"Pagine corsare"
Alberto Perozzi e l'ultima partita di Pasolini.
San Benedetto del Tronto, 14 settembre 1975
Uno scritto che Francesco Anzivino
ha tratto dal suo reading NovantaPa', messo in scena
alla Pietraia dei Poeti lo scorso 17 novembre
A San Benedetto del Tronto c'è uno stadio, o meglio c'era (dato che oggi è impiegato per il rugby) e probabilmente, considerata la riqualificazione dell'area, non ci sarà più in futuro. Un impianto intitolato a due delle vittime della tragedia di Superga, Dino e Aldo Ballarin - nome per inciso sicuramente più apprezzabile del precedente “Littorio” e dell'anonimo “Comunale” postguerra - che a sua volta ha visto concretizzarsi in pochi attimi, il 7 giugno 1981, la più grande tragedia avvenuta tra gli spalti italiani, con un rogo che uccise due ragazze e provocò 64 ustionati di cui 11 gravi.
Tuttavia nella storia del quasi fu “F.lli Ballarin” si deve ricordare anche il 14 settembre 1975, giorno in cui a scendere in campo, per altro, non fu la Sambenedettese, perlomeno non la prima squadra che, più che dignitosamente, passò buona parte degli anni '70 e '80 in serie B. Quel giorno infatti i rossoblù erano vittime predestinate in Coppa Italia a Milano contro l'Inter di Vieri, Oriali, Facchetti, Mazzola e Boninsegna (anche se il 3 a 0 senza storia patito a San Siro sarebbe stato vendicato la domenica successiva in casa con una prestazione 'mitologica' contro i campioni d'Italia della Juventus, con il doppio svantaggio, firmato da Capello, rimontato da Chimenti e Simonato, fra gli eroi di un'epica tutta provinciale e rivierasca).
A indossare la maglia dai colori “del vino e del mare” nomi che a nord e a sud del Tronto non dicono nulla, Gigi Traini, Serafino ‘Safì’ Capralini, Etro Ferretti, Luciano Cacchiò, Marcello Flammini, Sirio Santi, Angelo Buratti, Luigi ‘Sufiola’ Palestini IV, Filippo Traini, Dante detto ‘Dio-Madonna’ (sic), Francesco Palma. Vecchie glorie di una Samb ancor minore, che lasciarono per un giorno chi un bar, chi una profumeria, chi una sanitaria, chi i pennelli, per indossare nuovamente gli scarpini e confrontarsi con una formazione “piuttosto originale”, come ebbe a scrivere giovedì 11 settembre 1975 la pagina locale de Il Messaggero, che in una breve annunciava: "Scenderà (sic) in campo per i primi: George Anderson, Ninetto Davoli, Max Din (sic), Don Bachy (sic), Enzo Cerusico, Bruno Filippini, Philippe Le Roy, Gigi Marziali (Supersonic), Maurizio Merli, Pier Paolo Pasolini, Luciano Rossi, Antonio Sabato, Vinella (alto gradimento), Gianni Zani. […]
Si trattava della Nazionale attori e cantanti, animata dall'agente cinematografico Giacomo Ciarlantini (che vanterà nella sua scuderia nomi del calibro di Fabio Testi e Moana Pozzi...), da Livio Lozzi (che trasformò l'improvvisazione iniziale degli artisti appassionati di calcio in una vera e propria associazione sportiva), da figure ambigue come Romolo Croce (che sarebbe stato poi, con le sue rivelazioni, uno dei punti di partenza dell'inchiesta sul calcioscommesse del campionato 1979-80).
A organizzare la partita due particolari personaggi sambenedettesi, Carlo Luzi e Alberto Perozzi. Il primo, fioraio, aveva sfiorato il mondo dello spettacolo nel 1956, considerata la somiglianza straordinaria con Yul Brynner - all'epoca sugli schermi come re del Siam in Il re ed io e come Ramesse in I 10 comandamenti - che lo portò a vincere a Salsomaggiore un concorso collegato al programma televisivo “Un due tre” condotto da Vianello e Tognazzi. In quell'occasione Luzi, vicino di stanza di Celentano che partecipava alla medesima manifestazione come sosia di Jerry Lewis, strinse amicizia con Tano Cimarosa, che ancora non era stato consacrato sugli schermi (il che sarebbe successo solo nel 1968 con Il giorno della civetta di Damiani, in cui interpretò magistralmente il ruolo di Zecchinetta). Il caratterista diventò una presenza abituale nella casa sambenedettese del sosia di Yul Brynner, tanto che decise di spostare da Padova (dopo il diniego delle autorità di Messina, considerato il tema scabroso) a San Benedetto del Tronto l'ambientazione de Il vizio ha le calze nere, esordio di Cimarosa dietro la cinepresa, thriller a sfondo saffico non proprio indimenticabile, pur con qualche intermezzo comico, che annoverava nel cast lo stesso attore messinese, John Richardson, Dagmar Lassander, Giacomo Rossi Stuart e soprattutto Ninetto Davoli. Fu proprio in questa circostanza che Carlo Luzi divenne amico (e lo è tuttora) dell'attore pasoliniano per eccellenza, che nel giallo all'italiana in salsa rivierasca recitava il ruolo – ricorrente – di delinquente borgataro.
Furono proprio i legami di amicizia di Luzi con questi personaggi del cinema che spinsero l'altro organizzatore, Alberto Perozzi, a mettersi in moto. Figura vulcanica, figlio di funaio (mestiere fieramente sambenedettese), ex-partigiano, amico di Renato e Ugo (Pirro) Mattone (che passarano parte della giovinezza a San Benedetto durante la seconda guerra mondiale, al seguito del padre capostazione, come raccontato in Figli di ferroviere, testo autobiografico del grande sceneggiatore pubblicato da Sellerio nel 1999), intellettuale quasi del tutto autodidatta, operatore turistico, giornalista, poeta dialettale, ideò il fantomatico Trofeo SUD-EST che avrebbe visto affrontarsi la squadra di Pasolini e una sfilza di vecchie glorie della Sambenedettese. L'obiettivo principe, come scrisse Perozzi ricordando l'evento nella prefazione al libretto di sala di Tra i pari e i dispari, recital poetico di Eduardo De Filippo tenutosi nel 1981 al Teatro Calabresi di San Benedetto, era quello di portare “personaggi dei quali, in provincia, arriva solamente l'eco, talvolta imperfetta, delle cronache”.
Pasolini giunse in macchina a San Benedetto del Tronto sul tardo pomeriggio del 13 settembre. Aveva impiegato quasi quattro ore lungo la Salaria, l'antica strada del sale che collegava l'Adriatico (proprio da Truentum, antenata dell'odierna San Benedetto) a Roma. Racconta Perozzi in un articolo pubblicato anni dopo su un periodico locale (per altro con alcune imprecisioni dovute alla distanza temporale dai fatti), che il grande regista aveva voluto gustare con calma il paesaggio di quella strada nobile, dato che “a percorrerla in fretta si perdono dettagli importanti. Sarebbe come visitare una galleria d'arte a passo di bersagliere”. Dalle testimonianze ricavate da Marcello Sgattoni, amico di Perozzi e scultore che peraltro, da adolescente, aveva conosciuto nel 1955 un Pasolini poco più che trentenne in quel di Ortisei, l'uno in un campeggio organizzato dalla CISL, l'altro impegnato con Giorgio Bassani per la sceneggiatura del film Il prigioniero della montagna, il regista di Salò passò il dopocena a contemplare il paesaggio marittimo che si intravedeva dalla collina soprastante la città (dove era situato il ristorante “La plancia”) e ascoltò interessato l'idea di organizzare un'opera lirica all'aperto, lì, con il palco costituito dalle zolle di terra plasmate e modellate dallo stesso Sgattoni. Secondo lo scultore, Pasolini avrebbe anche lanciato l'idea di invitare la sua amica Maria Callas, ma qui ci perdiamo nel territorio dei ricordi e dei se.
La mattina dell'incontro Pasolini si fece accompagnare dagli organizzatori in un'edicola sul lungomare di Porto d'Ascoli, frazione di San Benedetto dove era situato l'hotel in cui risiedeva insieme ai suoi compagni, per comprare La Stampa, sul quale era stato pubblicato – come riferitogli da Perozzi – un polemico editoriale dal titolo Il Processo, e poi?, cui lo scrittore avrebbe risposto esattamente due settimane dopo sul Corriere della Sera con un articolo intitolato Perché il Processo (riportato poi nelle Lettere luterane). Del resto era di quei giorni anche la polemica recensione su L'Espresso degli Scritti corsari da parte di Vittorio Solmi.
La partita si tenne nel primo pomeriggio. Pasolini, come ricorda Giacomo Ciarlantini in un'intervista pubblicata sulla pagina nazionale de Il Messaggero il 4 novembre del 1975, preferiva giocare di giorno a causa dei suoi problemi di vista, che di notte gli impedivano di avere una visione globale. Non tutti gli attori riportati nel comunicato stampa dell'11 settembre scesero in campo. Dalle fotografie di gruppo (le poche sopravvissute per vie traverse alla distruzione, causa una delle frequenti alluvioni pluviali di San Benedetto, dell'archivio Baffoni, fotografo ufficiale dell'evento) si riconoscono, con la maglietta bianca con il simbolo del “Trofeo della Pace” (un albero di ulivo dalla cui sommità escono cinque mani, con i colori dei cerchi olimpici, che simboleggiano i popoli della terra e che tutte insieme sostengono il mondo - logo della squadra ideato da Lozzi), Gino Santercole, Pasolini, Marcello Verziera, Franco Bracardi (alias Vinella), Maurizio Merli e Ninetto Davoli. Ad accompagnare la squadra delle vecchie glorie rossoblù la madrina dell'evento, la starlette Sheila Ray (sulla cui carriera cinematografica non si ricorda altro che una partecipazione al softporno La zia di Monica di Giorgio Mille), per l'occasione avvolta da un sari indiano rosso. Per la cronaca il match terminò 4 a 2 per la squadra di casa, come riportò il 16 settembre la pagina locale de Il Resto del Carlino. Da un breve video dell'incontro, gentilmente offertomi da Clementina Perozzi, figlia del defunto Alberto, emergono dei ritmi di gioco molto blandi, da dopolavoro ferroviario, e soprattutto una non eccessiva partecipazione del pubblico, considerato che a stento si riempì la tribuna ovest del Ballarin, come ricorda anche Luca Luzi, figlio dell'altro organizzatore dell'incontro.
Al termine della partita Pasolini ricevette in omaggio da Perozzi (come testimonia la fotografia pubblicata sulla pagina locale de Il Messaggero del 6 novembre) un'antologia di poeti dialettali sambenedettesi (Cicero pro domo sua, c'erano anche componimenti dello stesso Perozzi, per altro curatore del volume...).
Pasolini partì il giorno dopo, non prima di aver sperimentato, insieme a Davoli, la cucina, tipicamente picena, della moglie di Luzi. Se ne andò da San Benedetto con un'immagine ambigua della città, ammirando quei piccoli residui del borgo marinaro che aveva potuto ancora intravedere (in particolare gli ultimi casotti dei pescatori vicino al faro, che di lì a poco sarebbero stati abbattuti) e criticando la massiccia cementificazione a scopi pseudoturistici (che già aveva potuto denunciare in un passaggio del suo reportage del 1959, La lunga strada di sabbia, pubblicato sulla rivista Successo). E senza sapere che quella sarebbe stata la sua ultima partita di calcio. Come ricorda Ciarlantini nella succitata intervista, sarebbe dovuto scendere in campo ad ottobre a Milano nel derby fra Nazionale Attori e esordiente Nazionale Cantanti (derby che finì in parità, 1 a 1, con reti di Nino D'Angelo e Don Backy), ma uno sciopero di Alitalia lo bloccò a Fiumicino, insieme a Davoli e Franco Citti (e ci rimase molto male). Il 13 ottobre, approfittando di un momento di pausa dalla Fiera del Libro (un “supermercato atroce”, a sua detta), insieme a Giulio Nascimbeni, giornalista del Corriere della Sera, si recò in un negozio di Francoforte per comprare una nuova divisa per la sua squadra.
Quello che successe a Ostia fra l'uno e il due novembre è (ig)noto a tutti.
Si ringraziano per le informazioni e i materiali d'archivio Anna Maria Quattrini e Clementina e Lucio Perozzi;
Luca Luzi; Barbara Domini - Museo Pietraia dei Poeti 63074 - C.da Barattelle - San Benedetto del Tronto - AP -
Italia - credits - Fondazione Pietraia dei Poeti - Via San Martino,28 - 63074 San Benedetto del Tronto
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"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni Autori associati: Alessandro Barbato, Fabien Gerard, Claudio Rampini, Marco Taffi le notizie contenuti in oltre tredicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini |