"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA
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Salò o le 120 giornate di Sodoma, fotogramma dal film |
Salò o le 120 Giornate Di Sodoma:
una retrospettiva
di Giuseppe Galato, aprile 2011
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PARTE II.
Diretto da Pier Paolo Pasolini, sebbene sia stato montato dopo la sua uccisione, “Salò o le 120 giornate di Sodoma” è uno di quei film che segnano con un tratto indelebile non solo la storia del cinema ma del pensiero umano in generale.
La merda è la metafora con cui Pasolini si riferisce alla società dei consumi. Per Pasolini quello che la società dei consumi dà agli individui è merda, nel senso di schifo. Con l'avvento del consumismo tutto diventa fruibile per il consumatore, e tutto è identico a tutto. Potremmo dire che è la vittoria dell'uguaglianza. Un'uguaglianza imposta. L'imposizione dello status symbol, socialmente accettato, che reca all'individuo il sentore dell'essere uguale agli altri. È la vittoria, allora, di un'uguaglianza fasulla, di facciata. E la sconfitta di quello che il comunismo aveva cercato di sviluppare, e cioè l'uguaglianza reale, basata anche su canoni materiali ma anche su un'uguaglianza di stampo intellettuale, che porti ad una libertà anche mentale dell'individuo, e non ad una sua massificazione in nome di un feticcio di cui diventa succube. Al contempo rappresenta l'inutilità dell'acquisto di merci che solo socialmente hanno una vera utilità. Un'utilità psicologica che l'usufruente sente tale solo perché socialmente prestabilito. Chi non acquista, in maniera del tutto compulsiva, tali feticci è in una posizione di svantaggio rispetto al resto della società, che intanto si è "aggiornata". Svantaggio del tutto fittizio, data l'inutilità dell'oggetto in quanto tale. Il continuo restyling di tali oggetti permette al produttore di poter vendere oggetti sempre identici a quelli della generazione precedente non più acquistati per le proprie effettive qualità ma semplicemente per una questione di moda. L'acquisto di una nuova personalità tramite l'acquisto di un oggetto che comunichi alla società il proprio farne parte, dato che viene inculcato all'acquirente il sentore che la propria parità psicologica e sociale venga dall'ostentazione di un feticcio materiale. Ed è quello che accade anche con la fruizione dei messaggi. L'annullamento del sé in una condizione di routine (che "uccide" il pensiero in pratiche sempre identiche che minimizzano il bagaglio esperienziale dell'individuo con il quale esso potrebbe avere una visione più intima delle cose grazie alla comparazione di più impulsi). La comprensione risulta essere più vivida quando il bagaglio esperienziale di un individuo è ampio, proprio perché essa si basa sulla comparazione. Quanti più metri di comparazione si hanno tanto più la comprensione delle cose è ampia. La routine dei messaggi che arrivano all'usufruente permette a chi decide di far arrivare solo quel tipo di messaggi un controllo maggiore sulle masse, dato che esse non riescono a rendersi conto, in questo modo, della condizione di imparità mentale cui sono sottoposte. È l'esempio dei tanti programmi televisivi ridondanti, sempre identici ma con delle varianti nel canovaccio, in modo che l'usufruente acquisisca sempre gli stessi impulsi (psicologici) ma non sia al contempo annoiato da essi data la loro ridondanza. Minimi cambi di facciata su uno stilema sempre identico.
Prima dell'avvento dell'ultimo girone accadono una serie di fatti rilevanti, come il suicidio della pianista, che in un primo momento vediamo allineata a chi detta le regole del gioco. Il senso di colpa la sovrasta fino a portarla al suicidio. Questo è forse l'unico punto del film che non si permea della metafora ma reca ad un personaggio un aspetto più umano.
Le vittime iniziano ad accusarsi l'un l'altra per salvare se stessi a discapito degli altri. È quello che accade quando ci si allinea alle politiche di un determinato sistema sociale. Se ne diventa succubi entrando in combutta con esso tanto da distaccarsi dai propri simili ed andando contro essi, abbandonando quel dettame del comunismo o del socialismo in generale tanto caro a Pasolini che esalta l'unione delle masse a discapito del potere imposto dall'alto. L'unione farebbe la forza, ma la percezione di un potere totalitario che grava sulla propria esistenza distoglie l'attenzione da questo alimentando la paura di poter andare contro esso, dato il suo effettivo potere maggiore rispetto alla propria singolarità. Quindi si preferisce allinearsi ad esso.

Altro episodio interessante è il matrimonio che i quattro avallano fra due delle vittime, un maschio ed una femmina, i quali, nel momento in cui vengono invitati a "consumare", vengono bloccati perché lo sverginarsi non tocca a loro ma ai Signori. L'individuo, prima di fare i conti con la propria individualità, deve farli con il potere, con gli impulsi sociali. Un atto intimo come può esserlo l'atto sessuale rappresenta la liberazione delle proprie voglie e la realizzazione del desiderio. È un atto di libertà psicologica e di non negazione dei propri impulsi. Il potere avalla questa libertà solo nominalmente ma, di fatto, al contempo la reprime. Il potere arriva prima di tutti ad avere un ascendente sull'individuo. Lo vediamo nella mercificazione del corpo (pensiamo alle soubrette) accostata all'idea che l'atto sessuale sia peccaminoso. Ma anche in tante altre pratiche di negazione di impulsi che vengono al contempo esaltati e demonizzati. Si pensi agli atti che vengono percepiti socialmente come "trasgressivi". Il potere vende e dona alla massa surrogati di trasgressione per dare ad essa un sentore di libertà dei propri impulsi, cadendo in contraddizione. La "trasgressione" non è insita nell'atto ma nella percezione sociale dell'atto. La demonizzazione di un atto porta alla sua non accettazione sociale ed al contempo alimenta la voglia dell'individuo di attuare quell'azione, andando ad incrementare una voglia già insita in esso o addirittura creandone da zero. L'individuo è castrato dalla società, psicologicamente, nella negazione sociale di un atto naturale che viene da un impulso istintivo. In questo modo l'individuo è alienato rispetto al proprio essere, trovandosi in mezzo ad una battaglia fra proprie voglie e negazione di esse da parte del contesto in cui vive. Alimentare le proprie voglie lo allontana dalla società di cui fa parte, mettendolo in una condizione psicologica di imparità sociale. Al contrario, rispettare le regole sociali andando contro il proprio volere porta alla frustrazione di esso. La "trasgressione" nasce come tolleranza di azioni socialmente considerate sbagliate, quando queste lo sono solo socialmente, non universalmente. E da qui allo sfruttamento della trasgressione il passo è piccolo. I media ci marciano sopra, alimentando ulteriormente il divario fra "voglia" e "divieto". Vi è l'istituzionalizzazione della trasgressione. Non più pratica di sottobanco ma vero e proprio modo di essere. Tutto questo porta alla ulteriore demonizzazione dell'atto in quanto, appunto, percepito non come naturale ma come trasgressivo. Una cosa percepita come trasgressiva è una cosa socialmente sbagliata. Ma, essendo parte della società, l'individuo che percepisce tale atto come trasgressivo ma che al contempo lo sfrutta sa che sta andando contro la massa (o, almeno, contro il pensiero sociale) e cade in contraddizione con se stesso e con il sistema, anche esso contraddittorio. E così il media ha facilità di vendita di surrogati di trasgressione che lasciano quanto meno un alone di purezza verso i canoni sociali da parte dell'individuo che ne usufruisce. L'usufruente non cerca più l'impulso originario ma si accontenta di usufruire dell'impulso venduto dai media.
E che dire dei tanti epiteti e delle tante citazioni colte che i Signori sfoggiano nei loro aulici discorsi? Un attacco alla borghesia che si innalza a classe sociale dominante anche ostentando una cultura di tipo non popolare (ai tempi del'uscita del film le fasce sociali basse, quelle di cui parlava Pasolini, erano, se non analfabete, di sicuro non fornite di una vasta cultura). Ed è sublime vedere accostate a citazioni di personaggi come Nietzsche o Wilde tanta volgarità. Un vero e proprio dualismo, contraddittorio, come lo è il sistema.
Man mano che il tempo passa qualcuno fra le vittime trova la propria libertà nel suicidio. Metaforizzato, il suicidio va a rappresentare il discostamento dalla società, il tagliarsi fuori da essa, il non accettarla. La paura che muove una scelta del genere è forte e pochi riescono ad attuarla. Citando Kierkegaard si potrebbe dire che "la maggior parte degli uomini non ha paura di avere un'opinione errata, bensì di averne una da sola".
Importante da notare è che i quattro signori specificano bene, all'inizio del "gioco", che solo chi non si ribellerà ai loro voleri avrà la libertà, allo scadere dei 120 giorni, ed un posto a Salò con loro, nell'élite. Solo chi si allinea ai dettami socioculturali propri della società in cui vive può farne parte.

E che dire dei quattro signori, del potere? Anche essi si cibano degli escrementi e, anzi, sono fautori della coprofagia, ne esaltano gli aspetti. E non si fanno riserve sui rapporti sessuali tra essi stessi, quindi di base sodomitica. Al primo aspetto va ricollegato il fatto che il potere si alimenta con il suo stesso messaggio che impone alle masse, se ne fa forza facendolo intimamente proprio. Al secondo aspetto si ricollega il sodalizio che hanno i vari poteri fra di loro, il loro spalleggiarsi. La chiesa che appoggia lo stato che appoggia i movimenti capitalistici e via discorrendo.
Allo stesso modo i quattro signori si uniscono in matrimonio ognuno con la figlia di un altro per istituzionalizzare il proprio sodalizio, come a rappresentare un patto non rigido ma di spalleggiamento.
Il messaggio finale di "Salò o le 120 giornate di Sodoma" non può che essere negativo. Una visione mostruosa della condizione umana, del suo essere così contraddittoria da contraddire il suo stesso essere. Dei disturbi psicologici che si creano dall'ambivalenza che porta questo modo di essere contraddittori, della facilità di controllo sugli individui che questa contraddizione aiuta a perpetrare, dell'insicurezza che porta gli uomini ad unirsi in società, per la propria sopravvivenza, ma che quella sopravvivenza tendono a cancellare in modo da creare non più esseri umani che vivono in società per il proprio bene ma per castrarsi l'un l'altro, per diventare automi.
Autori associati: Agata Amato, Alessandro Barbato, Fabien Gerard, Claudio Rampini, Marco Taffi
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