Il mio corpo nella lotta
di Enzo Siciliano
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ARCHIVIO STORICO DEL "CORRIERE DELLA SERA", 22 OTTOBRE 1992
.ARCHIVIO STORICO DEL "CORRIERE DELLA SERA", 22 OTTOBRE 1992
Esce tra qualche giorno per Einaudi il romanzo incompiuto Petrolio, ricostruito
dal filologo Aurelio Roncaglia. Pasolini, l'omosessualità e la rabbia contro il Palazzo
dal filologo Aurelio Roncaglia. Pasolini, l'omosessualità e la rabbia contro il Palazzo
Nel postumo Il poeta delle "Ceneri, autobiografia in versi, come dettata a un intervistatore americano - sono versi del 1966 -, parlando di progetti futuri, Pasolini, scrisse: "...io vorrei soltanto vivere - pur essendo poeta - perché la vita si esprime anche solo con se stessa. Vorrei esprimermi con gli esempi. Gettare il mio corpo nella lotta. Ma se le azioni della vita sono espressive, anche l'espressione è azione...".
Pasolini, lo sappiamo, non avrebbe esitato a gettare il proprio corpo nella lotta: ma ve lo gettò da scrittore, con le polemiche corsare e luterane. Aveva un'ossessione: che l' Italia stesse vivendo un processo di adattamento alla propria degradazione: "Un paese spoliticizzato, un corpo morto i cui riflessi non sono che meccanici". Di quel processo volle essere insieme il giudice e il ministro. Le accuse che pronunciò erano violente, e la sua violenza era quella di un innamorato.
La nostra letteratura conosce pochi scrittori innamorati, come Pasolini lo fu, dell'Italia intera, della sua cultura, del suo paesaggio, della sua gente. Negli ultimi due tre anni di vita scrisse cinquecento cartelle di un romanzo che ne avrebbe dovuto contare duemila (così diceva), Petrolio, dove il furore di quelle accuse e della passione innamorata sembrano confondersi in una drammatica necessità sacrificale. Oggi si annuncia la pubblicazione, da parte della Einaudi, delle cinquecento cartelle incompiute. Petrolio è dunque, in circa seicento pagine a stampa, il risultato di un lungo lavoro filologico eseguito sotto la guida di Aurelio Roncaglia, un lavoro che pare abbia reso semplice, nei limiti del possibile, la lettura di un testo tormentato da pentimenti, da rotture, anche da vuoti che restano tali.
Nel libro, è la crisi italiana, una crisi culturale oltre che politica, a essere con prepotenza in primo piano. Lo sfondo è la società burocratica di Roma, quella che intreccia i propri affari e ricava sostentamento nei luoghi del potere finanziario e statale. E' il "Palazzo" che ci si spalanca davanti, con tutti i nomi e i cognomi di sempre, travolto dalla fantasia pasoliniana e divenuto luogo di non troppo romanzesche infamie. Contro e dentro quel "Palazzo", ecco muoversi il protagonista della vicenda, un uomo dell'industria petrolifera, una figura sdoppiata, dal profilo androgino, replicante provocatorio del mondo che lo circonda, suo correlativo dissolutore, e insieme l'opposto, incarnazione di un bisogno inestinguibile di cambiamento, o della ambigua dolorosa virtù del cambiamento.
Questo doppio protagonista, doppio nella sessualità, non è estraneo all'immaginazione narrativa di Pasolini. Nei brogliacci inediti giovanili, quelli da cui fu ritagliato Il sogno di una cosa, e ne La divina mimesis, è già presente. Ma in Petrolio la sostanza è tutta diversa. C'è una rabbia nuova, che ubriaca i fogli del libro incompiuto. Lo scrittore sembra aggredire un'emozione recalcitrante alla luce che lui stesso vi proietta sopra; e il lettore ha la sensazione di penetrare in un segreto, non soltanto da officina letteraria, che non vuole essere violato. E che tuttavia pretende d' essere violato.
Le pagine più felici in senso plastico, di una felicità espressiva dal colore mortuario, sono quelle erotiche. Mai Pasolini ha rappresentato con tanta sacrale e rabbrividita esplicatezza la sensualità omosessuale. In una scena notturna, su un prato di periferia, affollato di ragazzi di vita che si lasciano andare al coito orale con il protagonista duplice e infemminito, come in un rito che rimargini le ferite dell' anima e insieme le unga di sale, è possibile avvertire quanta straziata esperienza umana vi sia sigillata, quanto di vissuto e di disperatamente incompiuto. La passione erotica, in quelle pagine, è una recidiva, un ritmo ripetitivo che rende la vita crudelmente sempre identica a se stessa. In una intervista rilasciata in Francia, al settimanale "Lui", Pasolini aveva detto: "Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro. (...) Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano". Credo che Petrolio rappresentasse per lui la chance estrema per lo scandalo.
Le pagine più felici in senso plastico, di una felicità espressiva dal colore mortuario, sono quelle erotiche. Mai Pasolini ha rappresentato con tanta sacrale e rabbrividita esplicatezza la sensualità omosessuale. In una scena notturna, su un prato di periferia, affollato di ragazzi di vita che si lasciano andare al coito orale con il protagonista duplice e infemminito, come in un rito che rimargini le ferite dell' anima e insieme le unga di sale, è possibile avvertire quanta straziata esperienza umana vi sia sigillata, quanto di vissuto e di disperatamente incompiuto. La passione erotica, in quelle pagine, è una recidiva, un ritmo ripetitivo che rende la vita crudelmente sempre identica a se stessa. In una intervista rilasciata in Francia, al settimanale "Lui", Pasolini aveva detto: "Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro. (...) Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano". Credo che Petrolio rappresentasse per lui la chance estrema per lo scandalo.
Aveva chiesto, sulla metà dell'ottobre 1975, a Dino Pedriali che lo fotografasse nudo, da fuori la vetrata della sua stanza da letto alla Torre di Chia. Gli disse che le foto avrebbero dovuto illustrare il romanzo cui stava lavorando. Negli scatti di Pedriali pare notte all'esterno: dentro la stanza c'è una cruda luce elettrica. In quella luce, una muscolatura da calciatore, il corpo asciutto semisdraiato sulla coperta bianca del letto, o in piedi vicino al cassettone, il sesso esibito, Pasolini sfoglia un libro. Nella sua fisicità non c'è scandalo. Assorbito nella lettura, mostra indifferenza all'atto, una forma di pudicizia sostanziale che sventa qualsiasi illazione.
In quell'immagine è la metafora visibile del suo essere tragicamente teso fra il sacro e il profano. Lo scandalo di Petrolio, casomai, sta altrove: sta nell'accanimento con cui Pasolini, un kamikaze, si lancia contro la parete vischiosa della nostra società, nel modo lucido in cui ne analizza la dissoluzione o la perversa tenacia autoassolutoria. Lo scandalo sta in pagine come questa: "Degli uomini colti non vi fu uno che avesse il coraggio di alzare la voce per protestare. Il rischio dell' impopolarità faceva più paura del vecchio rischio della verità". Del resto anche la cultura specializzata era degna del suo tempo: ormai la sua organizzazione interna era definitivamente pragmatica: i prodotti intellettuali erano prodotti del loro esserci, come cose o fatti: scommesse perse o vinte. La malafede era ideologizzata come elemento del modo d'essere colti o addirittura poeti. "Dei 'gruppi' (...) facevano del 'potere letterario' il loro fine dichiarato o diretto, non solo senza pudore, ma addirittura gestendo contemporaneamente una funzione moralistica, terroristica e ricattatrice, desunta, con inaudita sfacciataggine, dal gauchismo pateticamente sconfitto. L'unica realtà che pulsava col ritmo e l'affanno della verità era quella - spiegata - della produzione, della difesa della moneta, della manutenzione delle istituzioni essenziali al nuovo potere, e non erano certamente le scuole, né gli ospedali...".
In quell'immagine è la metafora visibile del suo essere tragicamente teso fra il sacro e il profano. Lo scandalo di Petrolio, casomai, sta altrove: sta nell'accanimento con cui Pasolini, un kamikaze, si lancia contro la parete vischiosa della nostra società, nel modo lucido in cui ne analizza la dissoluzione o la perversa tenacia autoassolutoria. Lo scandalo sta in pagine come questa: "Degli uomini colti non vi fu uno che avesse il coraggio di alzare la voce per protestare. Il rischio dell' impopolarità faceva più paura del vecchio rischio della verità". Del resto anche la cultura specializzata era degna del suo tempo: ormai la sua organizzazione interna era definitivamente pragmatica: i prodotti intellettuali erano prodotti del loro esserci, come cose o fatti: scommesse perse o vinte. La malafede era ideologizzata come elemento del modo d'essere colti o addirittura poeti. "Dei 'gruppi' (...) facevano del 'potere letterario' il loro fine dichiarato o diretto, non solo senza pudore, ma addirittura gestendo contemporaneamente una funzione moralistica, terroristica e ricattatrice, desunta, con inaudita sfacciataggine, dal gauchismo pateticamente sconfitto. L'unica realtà che pulsava col ritmo e l'affanno della verità era quella - spiegata - della produzione, della difesa della moneta, della manutenzione delle istituzioni essenziali al nuovo potere, e non erano certamente le scuole, né gli ospedali...".
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"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi le notizie contenuti in oltre dodicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini. * * * Il contatore di accessi è stato inserito il 13 gennaio 2013 e da quella data vengono visualizzate tutte le visite a questo blog. Gli accessi pregressi sono quindi da sommare a quelli esposti dal contatore di Shiny Stat sottoriportato. Dal conteggio statistico di "Blogger" nel periodo dal 15 febbraio 2012 (data di creazione del blog) a tutto il 12 gennaio 2013 gli accessi risultano essere stati 499.939. Ti ringraziamo per avere visitato queste pagine. |