"Pagine corsare"
Salò o le 120 Giornate Di Sodoma:
una retrospettiva
di Giuseppe Galato, aprile 2011
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PARTE I
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Diretto da Pier Paolo Pasolini, sebbene sia stato montato dopo la sua uccisione, "Salò o le 120 giornate di Sodoma"è uno di quei film che segnano con un tratto indelebile non solo la storia del cinema ma del pensiero umano in generale. Un film crudo, freddo, analitico, dove nulla è lasciato al caso e dove la trama è succube del messaggio che Pasolini voleva trasmettere al pubblico.
Per chi già conosce il pensiero Pasoliniano sarà molto più semplice capire il significato profondo insito al film, perché riuscirà a carpire tra le immagini quello che è il messaggio metaforico di esso. In questo senso la storia narrata, senza l'accostamento ad essa di un'analisi più profonda, potrebbe comunicare poco se non niente. La forza di "Salò o le 120 giornate di Sodoma" sta proprio nel messaggio metaforico che la storia porta con sé. Sarebbe da chiedersi se questa sia una pecca del film o un vanto, se sia una scelta elitaria o una scelta mossa dal non voler scendere a compromessi.
Perché, di fatto, la fruibilità di questo film, non in senso prettamente filmico ma dal punto di vista comprensivo, non è certo alla portata di tutti. Anzi, probabilmente di pochi. Concorre alla poca fruibilità del messaggio metaforico, già di per sé velato, il bombardamento di immagini che distoglie l'attenzione dal significato intrinseco ad esse proiettandola su un piano prettamente visivo. Ed è proprio la violenza delle immagini a rendere il film poco fruibile dal vasto pubblico. Immagini disturbanti che recano al meglio il significato che Pasolini voleva far cogliere a chi fosse riuscito a vedere il film e in secondo luogo a carpirne il significato metaforico.
Quindi due schermi verso la comprensione finale del film: uno visivo, l'altro semantico. La pecca del secondo punto è intrinseca nel primo: in una società che condanna un certo tipo di violenza (e dico "certo tipo" perché la violenza mostrata nel film è prettamente fisica, quindi solo uno dei tipi di violenza) è facile strumentalizzare la scelta di utilizzarla visivamente. La messa in mostra dell'atto violento può essere ridotta a mero atto aberrante, distogliendo in questo modo l'attenzione dall'immagine metaforica che il film vorrebbe comunicare e proiettando l'interesse del pubblico verso l'immagine diretta.
Altra pecca che si potrebbe trovare è la scelta dell'ambientazione. I fatti si svolgono nel periodo fascista, sebbene Pasolini abbia più e più volte affermato che il film non condanna il fascismo in quanto tale ma tutti i sistemi totalitari che vanno dalle dittature vere e proprie ai sistemi di potere che nel lessico comune non assumono il nome di “dittature” ma lo diventano per vie traverse. Ecco, in questo senso la pecca della scelta di un determinato contesto storico-culturale minimizza la portata comunicativa del film. Facilmente si può additare “Salò o le 120 giornate di Sodoma” come film antifascista in modo che la concentrazione del pubblico cada più su questo aspetto che non sul vero significato che il film vuole comunicare, e cioè che il potere, anche invisibile, è sempre sporco.
Pasolini, nonostante tutto, ha portato avanti la sua opera in questo modo, e sarebbe da chiedere a lui se avesse presente, nel momento del concepimento del film, tutti i risvolti che la realizzazione di un tale progetto avrebbe potuto avere.
Probabile che Pasolini, nel realizzare questo film, volesse davvero rivolgersi solo a chi già sapeva avrebbe capito, quindi a chi già condivideva, e avrebbe condiviso, la sua stessa linea di pensiero. In parole povere, “Salò o le 120 giornate di Sodoma” è un film che può essere apprezzato solo da chi ragiona già in quel determinato modo. Ma non per questo la scelta del film diventa automaticamente elitaria. Diventa una scelta mossa dalla consapevolezza dell'incomunicabilità che un certo tipo di matrice sociale porta alle masse.
Il film, come abbiamo detto, è una feroce critica al potere, qui impersonificato da 4 cariche: un Duca (la nobiltà), un Monsignore (la religione), Sua Eccellenza il Presidente della corte d'Appello (la legge) e il Presidente Durcet (il capitalismo). A questi 4 personaggi, che tirano le redini delle vicende che avvengono nel lasso temporale dei 120 giorni, si aggiungono 4 ex meretrici, tre di loro nella veste di narratrici che, raccontando aneddoti di tipo sessuale di derivazione sadista, hanno il compito di accendere le menti degli altri protagonisti iniziandoli ad un mondo di cui ancora non ne sono parte. L'altra ex meretrice ha il compito di accompagnare le narrazioni al pianoforte. Ed infine le vittime, 8 maschi ed 8 femmine, tutti in età adolescenziale.
È importante notare come le vittime siano tutte adolescenti, a voler comunicare che il bombardamento mediatico del potere, le influenze esterne che portano l'individuo ad essere sottomesso, siano esse sociali o meno, vengano maggiormente assimilate nella prima fase della vita, che va dalla nascita alla fine dell'adolescenza, fase in cui la psiche dell'individuo si forma e rimane pressoché inalterata per tutta la vita.
Il rispetto delle leggi imposte dai 4 Signori è assicurato dalla fedele subordinazione ad essi di un gruppo di repubblichini armati, che concorrono anche al rapimento delle vittime. A loro volta, come le vittime designate vengono catturate da essi, i repubblichini sono catturati e portati al cospetto dei signori da alcuni SS.
Il film a questo punto ha una diegesi semplice: diviso in tre gironi (Manie, Merda, Sangue) la storia è un continuum di atrocità che vanno dall'umiliazione alla violenza carnale, dalla coprofagia alla tortura.
Ora, se ci si soffermasse alla semplice violenza delle immagini il film risulterebbe pessimo, come avviene nel caso di molti Horror B-Movie che fanno della violenza gratuita il loro punto di forza. Ma la violenza di “Salò o le 120 giornate di Sodoma” è, come abbiamo detto, una violenza metaforica. Usando la metafora della violenza fisica, percepibile da tutti in maniera più semplice, dato che è un tipo di violenza a cui ci si rapporta in maniera diretta grazie ai sensi principali, Pasolini ci parla in questo modo di come il potere soggioga chi è sotto il suo influsso. Mette in mostra il modo violento con cui i messaggi dettati dall'alto alle masse arrivano a queste ultime senza che esse abbiamo possibilità di replica. Imposizioni all'apparenza innocue, fatte percepire all'individuo come consuetudine tramite i media, in maniera del tutto subdola, imposizioni di stampo dogmatico, imposizioni standardizzanti o semplice imitazione dei principi di libertà e di uguaglianza. Quindi imposizione non percepita come tale dall'individuo, tanto che esso tende ad auto accettarla. È violenza proprio perché si viene invogliati ad acquisire, in modo subdolo, comportamenti che altrimenti non si assumerebbero.
Un aspetto interessante, che si ripercuote per tutta la vicenda, è la non ribellione delle vittime. Le vittime sono in numero maggiore rispetto i propri carnefici, sebbene i repubblichini siano muniti di armi da fuoco. Le armi da fuoco, però, durante il film, vengono più e più volte lasciate incustodite dai repubblichini, in modo che chiunque, anche una delle vittime, o più vittime, possano utilizzarle e così sovvertire la situazione. Cosa che, però, non accade mai. Questo aspetto pone luce sul fatto che chi è succube di determinate imposizioni non riesce proprio ad immaginare che possa avere una rivalsa su di esse. Una persona che ha imparato fin da bambino a comportarsi in un determinato modo socialmente accettato, standardizzato, non vedrà ragione per andare contro esso, perché assumerà quel modo di comportarsi come giusto. Vedrà in esso la normalità.
Autori associati: Agata Amato, Alessandro Barbato, Fabien Gerard, Claudio Rampini, Marco Taffi
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