"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA - LIBRI
Il teatro politico è al di sopra delle parti
di Franco Ricordi
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Una scena da "I Turcs tal Friul" di Pier Paolo Pasolini |
Il teatro politico è al di sopra delle parti
di Franco Ricordi
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Franco Ricordi in "Edipo re" di Sofocle |
Vorrei rendermi interprete anzitutto del rimando al titolo generale Passione e ideologia eminentemente pasoliniano (che condivido); mi piace inoltre quello “è” tra parentesi, che mi ricorda la celebre poesia di Goethe Ueber allen Gipfeln ist Ruh, laddove Heidegger sottolinea l’impossibilità di sostituire quello “è” (ist) con altre parole; alla stessa maniera l’affermazione suddetta mi risulta appunto ontologica, il teatro “è” in quanto “è” politico. Non si tratta dell’applicazione di certa politica al teatro, ma della constatazione di come il teatro, in qualche maniera, “parli sempre di politica”, ovvero “sia” politica ancor prima di iniziare un discorso che generalmente definiamo come tale.
Per questo dico subito che il teatro “non è né di destra né di sinistra”, nemmeno di centro beninteso, ma al contrario raccoglie in sé tutte le parti politiche possibili, destra, sinistra e centro. Anzi, proprio nel teatro, in quel luogo ad emiciclo dell’antichità, “è nata la politica”, come ha specificato il politologo Krippendorff, e come affermo io semplicemente pensando all’Orestea, la grande trilogia di Eschilo, dove assistiamo alla nascita della democrazia ma anche, come specificato assai bene da Emanuele Severino, della filosofia occidentale. Si trattò evidentemente di un momento grandioso per l’umanità, la nascita del teatro (attraverso la poesia drammatica), ma anche della democrazia e della filosofia. Un secolo dopo Platone mise fortemente in crisi questa presenza del poeta drammatico nella Città, della dramatis persona, ovvero del teatro, nell’ambito della sua Repubblica. E alla sua cacciata degli artisti drammatici (III, V E X libro di Repubblica) hanno seguito i divieti analoghi di molti padri della Chiesa (Agostino, Boezio, Tertulliano), poi le condanne di alcuni grandi interpreti dell’Illuminismo, che hanno decretato il senso antipolitico o forse eversivo dell’arte drammatica (ma la questione di Artaud è tutt’altro, e proprio in lui risiede ulteriormente un principio politico del teatro). Tuttavia, come noto, il teatro si è facilmente riscattato, ed è rinato proprio dal Cristianesimo come, in maniera diversa, dall’Illuminismo (vedi Lessing, primo grande Dramaturg oltretutto, cui si deve questa istituzione nei teatri europei, che sarebbe ora di realizzare anche in Italia), configurandosi sempre nel suo senso politico super partes.
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Bertolt Brecht |
Pertanto ribadisco insieme ad Aristotele e Gadamer: “il dramma è più elevato e più filosofico della storia”. E invece Brecht combatte per tutta la vita questa affermazione, fino a quando però alla fine si rende conto di aver sbagliato: e nell’ultima pagina dei suoi Scritti teatrali fa ammenda proprio di questo, una rapida ancorché imbarazzata autocritica, un tentativo di chiudere la stalla allorché i buoi erano più che scappati! E in questa maniera si crea quello che, nel XX secolo, è stato definito (qui ne parlo in maniera assai breve e accennata, ma più che mai consapevole) il Teatro Politico; che è stato, per rispondere alla domanda di questa sezione, un Teatro Politico assolutamente di Sinistra e per la Sinistra. Fra i tanti libri consiglierei di leggere quello di Massimo Castri (regista che stimo), che si intitola Per un teatro politico, dei primi anni ’70. Al di là del coinvolgimento naturale nell’ambito del ’68 (movimento considerato da alcuni come una vera e propria manifestazione di “Teatro di Strada”, che quindi ha influito sulla coscienza politico-culturale del teatro di quel tempo), quel libro risulta emblematico proprio per l’assoluta e univoca pregiudiziale della politica teatrale in quanto Sinistra. Tanto più che si tratta di un bel libro, articolato su Brecht, Piscator e Artaud, ma oltremodo significativo di questa tendenziosità, anzi assoluta faziosità. Dunque, nel secolo XX il teatro “è stato di sinistra”, certamente strumentalizzato dalla Sinistra storica, con il risultato che almeno l’80% dei più grandi registi, autori e attori si siano dichiarati (chi più chi meno, chi in un modo chi nell’altro) vicini a quella parte politica.
Tuttavia il dato più importante risiede nel fatto che la sola grande personalità che si sia opposta, e in maniera sferzante e radicale a tutto ciò, sia stato inequivocabilmente Pier Paolo Pasolini. Uomo di sinistra anche lui (e nessuno lo vuole catturare ideologicamente da qualche altra parte), ma violento e appassionato assertore di una libertà culturale, di una “diversità diversa”, di un teatro politico “non di chi la pensa come me”; ovvero del fatto che “i tempi di Brecht siano assolutamente finiti”, e soprattutto accusatore deciso, nel suo dramma intitolato Calderón, di tutti coloro che siano dediti ai cosiddetti “balletti brechtiani dei marxisti amari”. Rileggere quel testo, e insieme tutto il teatro e l’idea teatrale di Pasolini, certamente potrà essere assai istruttivo per cercare di incamminarci verso una nuova strada, per segnare una nuova epoca dell’impegno teatrale che, come in Schiller, si possa dire “etico-estetica”, e non più ideologica, come a mio avviso è stato (in maniera difficile e complessa da interpretare, ma di fatto è stato così) nel XX secolo. E proprio per questo motivo l’unico modo di poter affrontare il problema politico contingente - quello appunto sulla destra o sinistra - è in realtà proprio l’opposto: vale a dire la necessità di rivolgersi a tutte le forze politiche democratiche che ci rappresentano, quindi alla destra, al centro e alla sinistra, per cercare di creare una larga e grande intesa che sola ci potrà riscontrare, e forse salvare, in questo momento di assoluta emergenza. Perché non dimentichiamoci che siamo, già da anni, in un clima di fortissima emergenza culturale (non soltanto per il teatro), ma è significativo che proprio dal Teatro nasca questa protesta, come sta accadendo in questi ultimi mesi al Teatro Valle di Roma.
Personalmente sono stato più volte al Valle, e più di una volta ho parlato con i giovani occupanti, specificando loro proprio quanto ho detto sopra: di considerare le giuste richieste (problema etico, problema della legge sul teatro, di una “Nuova Drammaturgia”, mancato ricambio generazionale ecc.) come questioni etico-estetiche e non ideologiche; mi sto sforzando di dire loro che, se pure avessero riferimenti politici vicini alla sinistra, non dovrebbero considerare le loro giuste richieste culturali e teatrali a suffragio di quella parte politica. Anzi, che si specifichi bene e programmaticamente come tale protesta non sia “né di destra né di sinistra”; altrimenti, beh il rischio è proprio quello paventato da Pasolini! Il rischio è quello di assistere ad una serie ulteriore di “balletti brechtiani dei marxisti amari”, che purtroppo si sono espressi più volte nel nostro paese, fino a quello che anni fa veniva chia- mato il movimento dei “girotondini”.
Tutto ciò è più vicino a Nanni Moretti (con la grande stima e simpatia che ho sempre avuto per lui) che a Pasolini, e rischia di rimanere in quell’alveo minimalistico che sembra aver sostituito l’ideologia. Qualcuno ha detto che la protesta del Valle possa apparire come una “spettacolarizzazione” della protesta, che poi nulla ha a che fare col teatro. E così Peter Stein ha detto giustamente che, una volta finita la protesta, bisogna cominciare a farlo questo teatro; e in tale ambito accade sempre (soprattutto in Italia) che tutti, proprio tutti, “vogliano fare Amleto”; anche le donne, ha aggiunto Stein! Ma al di là di questa “etica dell’attore”, che nel nostro Paese sarebbe bene ricercare sempre più (anche perché si tratta del primo principio autenticamente politico), c’è un rischio ben più grande, e riguarda ormai quel regime globale di totalitarismo spettacolare nel quale, neanche troppo lentamente, l’umanità si sta inoltrando.
Qui non si tratta delle televisioni di Berlusconi o di chi, anche a Sinistra, ne ha fatto o ne farà uso: si tratta dell’unica e univoca realtà comunicativa in cui si esprime il nichilismo nella sua fase matura. Se Dio e la tecnica sono, per Emanuele Severino, le due espressioni del nichilismo metafisico, oggi siamo già nello stadio avanzato in cui la spettacolarità si è imposta come terzo e risolutivo momento di questa “follia dell’Occidente”, come la chiama sempre Severino. Pertanto è chiaro che il Teatro, nella sua semplice e ontologica accezione di opera d’arte vivente “hic et nunc”, proprio nel suo ribadire le semplici coordinate spazio-temporali dell’uomo-artista, attore e spettatore, possa rappresentare un principio eminentemente politico che, contrapponendosi a questo immane terrorismo e totalitarismo della spettacolarità, possa indicare - 25 secoli dopo Eschilo - una vera e propria rinascita della democrazia.
Ecco il motivo per il quale una verosimile rivoluzione culturale (che nella migliore delle ipotesi vorrei leggere in questa energica protesta del Teatro Valle) non a caso nasca proprio dalle 4 pareti nude del Teatro, questo luogo ormai desueto di cui “a nessuno frega più niente”, ma dove in realtà si annida la più autentica possibilità di messa in discussione, e in crisi, delle nostre peculiarità artistiche e culturali, che riguardano quindi tutte le arti e la cultura in generale. Pertanto, e per le ragioni di cui sopra, vorrei suggerire di poter creare al Teatro Valle un primo grande, e inedito per l’Italia, Ufficio di Drammaturgia, sull’esempio di quanto citato, ma anche raccogliendo lo stimolo delle giuste richieste dei giovani occupanti. un Ufficio di Drammaturgia che sia assolutamente super partes, proteso al ricambio generazionale, ad un codice etico che possa finalizzarsi all’avvento di una legge per il teatro, e infine ad una concezione dell’evento teatrale non più legata al Grande Attore (come nel secolo XIX), ma nemmeno al Grande e autoritario Regista (come nel secolo XX); ma che raccogliendo le lezioni di entrambi possa aspirare di ritornare ad essere quello che “è” nel XXI secolo, la sintonia degli autori e degli interpreti nella Grande Drammaturgia.
Così ritornare a Pasolini significa recuperare politicamente la Grecia e Shakespeare, Lessing e Schiller, in una nuova ancorché antica concezione politica; ovvero una nuova coscienza etico-estetica del Teatro nella nostra epoca.
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1 Se il testo di Antonio Tarantino intitolato Gramsci a Turi parla di Mussolini non chiamandolo per nome, ma definendolo sempre “il capo del Governo”, e alludendo così anche alla cialtroneria di chi è stato capo del Governo nell’Italia che abbiamo vissuto e viviamo, è evidente che tale denuncia varrà sia quando al Governo ci siano stati Fanfani, Moro e Berlusconi, ma anche nel caso ci fossero Prodi e D’Alema. Non è che in queste ultime eventualità il testo dovrà essere messo in un cassetto!
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"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi le notizie contenuti in oltre dodicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini |