"Pagine corsare"
LA SAGGISTICA
I "ragazzi di vita" di Maurizio Fiorino
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Maurizio Fiorino, autoritratto |
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Maurizio Fiorino, calabrese di Crotone, è quello che si potrebbe definire un enfant terrible della fotografia. Trasferitosi inizialmente a Bologna, presto si sposta verso Parigi e poi New York dove frequenta la “School of the International Center of Photography”.
Con alle spalle tre facoltà iniziate e mai terminate (Scienze Politiche, Lettere, Dams, ndr) e varie bocciature all’esame di fotografia, Maurizio è uno di quei ragazzi che ce l’ha fatta. A dispetto di tutto e tutti.
E rivolgiamo lo sguardo innanzitutto ai molteplici successi raggiunti.
Basta considerare il fatto che a soli 28 anni ha esposto le sue opere a New York, prima alla Leslie Lohman Gallery (2008) e poi alla CATM Gallery (2010), passando per Palazzo Marino a Roma (2009) e il Mack, il Museo d’Arte Contemporanea di Crotone.
I suoi punti di riferimento sono da sempre Pier Paolo Pasolini e Diane Arbus, la grande fotografa americana che per prima ha ispirato i suoi lavori.
Le sue opere ritraggono soprattutto corpi e volti, maggiormente di ragazzi (primo tra tutti il suo, come possiamo vedere dai suoi innumerevoli self-portraits).
Il set scelto e preferito è quello della strada.
Il suo stile, dall’approccio narrativo e dal sapore intimo, si caratterizza, oltre che per l’informalità delle immagini che rimandano ad una visione iperrealista e cruda del mondo, dalla straordinaria vitalità che conferisce ai protagonisti di questi scatti: corpi in bella vista carichi di eccessi sensuali che guardano all’obiettivo tirando fuori l’anima e trattenendo la solennità di un momento di vita vissuta. Quasi a celebrarla in un’istantanea.
In “Boys of life”, sua prima mostra, Maurizio racconta la vita e la dimensione intima di quei “ragazzi di vita” di origine pasoliniana al giorno d’oggi: “ragazzi cresciuti troppo in fretta, figli di una generazione povera e alienati dalla solitudine” per dirla alla Pasolini.
TheBAG incontra Maurizio Fiorino per una breve intervista.
Chi è oggi Maurizio Fiorino?
Un ragazzo che ha da poco compiuto ventotto anni e che ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita in giro per il mondo vivendo prevalentemente a Bologna prima, e a New York dopo. Adesso sono tornato nella mia città natale per realizzare un progetto fotografico che mi porto dietro da almeno tre anni e per insegnare Yoga, altra mia grande passione.
La tua vita è costellata di esperienze in diverse città del mondo (Bologna, Parigi, New York, Berlino, Londra, etc.) e in ogni città sembra tu abbia trovato sempre una nuova cosa da raccontare con la fotografia. Una nuova dimensione spaziale da dove poter fornire il tuo personale punto di vista. In particolare che peso ha avuto la città di New York nel tuo percorso artistico?
Sia a livello artistico che personale mi ha riempito il cervello e cuore di cose che nessuna scuola in Italia poteva darmi. Anche vedere una mostra lì, poi la rivedì a Berlino e a Londra dopo due anni e tutti a spellarsi le mani per la “novità”. Ma quale novità, se a New York ormai è una cosa che appartiene al passato! Io mi sento un newyorkeseuropeo a tutti gli effetti perché New York è un modo di essere e di prendere la vita, ti è dentro più che intorno. Però è come una droga, è giusto provarla ma poi devi andare oltre, devi capire quando un posto ti sta logorando e quando la dipendenza supera la libertà stessa che provi quando sei lì, e io non voglio dipendere da niente e da nessuno per questo vorrei vivere lì soltanto pochi mesi l’anno. Per non parlare del fatto che siamo europei e abbiamo una storia che ci appartiene e che ci ha formati; lì la storia non sanno neanche dove sta di casa.
Ti ricordi qual è stata la prima fotografia che hai scattato?
La mia faccia. Io sono ancora il mio modello preferito, mi fotografo ogni giorno e da quando ho cominciato a usare la macchina fotografica, tutti i momenti importanti della mia vita sono indelebili. Mi fotografo durante ogni viaggio, mentre piango, mentre sono in bagno, mentre faccio l’amore, mentre pratico yoga, mentre faccio di tutto insomma, e mi vedo cambiare. Se mi fotografo in un posto, so che la fotografia ferma quell’attimo e quando la rivedo, so che in quel posto ci sarò per sempre. L’anno scorso ho girato l’Europa per sei mesi ininterrottamente e quando sono arrivato a Cracovia, mi sono fotografato prima e dopo aver visitato i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Nelle foto, nonostante siano state scattate lo stesso giorno e a distanza di poche ore l’una dall’altra, mi vedo io, la mattina con gli occhi rilassati e appena svegli del sonno e poi, dopo aver visitato quell’orrore, lo sguardo è scioccato, i muscoli del viso sono tesi, l’espressione triste.
Che tipo di macchina fotografica usi?
In questo momento sto usando una Canon per le foto digitali e, per quanto riguarda la pellicola che ultimamente sto preferendo al digitale, ne uso due: la Yashica T4 e una Nikon F100.
Come scegli i tuoi soggetti?
Le persone che fotografo sono tutte persone con un qualcosa da dire, non riuscirei più a lavorare per la moda, un mondo in cui il soggetto è solo un manichino a cui poggiare addosso degli abiti. Certo, sono esistiti e forse esistono ancora fotografi che hanno fatto grande la fotografia di moda così come esistono stilisti che creano opere d’arte, ma l’idea di base è limitativa e va contro quello che io considero fotografia. Se fotografo un modello per una fotografia di moda, chi mi dice che quel giorno il modello è nel mood di farsi fotografare e di indossare quegli abiti che uno stylist ha scelto per lui? I soldi? I soggetti che scelgo, soprattutto quelli più recenti, oltrepassano questo canone condizionato di bellezza a tutti i costi. Sono liberi di indossare quello che vogliono e di essere se stessi senza nessuno a dovergli dire come posare e come mettersi in posa. Ultimamente ho fotografato un pugile giovanissimo della mia città, Gaetano Putrone, con cui ho inaugurato una nuova serie di fotografie che spero di esporre a New York nel 2013 sui ragazzi calabresi, tra cui lui. Dopo aver lavorato con agenzie di moda di tutto il mondo posso dire che nessuno ha la bellezza e la vitalità della gente del sud: loro sono i soggetti perfetti.
Chi sono i tuoi “ragazzi di vita”?
Sono gli stessi che cinquant’anni fa animavano il romanzo di Pasolini, uno dei più belli e poetici che abbia mai letto, e romanzo al quale continuo ad ispirarmi costantemente: ragazzi liberi, perciò vivi di una vitalità quasi violenta, feroce. Come diceva Pasolini, “amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza”. I ragazzi di vita sanno di essere belli ma vivono fuori da ogni schema di bellezza sociale, sono ribelli perché non seguono le mode: loro le mode neanche le conoscono e, se le conoscono, le capovolgono. Per me hanno la stessa maestosità delle statue greche seppur la storia della Grecia e delle divinità greche loro, magari, neanche la conoscono o la ignorano. Ecco, quando riesco a fotografare questa ribellione e bellezza interiore, posso dire di aver fatto delle buone foto.
Sul tuo sito leggevo che quando avevi 22 anni tuo padre ti regalò una macchina fotografica dicendoti di usarla come fosse un’arma. Cosa combatti con questa?
La bruttezza in tutti i sensi ma soprattutto la bruttezza d’animo. Quando uno è brutto dentro si vede anche in una fotografia, non c’è nulla da fare. Combattere la bruttezza è difficile perché da piccoli invece di farci vedere le mostre o i film, invece di farci leggere tanti libri, i genitori e maestri pensano ad indottrinarci, ci insegnano ad aver paura soprattutto del “diverso”. Io me ne sono reso conto con mio nipote di sette anni: è lui ad insegnarmi tante cose, non viceversa, perché ancora non è stato indottrinato - anche se a scuola ce la stanno mettendo tutta. Quando gli faccio vedere i libri di Jean-Michel Basquiat, il mio pittore preferito, vedo che lui con la mente viaggia seguendo quei colori accesi e quelle pennellate violente e se dopo gli chiedo cosa vuole fare da grande, risponde «l’artista». La fotografia può essere sociale, lo stesso rifiuto di lavorare per la moda, quindi per un prodotto, è una scelta sociale.
Che tipo di personalità deve avere un ragazzo/a che vuole tentare la tua strada?
Io non ho mai creduto a quelle personalità forti che devono avere tutto e subito e realizzarsi ad ogni costo e il prima possibile. Li vedi correre, correre, correre e poi se gli chiedi dove stanno andando, non lo sanno neanche loro. Secondo me essere se stessi è l’unica via possibile e vincente e soprattutto non bisogna mai dimenticarsi il punto da dove è iniziato tutto, e da lì non snaturarsi. E ovviamente bisogna lottare tanto e stare attenti a non cadere mai nella trappola del compromesso. Se si vuole diventare fotografi poi, l’unica scuola è la strada: io ho capito di aver realizzato fotografie splendide quando fotografavo ogni attimo della mia giornata incessantemente, in modo quasi maniacale. Quelle fotografie, che poi ho raccolto in una mostra online che si chiamava “Outcalls”, sono bellissime. Partono e si concludono con la macellazione di un maiale che ho fotografato in provincia di Crotone un paio di anni fa e, nel mezzo, foto della mia vita “ sbandata” newyorkese. Ho avuto mesi in cui ho perso il controllo di me stesso e intanto documentavo tutto.
Secondo te che fotografo dovremmo intervistare dopo di te?
Giacomo Cosua, amico di vita e di fotografie. Quando l’anno scorso ho vissuto a Londra per un breve periodo ce ne andavamo in giro dalla mattina alla notte per East London come due barboni, io coi miei inseparabili anfibi e lui sempre pieno di macchine fotografiche appese al collo. Abbiamo, credo, la stessa visione di street photography, lui spazia dalla fotografia di moda al fotogiornalismo duro e crudo, ma per me è soprattutto un eccellente fotografo di strada.
Hai in serbo progetti futuri? Se sì, quali?
Un giorno, spero più prima che poi, ci sarà una grande mostra col mio nuovo lavoro a New York. Le date slittano, una volta perché non sono pronto io, un’altra perché la galleria ha problemi con gli spazi. Nel frattempo sono diventato insegnante di Yoga e tra una foto e l’altra sto curando sia il corpo che l’anima, non bevo più alcolici, non fumo e cerco di non mangiare più carne e cibi schifosi. Se non sono nelle condizioni fisiche adatte e se non sento il mio corpo forte, quasi avessi un’armatura, non riesco a fotografare.
Grazie per la bella chiacchierata.
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"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini - Autrice e curatrice: Angela Molteni
Autori associati: Alessandro Barbato, Claudio Rampini, Marco Taffi
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