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Cinemazero di Pordenone, 30 gennaio 2013: "Gli ultimi", regia di Vito Pandolfi

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"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA
Pier Paolo Pasolini fece una recensione...
Cinemazero di Pordenone, 30 gennaio 2013:
Gli ultimi, un film di Vito Pandolfi e padre David Maria Turoldo

Grande serata-evento mercoledì 30 gennaio 2013 alle 20.45 a CINEMAZERO con la proiezione speciale della versione inedita de Gli ultimi di Vito Pandolfi e padre David Maria Turoldo. Ingresso unico 5 euro e se acquistate la preziosa edizione del doppio dvd si entra gratis... Non mancate!
"Quando uscì l'opera trovò più che altro diffidenza per quel suo modo asciutto e rigoroso di raccontare la miseria contadina, così lontana dal baccano consumistico degli anni del boom economico. Alla critica del tempo la leggenda angosciosa di chi sceglie la durezza della vita contadina piuttosto che l'emigrazione sembra condizionata da una visione populista degli accadimenti, una sorta di tardo neorealismo. Doveva essere Gli ultimi, il primo atto di una trilogia sul tema ma - e di questo Turoldo restò non poco mal ripagato - il progetto non fu realizzato. Così il film nel giro di qualche anno finì per cadere nell'oblio." Così a firma "von zercläre", scritto in friulano, abbiamo letto nel numero di giugno di "Ladins dal Friûl" a proposito della riproposta del film di recente restaurato.
Gli ultimi uscì nel 1963, ispirato dalla memoria autobiografica di padre David Maria Turoldo: lui fanciullo a Coderno di Sedegliano. Memoria trasferita su pellicola dallo stesso Turoldo e da Vito Pandolfi, regista e uomo di teatro, ma naturalmente all'epoca il film non trovò grande comprensione. Di recente la Cineteca di Gemona, Cinemazero di Pordenone e Centro Espressioni Cinematografiche di Udine, hanno restaurato e ripubblicato "Gli Ultimi", quasi per soddisfare uno degli ultimi desideri espressi da Turoldo .
La vicenda ambientata negli anni '30 è quella di una famiglia contadina del medio Friuli che, nonostante la miseria, sceglie di continuare a lavorare la poca terra, a "spigolare" le pannocchie, a tagliare l'erba per le capre ai bordi dei fossati, piuttosto che emigrare come minatori in Belgio, dove perderà anche un giovane figlio. La vita è scandita dai gesti quotidiani di dignità con nessun cedimento alla rassegnazione da parte di Zuan, il capofamiglia, che ogni sera, dopo aver fatto il segno di Croce sulla polenta, ne distribuisce una fetta ai figli e alla moglie. Una seconda fetta rappresenta il formaggio, quando questo non c'è, come accade di solito. La vita e la morte si colgono soprattutto con gli occhi di Checo, bambino assetato di amicizia e di affetto, e nutrito di timidezza e paura. Soprattutto di essere un "nulla", alla pari dello spaventapasseri, solitaria e familiare figura che si staglia nell'uguale continuità dei campi.
Rivedere il film oggi è un'altra cosa, quando sono ormai lontani i tempi in cui qualsiasi immagine neorealista che fotografasse la realtà di miseria, di nuda sopravvivenza ma di orgogliosa dignità dalle quali eravamo appena usciti negli anni '50 , veniva rifiutata da generazioni ormai proiettate verso la costruzione e la ricerca dei nuovi "consumi".
Rivederlo oggi, dunque ha un altro sapore. Finalmente ci siamo saziati di tutto ciò che abbiamo acquistato col denaro, della facilità di comunicare con tutti e in un solo istante, tanto sazi che le immagini di Checo, fanciullezza inconsciamente sacrificata alla quotidianità miserevole eppure sacrale di una povera famiglia contadina, ci appaiono non semplice datato neorealismo, ma nostalgia e bellezza pura.
Questo film non dovrebbe mancare di essere rivisto oggi e di occupare un posto prezioso nello scaffale di chi ha a cuore l'anima del Friuli.

HANNO SCRITTO SUL FILM:

Pier  Paolo Pasolini nel 1962:

"Gli ultimi: «Assoluta severità estetica»
di Pier Paolo Pasolini
in “Ultime notizie Globe”, III, 22 marzo 1963
in Saggi sulla letteratura e sull’arte, II, Meridiani Mondadori, Milano 1999


Una nostalgia in quanto peccato, e quindi dominata da un severo, quasi squallido senso di rinuncia, è l'ideologia di questo film. Esso vi è coerente dal principio alla fine, e finisce quindi col presentarsi come un sistema sti­listico, chiuso e senza un cedimento o un compromesso.
Non si sfugge né alla monotonia della nostalgia, né al grigiore della morale. Gli ultimi è un film monotono e grigio, ma carico di una esasperata coerenza col proprio aasuntostilistico, e quindi profondamente poetico. Non per niente non c'è una inquadratura girata col sole: la luna è sempre quella dell'inverno con le nuvole alte e compatte, che, a loro modo, sono assolute come il sereno. E il paese è sempre immobile, in purissimo bianco e nero, e la campagna nuda, disegnata con una punta di ferro. La visione delle cose è sempre frontale, e, nel tempo stesso, ristretta, quasi che anche lo sguardo che un occhio può, infine, gettare liberamente al mondo, fosse dominato dall'obbligo morale alla piccolezza e alla rinuncia. È evidentemente il sentimento religioso di padre Turoldo, che impone questa parola, e dice: «Se nostalgia per il mio paese e la mia infanzia ci deve essere, non deve però abbellirli: deve anzi ridurli all'estremo, e la sua dilatazione deve solo avvenire nel senso della profondità».Vito Pandolfi ha eseguito con assoluta severità estetica questo obbligo religioso quasi nevrotico. E tutti i personaggi tendono così ad assimilarsi ad esso: magri, stremati, grigi, malati, anonimi, sostenuti solo da un sof­fio di spiritualità quasi faziosa. Piano piano la suite della vita nel paesello pedemontano, con le sue case di sassi grigi e le sue strade bianche, nella luce accecante dell'aria di neve, diviene iterazione, litania: la serie degli episodi si fa ossessiva, e i significati della povera vicenda umana trapassano a una simbologia tanto più povera di ornamento quanto più ricca di un quasi fisico dolore".


Giuseppe Ungaretti nel 1962: 

"Sarà la solitudine stupenda del Friuli nella quale ho vissuto nei primi due anni della prima guerra, alternandone il soggiorno con il Carso, sarà l'arte del bimbo incredibilmente spontanea e vera, sarà il modo semplice e assoluto di mostrare i terribili simboli della morte e della fame, so che si tratta di un film indimenticabile, infinitamente più bello dei pochi che quest'anno ho ammirato, si tratta di un film unicamente dettato da schietta e alta poesia"


David M. Turoldo

"I figli si scoprono nei padri, nei gesti dei padri: nel bere con gusto il vino e nell'accettare con virile grandezza fatica e sofferenza. E' il film che presenta un'esistenza ancora legata alla natura, dove ancora senso magico non si oppone a sacralità, una esistenza che sa quanto valga il dono della polenta, del pane, delle castagne, del vino, dell'acqua; un'esistenza che precede quella nostra civiltà del benessere; una sorta - per così dire - di civiltà "anti-spreco" nella quale nascere poveri non impedisce di scegliere la povertà."
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi
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