluto equivocare su questa comparazione, ma per Pier Paolo Pasolini era una comparazione casuale, essendo un caso che lui avesse co­nosciuto il mondo “com’era prima dello sviluppo” in epoca fascista. Da notare che Pasolini accomunava al fascismo anche i primi vent’anni di potere democristiano, il quale non fu altro che una continuazione di quello precedente. “La fine del fascismo segna la fine di un’epoca e di un universo. È finito il mondo conta­dino e popolare”[11]. Il fascismo era un regime solo di facciata, che lasciava sussistere l’alterità, le mille alte­rità delle varie culture. “Il fascismo ha un fascino che nessuno finora ha mai voluto non solo ammettere, ma neanche osservare imparzialmente. Esso è stato il «male» in un universo in cui il «bene» era in realtà invincibile. Esso ha profanato qualcosa che non era profanabile. [...] È la povertà che ha reso per molti secoli il mondo un sacrario improfanabile”[12]. Anche il fascismo comunque, dove ancora esiste obsoleto, è anch’esso una barriera al neocapitali­smo (ed infatti quest’ultimo non sa che farsene del fascismo, ed anzi lo ritiene una palla al piede). Anche se il fascismo protegge il passato solo a parole e distorcendo i valori reali popolari, basati sulla famiglia e sulla religione, con la retorica, “comunque i villaggi delle Madonie e Sana’a sarebbero stati salvi un poco più a lungo in regime fascista: peccato davvero non poterlo sopportare!”[13]
Pasolini si fa un vanto di essere accusato di conservatorismo, perché questa è una cosa che poteva terrorizzare una persona dieci anni prima, negli anni '50 o '60, ma poi le cose sono cambiate, e cita il padre della pedagogia americana, della permissività totale, assoluta, Benjamin Spock, quello sulle cui teorie si è fondata tutta la pedagogia di questi ultimi anni: anche lui ha fatto marcia indietro, anche lui non ha paura di essere chiamato reazionario.
L’ultima raccolta di poesie pubblicata dal Pasolini vivo è La nuova gioventù, e l’ultima poesia della raccolta è Saluto e augurio. Il poeta si rivolge a un ipotetico giovane, un giovane fascista, suggerendogli quale do­vrebbe essere una vera destra, un fascismo privo di violenza, di ignoranza, di volgarità, di bigotteria: “la chiama «destra sublime», una destra che coinvolga, inglobi una serie di problemi, che è assurdo che diventino appan­naggio dei fascisti; sono valori, temi, problemi, amori, rimpianti, che in fondo valgono per tutti; se ne sono appropriati i fascisti per ragioni retoriche, per sfruttarne il senso. In realtà sono temi di tutti, però in tutti noi, in chi è progressista e democratico e vuole andare avanti, questi temi sono una specie di palla al piede, di «pesante fardello», come dice il pro­tagonista, che quindi in un certo senso lo scarica sulle spalle di un giovane dicendo: cambia il tuo modo di essere fasci­sta; avanti, dice, certo non con camicia nera, né camicia bruna, semmai camicia grigia”[14].
Costui è un giovane studente fascista; il poeta sa bene che è un morto, non libero né sincero, tutta­via magari ama ancora il greco e il latino, ha i capelli corti, vive in un paese, è insomma un retrogrado, uno degli ultimi retrogradi. Si tratta dunque di una destra utopistica, idealizzata. Pasolini vuole scaricare il “pesante fardello” sulle spalle di questo giovane. Da una parte egli si è convinto che per andare avanti con un vero «sviluppo» che sia connaturato al «progresso», è necessario abbandonare l’antico mondo della po­vertà, anche se bisogna ritornarvi per incominciare tutto da capo. Dà l’incarico di questo ritorno al giovane fascista (si ricordi come per Pasolini il fascismo era pur sempre una barriera al neocapitalismo), perché le spalle del poeta si sono ormai indebolite. Da un’altra parte questo scaricamento può significare una scon­fitta: l’umorismo, di cui Pasolini dice di essere stato invaso, un riso amaro sulle illusioni, lo porta ad adat­tarsi a ciò che non avrebbe mai pensato di adattarsi. Il poeta è stanco di lottare, mentre un giovane pieno di (stupide) illusioni potrebbe ancora entusiasmarsi per l’utopia. La Destra sublime è dentro di noi nel sonno, dice il poeta: un sogno, un mito, una fantasia, un gioco, una bugia, uno scandalo, un futuro.
Dopo essersi scaricato del “fardello”, il poeta potrà finalmente camminare leggero come un folletto, “scegliendo per sempre la vita, la gioventù”[15].
È chiaro che tutto questo non significa minimamente, come taluni hanno sostenuto, che Pasolini fosse approdato alla fine del suo accidentato percorso nell’area della destra; lui fu sempre comunista, ma questa dicotomia la sentì ormai effimera, transeunte, svaporata, obsoleta.
Se è avvenuto un delitto che intendeva scaturire dalla contrapposizione classica destra-sinistra, sia chi lo ha perpetrato, sia chi lo ha invocato per celebrare un martirio, non ha centrato il bersaglio della storia. Se Pasolini è stato ucciso da un delitto fascista, esso non appartiene a Pasolini e non gli conferisce alcun onore, oppure gli conferisce un onore ben più alto, quello che si tributa inconsapevolmente a un più moderno di ogni moderno: l’onore di non essere compreso.

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[1] Dall’appello all’UNESCO letto da P.P.P. (ora in Laura Betti, Michele Gulinucci (a cura di), Pier Paolo Pasolini: Le re­gole di un’illusione. I film, il cinema, Associazione «Fondo Pier Paolo Pasolini», Milano, Garzanti, 1991, p. 265). 
[2] Dall’intervento di P.P.P. alla “Conferenza stampa della Lega italo-araba”, Roma, ottobre 1974 (ora in L. Betti, M. Gulinucci, op.cit., pp. 267-268). 
[3] P.P.P., “Dal laboratorio (Appunti en poète per una linguistica marxista)”, in Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1977, p. 65). 
[4] P.P.P., Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1975, p. 164. 
[5] Theodor W. Adorno, Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1951 (tr. it. di Renato Solmi, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, 1979, p. 150). 
[6] P.P.P., Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1976, p. 22. 
[7] Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, Dialektik der Aufklärung, Philosophische Fragmente, Amsterdam, Querido Verlag, 1947 (tr. it. di Lionello Vinci, Dialettica dell’illuminismo, 1967, p. 261. 
[8] P.P.P., Scritti corsari, cit., pp. 224. 
[9] P.P.P. cit. in Enrico Magrelli (a cura di), Con Pier Paolo Pasolini, Roma, Bulzoni, 1977, p. 100. 
[10] P.P.P., Scritti corsari, cit., pp. 179-180. 
[11] P.P.P., Petrolio, Torino, Einaudi, 1992, p. 501. 
[12] P.P.P., Descrizioni di descrizioni, Torino, Einaudi, 1979, pp. 162-163. 
[13] P.P.P., Io e Boccaccio, “Espresso colore”, Roma-Mi­lano, n. 47, 24 novembre 1970 (ora in L. Betti e M. Gulinucci, op.cit., p. 255). 
[14] P.P.P., Volgar’ eloquio, Napoli, Athena, 1976, pp. 33-34. 
[15] P.P.P., Seconda forma de «La meglio gioventù», in La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Torino, Ei­naudi, 1975 p. 259.

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Appunti su Medea di Euripide e di Pasolini, di Roberto Bertoni

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IL CINEMA - E LA LETTERATURA
Sarcofago di marmo (150-170 d.C.) con rappresentazioni del mito di Medea,
invio della veste a Creusa, morte della ragazza, partenza di Medea con i cadaveri dei figli

Appunti su Medea di Euripide e di Pasolini
di Roberto Bertoni
da  Dedicato a Pier Paolo Pasolini, 25 maggio 2013

1. MEDEA DI EURIPIDE

Nella Medea di Euripide l’azione si svolge a Corinto, dove Medea e Giasone sono andati dopo la spedizione del Vello d’Oro nella Colchide e la tappa a Iolco ove Medea, per restaurare il regno nelle mani di Giasone, fa in modo con la magia che le figlie di Pelia (il re) lo uccidano. Questa e altre parti della storia sono rivelate dalla nutrice o dal coro come antefatto in varie parti della tragedia, che si concentra sulla vendetta di Medea contro Giasone quando questi decide di sposare Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto. 
La vendetta di Medea è attuata per mezzo di una veste avvelenata, che fa portare a Glauce dai figli per implorare che almeno loro non vengano esiliati dalla città, come ha invece stabilito Creonte per timore di Medea e della sua magia. 
Glauce accetta, ma la veste è avvelenata e la uccide. Il padre Creonte si getta su di lei, morendo anch’egli. 
Al ritorno dei figli, Medea li uccide; la ragione che viene fornita è che sono suoi e non potranno sopravvivere comunque alla gravità dei fatti, ma anche per deprivare Giasone della progenie. Si è assicurata una via di fuga, facendosi promettere dall’ateniese Egeo, senza dirgli del suo piano di uccidere i propri figli e Glauce, che la accoglierà ad Atene, il che avviene. Il viaggio verso Atene si svolge sul carro messo a disposizione dal Sole, nonno di Medea.
La versione di Euripide mette in rilievo soprattutto cinque aspetti:
- 1. la pietà per Medea tradita dal marito e ridotta a “esiliata, / umiliata” e la posizione difficile delle donne;
- 2. La passione cattiva consigliera delle relazioni tra uomini e donne: “un'ira irrimediabile”; l'idea positiva, al contrario, dell'amore vissuto con moderazione.
- 3. La vendetta come forma di rappresaglia forte nei confronti del torto subito. La tragedia si interroga se questo sia giusto o meno e sul fatto che “ciò che è giusto è errore”, come dice il Coro; e più oltre manifesta simpatia umana per Medea, ma rammenta l'esistenza delle leggi e avverte Medea che non può sulla base di esse uccidere i figli.
- 4. L’imprevedibilità degli eventi umani, o come dice il Coro a conclusione della tragedia: “L'inatteso è il modo di operare degli dèi. / la morale di questa storia”.
- 5. Medea è simbolo di una situazione storico-sociale primitiva. Medea è un personaggio di una cultura magica, che “spaventa” come dice Creonte. Secondo Giasone il luogo di provenineza di Medea è incivile, in contrapposizioone alla Grecia intesa come sede di civiltà e razionalità. Più ancora, di nuovo Giasone dice di avere condotto Medea in Grecia dal suo paese "primitivo"; ritiene che l’atto di Medea non lo avrebbe potuto commettere una greca; la definisce mostruosa e selvaggia.


2. MEDEA DI PASOLINI

L’approccio nella versione cinematografica di Pasolini è di rimitizzazione [1]. C’è una lettura basata su fonti classiche (il Centauro Chirone di cui parla Pindaro in relazione a Giasone; parti della spedizione degli Argonauti narrata da Apollodoro; e nell’ultima parte del film un rifacimento della tragedia di Euripide). La continuità è data dalla storia, dalla recitazione e da aspetti ideologici. 
In particolare, occorre riferirsi all’idea di Pasolini che il mondo arcaico fosse stato devastato dalla civiltà industriale; e potesse e dovesse riemergere la visione arcaica e populista di Ceneri di Gramsci (1956):la “vita proletaria [...] anteriore” al socialismo, più che “la [...] sua lotta”, “la sua coscienza”. 
Ecco che su queste basi Pasolini scrive: “urlo, mi indigno contro la distruzione delle culture particolari, perché [...] vorrei che le culture particolari fossero un contributo, un arricchimento e entrassero in rapporto dialettico con la cultura dominante” [V, 52-54]. 
La ricostruzione pasoliniana di Medea, insomma, è fondata su uno degli atteggiamenti della nostalgia moderna del passato, che valuta il mito positivamente.
C’è un registro etnologico. Si veda la scena del sacrificio all’inizio del film, ricostruita come se fosse un rituale vero, religioso. In questo senso l’aspetto di culto del mito è importante.
Il mito come rievocazione archetipica si nota nel rapporto di Medea col Sole (scene a Corinto quando Medea medita l’uccisione dei figli).
Il contrasto tra civiltà e barbarie è indicato in tutto il film. La prima parte, il sacrificio, ma anche la rappresentazione della popolazione di Medea, è di tipo tribale, quindi anche il primitivismo del mito ha un ruolo importante. Sul piano psicologico si sottolineano l’oracolo, il destino, l’ineluttabilità degli eventi. Si evidenzia il contrasto tra la visceralità antica e il cinismo moderno, per esempio nel diverso atteggiamento degli Argonauti e di Medea nella scena in cui si allontanano dalla Colchide. Inoltre l’appello di Medea, nella stessa scena, alle forze magiche (“Guardo il Sole e non lo riconosco”) indica la perdita dei poteri fuori della sua terra, fuori dal contesto olistico in cui il mito esiste come credenza e fatto rituale allo stesso tempo. 
I poteri vengono recuperati quando Medea decide di compiere un altro atto rituale per punire la civiltà che la esclude sottraendole Giasone e i figli. Giasone stesso dice a Pelia, riguardo al Vello d’oro: “Questa pelle di caprone, lontana dal suo paese, non ha più alcun significato”.
“Hai conosciuto due centauri, uno sacro e uno sconsacrato, che sono dentro di te”, afferma Chirone in forma umana quando Giasone torna nella civiltà a Corinto; e rivela il “disorientamento di donna antica in un mondo che ignora ciò che ha perduto”. Il Centauro vecchio, quello in forma metà umana e metà equestre, già visto all’inizio del film, è il mondo arcaico, mentre il nuovo è la razionalità e la modernità e allo stesso tempo rappresenta la voce del regista e la sua opinione sui fatti. 
C’è una tendenza universalistica. Il mito è globalizzato, appartiene a popoli di tutto il pianeta, come segnala la commistione di motivi greci e di altre culture. Per esempio, nelle scene a Corinto, nella casa di Medea, il tutore dei figli suona una cetra cantando in giapponese. La scena delle donne, successiva a quella dei cavalli nella prima parte, è accompagnata musicalmente da un coro di donne bulgare. La prima parte del film, che nella storia di Apollodoro si svolge nel Mar Nero, è girata in Cappadocia.

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NOTE

[1] P.P. Pasolini, Medea, Milano, Garzanti, 1970 (testo del film). Film: Medea, Le mura di Sana'a, dvd Rarovideo.
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
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Casarsa della delizia, Casa Colussi, la casa materna di Pier Paolo Pasolini

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"Pagine corsare"
LA VITA
Casarsa della Delizia, Casa Colussi
la casa materna di Pier Paolo Pasolini

Le immagini si riferiscono sostanzialmente a Casa Colussi quando era abitata
dalla famiglia Pasolini: gran parte dell'arredamento è stato conservato e ristrutturato a cura
 del Centro Studi Pasolini di Casarsa della Delizia

L'edificio che comunemente è indicato coma la Casa di Pier Paolo Pasoliniè in realtà la casa materna. Il lotto risulta già edificato nella prima metà dell'Ottocento, ma con conformazione assai diversa dell'attuale. La Casa Colùs o Colussi, da cui deriva l'edificio esistente, viene realizzato all'inizio del Novecento e sarà seriamente danneggiato nel bombardamento aereo del 5 marzo 1945, per essere poi ristrutturato nell'immediato dopoguerra. La casa dei nonni materni è stata comunque per Pasolini un luogo estremamente importante e significativo nella sua vita, in anni decisivi di esperienze sociali, culturali e politiche. Frequentare quella casa permise al Poeta di stringere un rapporto decisivo fra la sua cultura accademica, alta e borghese e la realtà contadina di Casarsa.
Pasolini trascorre per la prima volta un anno intero a Casarsa durante l'anno scolastico 1928-1929 in seguito a difficoltà economiche del padre Carlo Alberto. A partire, poi, dal 1933 il giovane Pasolini è solito trascorrere le vacanze estive con la madre e il fratello Guido Alberto.
Nell'estate del 1943, con il padre prigioniero di guerra in Kenya, Susanna ed i figli decidono di trasferirsi definitivamente a Casarsa, per il timore dei bombardamenti cui era sottoposta Bologna, la città ove risiedevano.
L'esperienza casarsese si chiude all'inizio del 1950, quando Pier Paolo fugge a Roma in compagnia della madre Susanna, perseguitato dall'accusa di atti osceni mossa nei suoi riguardi. Negli anni successivi, fino alla morte nel 1975, Pasolini farà sporadiche apparizioni a Casarsa, per trovare i parenti, in compagnia talvolta di famosi personaggi dello spettacolo, come Maria Callas.
Nel 1993 l'Amministrazione Provinciale di Pordenone ha acquistato la Casa Colussi e, con il contributo della regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ha realizzato una serie di lavori di manutenzione straordinaria che si è conclusa nel 1999 con il recupero dell'edificio principale del complesso edilizio. Il completamento di questo recupero ha previsto la ricomposizione del giardino esterno, dei locali dell'Academiuta di Lenga Furlana e la creazione di una moderna struttura adiacente al corpo principale.
Già nel 1994 l'Amministrazione Provinciale di Pordenone e i Comune di Casarsa della Delizia avevano stipulato un accordo di collaborazione, ora rinnovato ed integrato, per dare vita al Centro Studi Pier Paolo Pasolini e sviluppare altre iniziative riguardanti la figura e l'opera del poeta.
Il Centro Studi possiede una ricca raccolta di materiale originale, fra cui spiccano i Quaderni Rossi e i manoscritti di Poesie a Casarsa, l'opera teatrale in friulano I Turcs tal Friùl e, in generale, la complessa produzione poetica del periodo casarsese, di sicuro interesse per i molti studiosi e appassionati. 
Inoltre, sono depositate le prime edizioni delle opere a stampa, da Poesie a Casarsa agli Stroligut, per proseguire con tutte le altre pubblicazioni degli anni successivi. A completamento è da segnalare la completa filmografia con l'aggiunta di altri interessanti documenti filmati, la rassegna di articoli della stampa italiana di e su Pasolini raccolti fino ai giorni nostri, i lavori di Tesi che hanno partecipato alle varie edizioni del Premio Nazionale Tesi di Laurea Pier Paolo Pasolini.
Il piano terra ospita una mostra permanente suddivisa in stanze tematiche che illustrano la poliedrica attività di Pasolini. È possibile ammirare i dipinti e i disegni a china realizzati negli anni di permanenza a Casarsa ed i manifesti politici che venivano affissi solitamente sotto la vecchia Loggia Comunale di San Giovanni. 
La mostra si completa con una sezione ricca di immagini fotografiche di Pasolini e la sua famiglia e un'altra sezione dedicata all'attività pedagogica e letteraria degli anni friulani con l'illustrazione dei principali luoghi del territorio locale che tanta parte hanno nelle liriche e nella prosa pasoliniana, come Versuta, la vecchia chiesa di Santa Croce, li Fondis, il cimitero di Casarsa, il Tagliamento e i paesi limitrofi.
Progetto e allestimento della Sezione espositiva a cura dell'arch. Massimiliano Pavon, testi e consulenza scientifica del prof. Giuseppe Mariuz con la collaborazione e il coordinamento del Settore Cultura della Città di Casarsa della Delizia e il Servizio Cultura dell'Amministrazione Provinciale di Pordenone.
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