"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA - LIBRI - POESIA
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Copertina del libro, disegnata da Emanuele Luzzati (1980) |
Pasolini. Poesie e pagine ritrovate,
a cura di Andrea Zanzotto e Nico Naldini
Lato Side Editori srl, Roma 1980
Con disegni di Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Zigaina
La testimonianza-Pasolini, configurata nel lievitare estremo di un'idea di vita e di poesia in
quanto diversità, dischiude qualche suo enigma ai giochi dell'interpretazione, sia per il
fondamentale contributo di Nico Naldini che con Pier Paolo passò gli anni giovanili in Friuli,
sia per l'acuto e originalissimo saggio di Andrea Zanzotto,
uno dei maggiori poeti italiani. Da questi due interventi emergono elementi utilissimi
e del tutto nuovi. Il volume illustrato da disegni di Pasolini e Zigaina, presenta
un'ampia scelta dei testi più noti del grande poeta friulano, tratti dalle raccolte «La meglio gioventù», «L'usignolo della Chiesa Cattolica», «Le ceneri di Gramsci», «La religione del mio tempo», «Poesia in forma di rosa», «Affabulazione», «Trasumanar e organizzar».
Tutte le composizioni poetiche di Pasolini sono attualmente raccolte sia in singoli volumi
sia nei due volumi (Pasolini. Tutte le poesie) pubblicati nei Meridiani Mondadori.
Qui di seguito vengono riportati il saggio di Andrea Zanzotto
nonché le riproduzioni di alcuni disegni pasoliniani contenuti nel volume
Pasolini poeta, di Andrea Zanzotto
Con tutto quello che ha scritto, e creato nei più vari campi, è giusto qualificare Pasolini soprattutto col nome di poeta? Sì; e nell'accezione più imbarazzante, «intempestiva» e persino desueta che questo termine può assumere. La ricerca, lo sperimentalismo di Pasolini, coincidente con lo stesso destreggiarsi fisico di un corpo-psiche nelle pieghe equivoche del mondo per sopravviverci, sono stati, per così dire, stilizzati e rischiati secondo la « figura del poeta». Esistevano per Pasolini la simultanea ricerca della restituzione di un significato completo alla figura del poeta e la sempre rinnovata constatazione della sua irrilevanza, inesistenza, focomelia, sia di fronte alla storia e ai suoi movimenti ambigui, sia in relazione ad un atto pedagogico-terapeutico tale da coinvolgere in modo rapido e diretto la società (il «tutti» come conglobazione anch'essa «corporea» prima che consapevolmente aggregata). Questo fatto ha situato Pasolini in una delle condizioni più esposte e onnicomprensive che mai abbiano assunto il fantasma del «poetico» e il suo ectoplasma atrocemente abbarbicato ad un «io».
In Pasolini si sovrapposero, sfilarono, si negarono, si punirono tra loro tutti i connotati che il poeta poté assumere nei tempi: coscienza attiva, pur contestatrice, entro la pienezza della tradizione-istituzione, testimone della separazione lirica quale grado ottimo e massimo, innalzamento (regressione) ad un ruolo sciamanico, se non addirittura pontificale (di segno meno, contro-pontificale). Non basta: Pasolini raccolse in pieno, pur negandola apparentemente, anche la sfida presunta «avanguardistica» alla dilatazione dell'area della poesia anche al di là della sua particolare connessione al fatto linguistico; puntò cioè alla «poesia totale», intesa come superamento delle consolidate partizioni del campo artistico in una superiore unità mai smentita come unità «superpoetica» e forse la identificò nel cinema. Tutto questo, senza perdere di vista il parlare-scrivere, o meglio l'«affabulazione» come fattore essenziale della poesia. Allo stesso modo Pasolini nelle sue operazioni sui generi letterari perseguì una interscambialità sempre sotto il segno del poetico, persino ai tempi della rivista «Officina» quando fece suo programma dichiarato portare la poesia al livello della prosa, contro l'opposto canone tipico del nostro Novecento.
In Pasolini si sovrapposero, sfilarono, si negarono, si punirono tra loro tutti i connotati che il poeta poté assumere nei tempi: coscienza attiva, pur contestatrice, entro la pienezza della tradizione-istituzione, testimone della separazione lirica quale grado ottimo e massimo, innalzamento (regressione) ad un ruolo sciamanico, se non addirittura pontificale (di segno meno, contro-pontificale). Non basta: Pasolini raccolse in pieno, pur negandola apparentemente, anche la sfida presunta «avanguardistica» alla dilatazione dell'area della poesia anche al di là della sua particolare connessione al fatto linguistico; puntò cioè alla «poesia totale», intesa come superamento delle consolidate partizioni del campo artistico in una superiore unità mai smentita come unità «superpoetica» e forse la identificò nel cinema. Tutto questo, senza perdere di vista il parlare-scrivere, o meglio l'«affabulazione» come fattore essenziale della poesia. Allo stesso modo Pasolini nelle sue operazioni sui generi letterari perseguì una interscambialità sempre sotto il segno del poetico, persino ai tempi della rivista «Officina» quando fece suo programma dichiarato portare la poesia al livello della prosa, contro l'opposto canone tipico del nostro Novecento.
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Pier Paolo Pasolini, Ragazza di San Vito, 1943 |
Ma la questione di «livelli» e giustapposizioni, o al contrario di compenetrazioni, osmosi di linguaggi, ha senso per Pasolini unicamente se si considera che per lui erano sempre meno esistiti un alto o un basso, un passato o un futuro, un «privato» o un «sociale» che non fossero in stato di continua ridiscussione, o anzi lacerazione e combustione reciproca: fermo restando che la sua stella-guida era sempre un'idea di poesia in quanto diversità allarmante, eccesso, emergenza: ma (a differenza di quella delle neoavanguardie e di altri), sempre coatta anche ad essere, a qualunque costo, centralità sociale, anzi momento massimo della reinstaurazione del sociale. Il dato di partenza era comunque un compatto, intensissimo microcosmo, un famelico, instancabile Narciso - un oblativo, disperato Narciso - destinato ad una concentricità impossibile/ necessaria con eventuali e sempre instanti macrocosmi (storici) anch'essi in metamorfosi.
Per Pasolini la differenza «doveva» anche essere norma (sempre incarnata entro un magma, e persino sprofondata in una volontà di cancellazione di qualunque autoanalisi) doveva essere istituzione (e non soltanto teoresi-guida), ma pur sempre in un «corpo a corpo» con l'istituzione. Ogni presa di contatto per Pasolini era anche gesto che dirompe e «scosta», e viceversa. L'ultramobilità e l'invarianza della poesia di Pasolini vengono allora a proporsi necessariamente quale parabola di quello che è il destino della poesia nel nostro tempo; si propongono e lo sono. Exemplumcome tremendo manuale di condotta, come utopia aperta, e infine come squartamento fisico in atto.
La prima fase della poesia di Pasolini, quella del dialetto friulano in cui ci fu pressoché coincidenza tra linguaggio «della madre» e linguaggio popolare (mentre coesisteva la lingua «alta» del padre e della borghesia), poté davvero essere edenica, e insieme colorata di riverberi félibristici e decadentistici, e, ancora, doppiata da un sovrappiù di gusto e degustazione pertinenti al filologo, filologo romanzo. Era una poesia che poteva ben sentirsi, anche senza chiamarsi, «pura», in sintonia con i miti degli anni '30-40, perché nell'alone dell'inizio le gioie e i dolori comunque «divini» di Narciso tutto inglobavano come nuclei concentrici, nel modo più latteo.
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Pier Paolo Pasolini, Ritratto di Susanna, 1941 |
Pasolini non uscì mai del tutto da questo «sfero» in cui da ogni ferita e da ogni peccato si diffonde tuttavia un riverbero celestiale. La tenaglia etica, marcata sul versante religioso prima e prestissimo su quello socio-politico, non avrebbe mai potuto avere la meglio su questa intensità di «piacere primo», anche se intriso di morte. Ma questa morte è nominabile, sta a due passi dal paese, in un cimitero campestre, nel quale tutto è accarezzato e quasi richiama la resurrezione, è cellula tra le cellule viventi come lo sono le case e i paesi contigui. È questo il tempo delle poesie, in gran parte friulane, secondo una ricca botanica di varietà locali, raccolte ne La meglio gioventù.
I successivi poemetti come «IIcanto popolare» e «L'Italia» sono importanti perché le categorie storiche, la ragione e la prassi affiorano con la più innocente spontaneità proprio da quel mondo adelfico e adolescenziale, riferito qui ai primordi della nazione italiana ed alla sua lingua, mentre si precisa un dettato più uniforme e rettilineo (logico?) anche rispetto a quello della raccolta L'usignolo della Chiesa Cattolica, che aveva costituito il controcanto in lingua nazionale-alta di ciò che era stato scritto contemporaneamente in friulano. Già allora la funzione pubblica (usignolo, ma pur della chiesa) era stata dunque connessa alla lingua veicolare maggiore, l'italiano.
Da quel tempo in avanti, dopo che il poeta sarà stato avvelenato e ferito proprio da quel mondo che più amava, e lo avrà abbandonato, si produce un profondo rivolgimento. Pasolini si stabilisce a Roma, centro simbolico di ogni storia «massima» (nella quale si sarebbe dovuto articolare il piano del logos politico), ma, nel fatto, coacervo di visceri riluttanti a tutto ciò che non sia inconscio ed eros, vittoriosi anch'essi, ma per altre vie, sulla morte e sul pus in cui allignano, come un cimitero pieno di vermi, fresche erbe selvatiche. Si delinea così la grandiosa operazione che dura ininterrottamente attraverso quattro libri densi sbalzati, acremente collegati al moto reale e contraddittorio degli eventi nei quali essi tendono a incidere, ad agire: da Le ceneri di Gramsci a La religione del mio tempo, a Poesia in forma di rosa, a Trasumanar e organizzar, dall'inizio degli anni '50 fino agli anni '70.
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Pier Paolo Pasolini, Donna che dorme, 1942 |
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Pier Paolo Pasolini, Paolo dipinge, 1941 |
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Pier Paolo Pasolini, Estate, 1941 |
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Pier Paolo Pasolini, Donna col ranocchio, 1942 |
È in questa tensione estrema che Pasolini trova a forza per passare sulle teste delle avanguardie a quell’aldilà della lingua, a quella totalità che il cinema vorrebbe essere e metaforizza. Ma più Pasolini s'ingolfa nel cinema e più se ne fa straziare godendo entro la sua immane cassa di risonanza e nella sua multilateralità, più perdura e si accentua in lui l'invariante poetica «pura», l'amore per la poesia fatta di parole (per la quale né l'italiano, né il dialetto, né le parole, tuttavia, bastavano). La stessa «inutilità» della poesia, la sua stessa emarginazione, gliela faranno apparire come ultima roccaforte di resistenza alla marea montante della massificazione, del figliare vuoto su vuoto che segue gli accoppiamenti incestuosi tra moda (consumo) e morte.
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Pier Paolo Pasolini, Donna nel canneto |
A questo punto l'arco della poesia, almeno come figura parallela all'arco già declinante della vita, non poteva per Pasolini non ripiegarsi sulle proprie origini dialettali, sia pure per negarle, per dichiarare un mai-più: e proprio mentre si riattivava (forse ormai una moda anch'essa) l'attenzione per i dialetti e per le culture locali come unico polo di opposizione al progressivo, inarrestabile cancellarsi di ogni identità individuale e collettiva, di ogni etica personale o comunitaria. La nuova gioventù è un ricamminare sopra La Meglio Gioventù, anche calpestandola. Del resto, se ben si guarda, anche questa si trovava fin dall'inizio «soto tera», come nel canto degli Alpini. Ma c'è sepultura e sepultura: quel passato lontanissimo aveva un futuro, poteva averlo, «era» futuro, (un futuro parallelo che non si realizzò); perché era sì sepolto, ma sepolto nel proprio alone, nel proprio nutrimento, era sepolto «rite», cioè secondo una verità in accordo con un bioritmo cosmico, era sotterra com'è sotterraneo il seme: che poi venne fatto marcire anziché fiorire.
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Pier Paolo Pasolini, Ragazzo seduto, 1942 |
Sì, è soprattutto nei suoi versi che Pasolini resta per sempre «lizèir, zint avant, sielzìnt par sempri / la vita, la zoventut».
Andrea Zanzotto (1921-2011) - Nato a Pieve di Soligo (Treviso) nel 1921, Andrea Zanzotto ha iniziato a insegnare all'età di sedici anni. Laureatosi in Lettere all'Università di Padova nel 1941, ha poi vissuto a lungo all'estero, in Francia e Svizzera. Tornato in Italia, si è stabilito nel suo paese natale, dove vive tuttora. Oltre che poeta, è autore di racconti e di acuti saggi critici, specie su contemporanei (Ungaretti, Montale, Sereni).
Il primo ad attirare l'attenzione sulla poesia di Zanzotto è stato Ungaretti; in seguito, dopo la raccolta Beltà del 1968, buona parte della critica gli ha assegnato un posto di tutto rilievo tra i poeti italiani contemporanei. Zanzotto esordisce come un "epigono fuori tempo dell'ermetismo" (Mengaldo) rifacendosi direttamente a Ungaretti. Altri suoi importanti punti di riferimento sono Petrarca, Leopardi, Hölderlin e Mallarmé, in corrispondenza con la profonda convinzione che il poeta abbia la precisa missione di dare un ordine all'universo. Quella di Zanzotto è, come ha scritto Fortini, "un'intensa nostalgia per il momento eroico del poeta come legislatore, sacerdote e agnello da sacrificio". Per ciò che concerne il lessico, è stato notato come il poeta veneto ne faccia un uso assai particolare: egli attinge infatti al linguaggio infantile, al dialetto, a lingue straniere; con questo composito vocabolario, poi, spazia dall'elegia del suo angolo di Veneto all'astrofisica, dalla psicologia alla microbiologia. Da tanta varietà di temi e linguaggi nasce una "recitazione illimitata" (Fortini) che spesso porta con sé difficoltà di comprensione del testo. L'oscurità di Zanzotto, però, ha un preciso significato. Egli intende infatti comunicare al lettore i limiti, o l'impossibilità, che incontra la verbalizzazione nel cercare di rendere conto del vissuto privato e intimo di ognuno. Il poeta deve quindi cercare una lingua che rappresenti lo stadio intermedio tra coscienza e incoscienza, con puntate nel silenzio più assoluto da un lato e nella vociferazione babelica dall'altro. Quest'impostazione si fa più evidente soprattutto a partire dalle IX Ecloghe del 1962, a proposito delle quali il critico Agosti, autore di un saggio ritenuto fondamentale per la miglior comprensione di Zanzotto, ha scritto che "il significante non è più collegato a un significato … ma si intuisce esso stesso come depositario e produttore di senso". Parallelamente a questa riduzione del linguaggio a ammasso indifferenziato viene compiuto anche lo sforzo inverso; ripercorrerlo, cioè, sino alle sue radici per ritrovarne l' origine più autentica (qui rappresentata, in particolare, dalla lingua infantile). E' anche importante rilevare, sempre seguendo le indicazioni di Agosti, come la libertà del significante sia ottenuta con procedimenti che ricordano quelli psicanalitici, "lasciando fluttuare l'attenzione fonica nei dintorni di una parola, finché accanto non ne sorge una simile" (Siti), in polemica con i linguaggi sempre più standardizzati della comunicazione di massa. La poesia, secondo le stesse parole di Zanzotto è "prima figura dell'impegno: perché non solamente essa deve e può parlare della libertà, dire cioè la prepotente 'sortita' dell'uomo dalle barriere di ogni condizionamento, e il superamento di qualunque 'dato'; ma col suo solo apparire, col suo sì essa dà inizio alla sortita, al processo di liberazione. La poesia, come la libertà è 'una sola parola' quella che 'salva l'anima' in una suprema proposta qualitativa …" [A cura di Olivia Trioschi]
Il primo ad attirare l'attenzione sulla poesia di Zanzotto è stato Ungaretti; in seguito, dopo la raccolta Beltà del 1968, buona parte della critica gli ha assegnato un posto di tutto rilievo tra i poeti italiani contemporanei. Zanzotto esordisce come un "epigono fuori tempo dell'ermetismo" (Mengaldo) rifacendosi direttamente a Ungaretti. Altri suoi importanti punti di riferimento sono Petrarca, Leopardi, Hölderlin e Mallarmé, in corrispondenza con la profonda convinzione che il poeta abbia la precisa missione di dare un ordine all'universo. Quella di Zanzotto è, come ha scritto Fortini, "un'intensa nostalgia per il momento eroico del poeta come legislatore, sacerdote e agnello da sacrificio". Per ciò che concerne il lessico, è stato notato come il poeta veneto ne faccia un uso assai particolare: egli attinge infatti al linguaggio infantile, al dialetto, a lingue straniere; con questo composito vocabolario, poi, spazia dall'elegia del suo angolo di Veneto all'astrofisica, dalla psicologia alla microbiologia. Da tanta varietà di temi e linguaggi nasce una "recitazione illimitata" (Fortini) che spesso porta con sé difficoltà di comprensione del testo. L'oscurità di Zanzotto, però, ha un preciso significato. Egli intende infatti comunicare al lettore i limiti, o l'impossibilità, che incontra la verbalizzazione nel cercare di rendere conto del vissuto privato e intimo di ognuno. Il poeta deve quindi cercare una lingua che rappresenti lo stadio intermedio tra coscienza e incoscienza, con puntate nel silenzio più assoluto da un lato e nella vociferazione babelica dall'altro. Quest'impostazione si fa più evidente soprattutto a partire dalle IX Ecloghe del 1962, a proposito delle quali il critico Agosti, autore di un saggio ritenuto fondamentale per la miglior comprensione di Zanzotto, ha scritto che "il significante non è più collegato a un significato … ma si intuisce esso stesso come depositario e produttore di senso". Parallelamente a questa riduzione del linguaggio a ammasso indifferenziato viene compiuto anche lo sforzo inverso; ripercorrerlo, cioè, sino alle sue radici per ritrovarne l' origine più autentica (qui rappresentata, in particolare, dalla lingua infantile). E' anche importante rilevare, sempre seguendo le indicazioni di Agosti, come la libertà del significante sia ottenuta con procedimenti che ricordano quelli psicanalitici, "lasciando fluttuare l'attenzione fonica nei dintorni di una parola, finché accanto non ne sorge una simile" (Siti), in polemica con i linguaggi sempre più standardizzati della comunicazione di massa. La poesia, secondo le stesse parole di Zanzotto è "prima figura dell'impegno: perché non solamente essa deve e può parlare della libertà, dire cioè la prepotente 'sortita' dell'uomo dalle barriere di ogni condizionamento, e il superamento di qualunque 'dato'; ma col suo solo apparire, col suo sì essa dà inizio alla sortita, al processo di liberazione. La poesia, come la libertà è 'una sola parola' quella che 'salva l'anima' in una suprema proposta qualitativa …" [A cura di Olivia Trioschi]
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"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi le notizie contenuti in oltre dodicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini * * * Un contatore di accessi era stato inserito il 13 gennaio 2013 e da quella data venivano visualizzate le visite a questo blog. Gli accessi pregressi (registrati da Google) andavano quindi sommati a quelli esposti dal contatore di Shiny Stat. Da un confronto fornito da Google (Blogspot) mi accorgo però che gli accessi a queste pagine non corrispondono alle visite effettive che le pagine stesse ricevono. L’attendibilità delle statistiche di Google è fuori discussione. Per questo motivo, utilizzando le informazioni statistiche di Google, darò notizia, manualmente, degli accessi reali, a partire sempre dalla data d’inizio del blog, cioè dal 15 febbraio 2012. Ti ringraziamo per avere visitato queste pagine. |