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Naldini: " L' ultima accusa di Guido Pasolini" - Archivio storico del "Corriere della Sera" (1997)

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"Pagine corsare"
LA VITA
Partigiani della Osoppo a Topli Uork (inverno 1944-1945)

Naldini: " L' ultima accusa di Guido Pasolini "
di Cesare Medail
ARCHIVIO STORICO DEL "CORRIERE DELLA SERA", 20 agosto 1997


Pier Paolo ricevette una lettera dal fratello partigiano poco prima dell'esecuzione. A portargliela fu il cugino, che qui racconta come andarono i fatti. Naldini: "L'ultima accusa di Guido Pasolini". Il poeta esibì le pagine del giovane ucciso ai processi che poi avrebbero condannato gli esecutori dell'eccidio. "Ci volevano far togliere le mostrine tricolori e mi puntarono la pistola" "Hanno l'obiettivo di costruire la Repubblica sovietica del Friuli" 

Guido Alberto Pasolini
Mentre fioccano le polemiche sulla strage di Malga Porzûs in vista della presentazione a Venezia del film di Renzo Martinelli, una voce è ancora rimasta inascoltata, quella di Guido Pasolini, fratello del poeta e partigiano della Osoppo, la vittima più famosa dell'eccidio. 
"Mi meraviglio", dice Nico Naldini, scrittore e cugino dei Pasolini, "che nessuno finora si sia ricordato che esiste una lunga lettera inviata da Guido a Pier Paolo il 27 novembre 1944, in cui vengono descritti gli eventi che hanno portato alla tragedia del 7 febbraio '45". 
La lettera occupa sei pagine nell'introduzione all'epistolario pasoliniano che Nico Naldini curò per Einaudi nel 1986 e sono un forte atto d'accusa nei confronti dei partigiani garibaldini e filo-titini che tre mesi dopo avrebbero teso l'agguato di Malga Porzûs  non solo, ma offre anche una traccia per capire i rapporti fra i due Pasolini. Guido non vuole soltanto comunicare a Pier Paolo una "situazione penosissima e grave" ma gli chiede aiuto: "La nostra parola d'ordine per ora è di rispondere a una sleale propaganda anti-italiana con una propaganda più convincente. Abbiamo fondato un nuovo giornale: "Quelli del Tricolore", dovresti scrivere qualche articolo che fa al caso nostro con qualche poesia, in italiano o in friulano, qualche canzone su arie note...". 
Qualcuno, molti anni dopo, scrisse che questo appello cadde nel silenzio ("Il fratello di Pasolini fu ucciso dai comunisti. Avrebbe chiesto invano aiuto al fratello Pier Paolo", Il Tempo, 26 marzo 1970), ma non poteva essere altrimenti perché quella sorta di "messaggio nella bottiglia" arrivò a Pier Paolo dall'inferno dei monti proprio nei giorni in cui Guido veniva ucciso. "Fui io a recapitarlo a Pier Paolo nel febbraio '45", racconta Naldini, "dopo che per tre mesi era passato da una mano all'altra. Una donna che faceva la staffetta partigiana con la pianura lo recapitò a un amico di Udine, che a sua volta lo passò a me. Nessuno sapeva ancora qual era stata la sorte di Guido, a causa delle reticenze di chi aveva paura e delle intimidazioni da parte comunista nei confronti di chi poteva parlare". 
Guido Alberto Pasolini
La notizia ufficiale della morte di Guido arrivò solo nel maggio '45. Ma l'importanza che ebbe per Pasolini quella lettera è confermata dal fatto, ricorda Naldini, che "Pasolini la portò in aula e divenne un documento base dei processi per la strage di Porzûs che si tennero a Brescia e a Lucca, e che avrebbero giudicato la colpevolezza degli assassini". Il lungo scritto di Guido parte da una descrizione della situazione militare che racconta nei dettagli strategici come brigate slovene e garibaldine avessero in più occasioni lasciato scoperti quelli della Osoppo di fronte ai tedeschi con improvvise ritirate ("Gli sloveni, incaricati di proteggerci le spalle, si ritirarono senza sparare un colpo! Le nostre postazioni sopra Subit furono sopraffatte dal numero e dai mezzi", "Ancora una volta ingannati!... Sul monte Joannes vi doveva essere un presidio garibaldino; infatti vi trovammo le truppe tedesche schierate come un plotone di esecuzione..."). 
La corda era tesa e si ruppe quando giunse per radio la voce che "gli inglesi nelle terre liberate stanno disarmando le formazioni partigiane". "A noi dell'Osoppo la notizia non fa né caldo né freddo: "una volta che l'Italia è liberata...", ma il commissario garibaldino Vanni fece subito un discorso nella piazza di Nimis: "Io vi assicuro che né Russi (la parola è detta di sfuggita) né Americani né Inglesi (qui la voce tuona) disarmeranno la divisione Garibaldi-Osoppo". 
Prosegue la lettera: "Negli stessi giorni giunge una missione slovena inviata da Tito: si propone l'assorbimento della nostra divisione da parte dell'armata slovena...". Le tensioni crescono e i toni di Guido si fanno drammatici: "I presidi garibaldini fanno di tutto per indurci a togliere le mostrine tricolori; a Memicco un commissario garibaldino mi punta sulla fronte la pistola perché gli ho gridato in faccia che non ha idea che cosa significhi essere "uomini liberi", e che ragionava come un federale fascista (infatti nelle file garibaldine si è "liberi" di dire bene del comunismo, altrimenti sei trattato come "Nemico del proletariato", nientemeno!, oppure "idealista che succhia il sangue al popolo", senti che roba!). A fronte dichiariamo di essere italiani e di combattere per la bandiera italiana, non per lo "straccio rosso". 
Guido Alberto Pasolini
Le parole mostrano quanto sia esasperato il giovane iscritto al Partito d'Azione, il quale più sotto annuncia: "Il 7 novembre, anniversario della rivoluzione russa, in tutti i reparti garibaldini si festeggia l'avvenuta unione con le truppe slovene. L'accordo era stata firmato prima delle famose solenni smentite!!!". Quattro giorni dopo si presenta "il famigerato commissario Vanni che intima a Bolla: "Per ordine del maresciallo Tito la prima brigata Osoppo deve sgomberare la zona"; e Guido conclude con l'ultimo allarme: "I commissari garibaldini (la notizia mi giunge da fonte non controllata) hanno intenzione di costituire la repubblica (armata) sovietica del Friuli: pedina di lancio per la bolscevizzazione dell'Italia". 
Ma come visse il poeta la tragedia di Porzûs  Quali erano i rapporti fra i due fratelli? "In una lettera di Guido al padre prigioniero in Kenya, mai spedita e da me ritrovata in un cassetto, il futuro partigiano scrive che "Pier Paolo è ancora tranquillo a casa", mentre lui è "poco tranquillo": è un modo per far intendere che farà la scelta militare, mentre l'altro starà a casa a proteggere la madre. Guido aveva soggezione mista ad ammirazione per il fratello maggiore, intellettuale e poeta: Pier Paolo aveva un carattere impositivo, si imponeva, cioè, con la sua cultura". 
Scrive, per esempio, Guido alla madre dalla clandestinità: "Il mio pensiero ritorna per fissazione a Pier Paolo... Alle volte mi ossessiona l'idea che lui pensi a me con una certa amara ironia: ne rabbrividisco...". "Guido", spiega Naldini, "era un vero e proprio eroe, e come tutti gli eroi temeva un'ironia che mai Pier Paolo avrebbe fatto sul fratello. 
Dopo la tragedia, Pasolini ebbe una crisi esistenziale: semplificando, direi che le poesie dei due anni seguenti, raccolte come Diari, sono un colloquio con l'assoluto, permeate dal senso che, al di là delle cose, c'è un mistero, un infinito". 
Ma quando nel '47, Pier Paolo si iscrive al Pci, che riflessi ebbe il delitto di Porzûs nei rapporti con il partito? "Rispetto alla sua scelta politica, Pasolini tenderà a mettere come fra parentesi la morte del fratello, anche perché la sua militanza non era tanto partitica quanto ideologica, filosofica: dopo aver letto Marx, si era convinto che quelle teorie potevano spiegare la realtà, indipendentemente da colpe ed errori del Pci. Certo, Marx c'entrava poco con Malga Porzûs  ma il poeta, come ricorda Enzo Siciliano in Pasolini, cronaca giudiziaria (Garzanti), "ha continuato a riflettere su quella morte della quale si sentiva in qualche modo responsabile". "Io, poco più grande di lui", scrisse Pier Paolo nel '71 su Vie Nuove, "l'avevo convinto all'antifascismo più acceso con la passione dei catecumeni" e concludeva: "Credo che oggi non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l'operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso della sua generosità, della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo....". 
Casarsa - I funerali di Guido Alberto Pasolini

Certo, i rapporti di Pasolini col Pci furono travagliati, dall'espulsione da parte della Federazione di Pordenone (1949) in seguito a una denuncia per atti di libidine verso minori (per la quale fu assolto nel '52) agli attacchi da parte della critica comunista contro Ragazzi di vita ("Tutto trasuda disprezzo e disamore per gli uomini...", Giovanni Berlinguer). Ma la morte del fratello rimase pudicamente fuori da ogni contrasto. 
"Nell'immediato dopoguerra", conclude Naldini, "Pier Paolo aveva aderito ad "Autonomia friulana" perché credeva che l'autonomia, anziché disgregare l'unità nazionale, favorisse la nascita di un Friuli più maturo, e quindi più forte baluardo dell'italianità contro la slavizzazione. Erano le idee per le quali è morto Guido, che io considero come gli eroi del Risorgimento, morto per difendere la Patria. Sì, proprio la Patria, senza nessuna retorica".



"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
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