"Pagine corsare"
Pier Paolo Pasolini a New York, un amore possibile
«Quanto mi dispiace partire, mi sento derubato. Mi sento come un bambino di fronte a una torta tutta da mangiare, una torta di tanti strati, e il bambino non sa quale stato gli piacerà di più, sa solo che vuole, che deve mangiarli tutti. Uno ad uno. E nello stesso momento in cui sta per addentare la torta, gliela portano via». Così Pier Paolo Pasolini saluta New York e Oriana Fallaci, che lo intervista.
È la fine dell'estate del 1966, e Pasolini si trova in America per la presentazione di due film, "Accattone" e "Uccellacci e Uccellini", al festival di Montreal, in Canada. Prima di tornare in Italia trascorre dieci giorni a Manhattan, una permanenza tanto breve quando intensa, che accende un amore che qualcuno direbbe impossibile. Aprendosi con la Fallaci, Pasolini parla dell'amore, inaspettato e apparentemente contraddittorio di un marxista convinto per la città simbolo del capitalismo mondiale. Un amore presto ricambiato. Già dagli anni settanta la critica newyorkese scrive diffusamente di Pasolini, con Richard Schickel che spiana la strada recensendo "Il Vangelo secondo Matteo" su Life magazine come "il migliore film di tutti i tempi". I film di Pasolini cominciano a entrare nei circuiti cinematografici, le sue opere letterarie vengono tradotte.
Nel suo viaggio newyorkese, Pasolini incontra molti intellettuali americani. Con Allen Ginsberg, («Su New York esistono solo le sue poesie», disse), strige un'amicizia duratura, tanto che i due si rincontrarono già l'anno seguente a Milano. È accompagnato da Ninetto Davoli, il giovane e inseparabile "attore di borgata", scritturato per le strade di Roma "per interpretare se stesso". «L'impatto con la città è stato incredibile», ricorda Davoli di nuovo a New York questa settimana, in occasione della grande retrospettiva che il Museum of Modern Art dedica a Pasolini fino al 5 gennaio, in collaborazione con l'Istituto Luce.
L'accento romano che evoca il quartiere prenestino nel quale è cresciuto, il sorriso disarmante, i riccioloni folti, ormai completamente bianchi, Davoli ha seguito tutta la rassegna organizzata per il lancio della mostra. Era al PS1 (la "divisione sperimentale" del MoMA nel Queens), dove esprimendo la sua felicità per il successo dell'amico, ha alzato gli occhi al cielo esclamando "A Pà, lo stanno comincià a capì!".
Davoli era anche al MoMA giovedì, dove è stata presentata una versione restaurata di "Medea", il film del 1969 interpretato da Maria Callas.Tra il pubblico che affollava la sala, c'era anche il ministro Lorenzo Ornaghi, in America per l'inaugurazione dell'Anno della Cultura italiana negli Stati Uniti. Prendendo la parola prima dell'inizio del film, Ornaghi si è unito al coro degli ammiratori di Pasolini, sostenendo di amarlo per la sua «contemporaneità».
Davoli, come una sorta di alter ego di un nuovo viaggio di Pasolini a New York, era presente anche venerdì, sempre al MoMA, per leggere poesie e scritti insieme a una delegazione di attori, tra cui Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Beppe Fiorello e Lidia Vitale. E c'era anche domenica, al PS1, per la rassegna di performance che alcuni artisti contemporanei, tra cui Alfredo Jaar, Fabio Mauri e Barbara Hammer, hanno realizzato ispirandosi al lavoro di Pasolini. Ha infine visitato anche la mostra di disegni che da questa settimana il centro culturale non profit Location One dedica a un talento meno conosciuto del regista, scrittore e intellettuale italiano.
«Proprio i disegni sono l'unico aspetto dell'opera di Pasolini che non era ancora stato presentato negli Stati Uniti», spiega la curatrice del MoMA Jytte Jensen, che ha organizzato la retrospettiva. Seduta nel suo luminoso ufficio, Jensen ricorda di quando, nel 1990, collaborò con Laura Betti per l'organizzazione della prima grande mostra americana dedicata a Pasolini, sempre al MoMA, intitolata "Pier Paolo Pasolini, The Eyes of a Poet" (gli occhi di un poeta). «Quelli erano tempi in cui la gente si fermava dopo le proiezioni per discutere sui film», racconta. «In quell'occasione ho iniziato ad amare Pasolini, a capire quanto sia essenziale il suo lavoro. Lui è stato in grado di analizzare davvero il suo tempo, di comprendere le decisioni politiche per cui la gente credeva di aver votato». Inoltre, spiega Jensen, «è stato un regalo per me, mi ha aiutato a riconoscere un'opera d'arte, a capire cos'è un vero lavoro artistico». Per questo, presentando la mostra al pubblico americano, ha detto: «Ogni generazione dovrebbe avere il suo Pasolini».
La New York conosciuta da Pasolini era molto diversa da quella di adesso, più pericolosa, più estrema, più "esotica", ma lo spirito che anima i suoi abitanti, quello non è cambiato. Nel 1966, rispondendo alle domande di Oriana Fallaci, Pasolini descrive New York come «una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogniqualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia. Mi dispiace non esser venuto qui molto prima, venti o trent'anni fa, per restarci. Non mi era mai successo conoscendo un Paese. Fuorché in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare per non ammazzarmi. L'Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti, una evasione. New York non è un'evasione: è un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent'anni».
Dopo quel viaggio non venne più a New York, ma se non fosse morto prima del tempo ci sarebbe forse tornato. Magari per girare un film. Confessa alla Fallaci: «M'è venuta un'idea, conoscendoli: ambientare in America il mio film su san Paolo. Voglio trasferire l'intera azione da Roma a New York, situandola ai tempi nostri ma senza cambiar nulla. Mi spiego? Restando fedelissimo alle sue lettere. New York ha molte analogie con l'antica Roma di cui parla san Paolo. La corruzione, le clientele, il problema dei negri, dei drogati».
Scoprire di amare New York, per Pasolini, secondo Jensen «deve essere stato scioccante. L'idea di questa città incarnava l'antitesi della sua visione. Ma è quello che succede ancora oggi a molti europei, questo è quello che è successo a me». Nel 1966, parlando delle ragioni per cui New York lo stava conquistando, Pasolini nomina la miseria, paragonando la metropoli americana all'antico Egitto. C'è «lo stesso tipo di miseria, o povertà, che si trova nelle ex colonie divenute indipendenti da poco», spiega. «Non una miseria economica, la miseria di chi non ha da mangiare: una miseria, ecco, psicologica. Quella sporcizia diffusa, quella provvisorietà. Le strade male asfaltate, che quando piove si riempiono di gore. I muri neri o marroni, costruiti in fretta per esser buttati giù in fretta. E mai un angolo tirato a lucido, destinato a durare. C'è anche Park Avenue, siamo d'accordo, ci sono gli splendidi grattacieli di vetro: ma quelle son le piramidi. Esser qui oggi è come trovarsi in Egitto quando gli schiavi costruivano le piramidi. Sai, non è mica detto che gli schiavi in Egitto vivessero male».
New York, da chi non la conosce, è spesso immaginata come una città abitata da persone schiave del lavoro e del danaro. «E poi, quando arrivi - spiega Jensen - scopri che invece è piena di gente entusiasmente, innovativa». E anche elegante, aggiungerebbe Pasolini se ripensasse alle impressioni raccolte sui newyorchesi durante la sua breve visita. «Hanno un gusto favoloso: guarda come sono vestiti. Nel modo più sincero, più anticonformista possibile. Non gliene importa nulla delle regole piccolo-borghesi o popolari. Quei maglioni vistosi, quei giubbotti da poco prezzo, quei colori incredibili. Non si vestono mica, si mettono in maschera: come quando da piccola ti mettevi la palandrana della nonna», racconta a Oriana Fallaci.
Un amore reciproco, quello tra l'America e Pasolini, rapido, passionale, che tuttavia non sembra aver lasciato tracce evidenti, esplicite, nella sua opera e in quella dei registi contemporanei. Pasolini, in gioventù, si dichiarava affascinato dalla «brutalità e dalla violenza» dei film di Hollywood. «Nelle sue opere vedo violenza, ma non brutalità», spiega Jensen. «Quello che trovo piuttosto è compassione».
Riguardo all'impatto di Pasolini sugli artisti americani, la curatrice riconosce certamente «una grande influenza generale, sul modo di pensare, sul modo di considerare il cinema come una forma artistica seria, come strumento di conoscenza e comprensione della società. Ma non vedo nessuna eredità esplicita nelle opere dei registi americani di oggi, vedo artisti che traggono ispirazione dalla sua opera, ma nessun chiaro erede». L'unico a potersi considerare tale, «sarebbe forse l'italiano Matteo Garrone, che dimostra una sensibilità affine verso le persone ai margini della società, che affronta con la stessa forza temi politici e sociali e che lavora con lo stesso spirito con attori non professionisti». Tuttavia, precisa, «non è proprio giusto parlare di un erede».
Stando al numero di persone che ha seguito gli eventi per l'inaugurazione della retrospettiva, si potrà parlare quantomeno di ammiratori. Nella sala del MoMA, la sera della lettura degli scritti di Pasolini, sono stati proiettati alcuni frammenti di sue interviste. Il pubblico, un misto tra americani e italiani a New York, era visibilmente emozionato a sentir parlare di «nuovi padroni del regime democratico» che mirano allo «sviluppo», che produce «beni superflui», piuttosto che al «progresso», produttore di «beni necessari». Erano tutti attenti quando veniva nominato il «potere che manipola i corpi», quasi a precedere le contemporanee teorie sul tema di Slavoj Zizek. Applaudivano quando nella sala risuonava il riferimento «alla società del consumo che riesce a ottenere l'omologazione sociale e culturale che il fascismo non ha saputo creare».
Al tempo di queste dichiarazioni, «Pasolini aveva anche scatenato l'indignazione di una certa classe sociale americana, estremamente moralista», spiega Jensen. Ma ora è diverso. Ora tutti lo considerano «un maestro».
Pier Paolo Pasolini
13 dicembre 2012– 5 gennaio 2013
The Roy and Niuta Titus Theaters (MoMA)
Evento coprodotto da Istituto Luce Cinecittà, The Museum of Modern Art, Cineteca di Bologna
Main sponsor: Gucci
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"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi le notizie contenuti in oltre dodicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini |